«Le brigate fantasma» di John Scalzi

     (ma occhio anche ai due PS)

«Nessuno notò il masso». E’ l’inizio geniale – ma capirete perché solo a pagina 25 – del romanzo di John Scalzi appena tradotto da Benedetta Tavani per Gargoyle (316 pagine per 14.90 euri; l’edizione originale è del 2006).

Quasi subito ci vien detto che «esistono tre tipi di umani». Quelli non modificati il primo;  i soldati che «variano per forma e dimensione e sono tutti dello stesso colore: verde» il secondo. Sul terzo gruppo «circolano delle storie, si dice vengano creati dai morti, che il plasma germinale umano dei morti venga mescolato e rimescolato con materiale genetico di altre specie». Carne da macello. Ma su quel «si dice» molto occorre verificare e «Le brigate fantasma» gioca a sorprenderci fino alla penultima pagina. Come sempre paura e razzismo verso i “mutanti” hanno un’ambiguità di fondo; come ben riassume uno dei protagonisti «non si fidano di noi perché non si fidano di loro stessi». Bella l’idea di suggerire a una di queste “creature” la lettura di «Frankenstein o il moderno Prometeo» (l’edizione riveduta è del 1831, tanto per pignoleggiare) ovvero del loro antenato.

Nel quadro rientra BrainPal – ma la scelta del nome appare «inappropriata e leggera» – ovvero «un computer semiorganico, compatto, immensamente potente, del tutto integrato al cervello umano».

Se qualche cognome (Szilard, Einstein, Curie, Dirac…) vi fa scattare sensazioni di deja vu, ecco la spiegazione: «i soldati delle Forze Speciali» vengono chiamati come antichi «scienziati e filosofi» mentre i nomi comuni sono «scelti a caso» (ma sempre occidentali per carità).

Segnalo a pagina 74 una delle mie storielle preferite (maledetto Scalzi, così mi rovini la piazza) … su Sherlock Holmes al campeggio. Ma anche la frase «Dio ama gli sciocchi» suona bene.

Pur se siamo nel più classico – ma innovato qb – scenario di fantaguerra («space opera» se preferite) non crediate che Scalzi sia un idiota con l’elmetto in testa: ribadisce più volte che le guerre fanno schifo e che questo «è un universo di merda, amico mio». Bellina anche la faccenda della telepatia (indotta) da praticare con moderazione: non solo per questioni di privacy ma soprattutto perché la gente ha «pensieri noiosi».

Siamo nel tempo (come in «Morire per vivere» che Wolfgang Petersen trasporrà in film) di una guerra fra umani e alieni alleati. Buffa la definizione del romanzo offerta dal «San Francisco Chronicle» (è citata in quarta di copertina) cioè «nessuna pretesa, se non una formidabile maestria vecchio stile». Se per pretesa si intende (erroneamente) pallosità, d’accordo: ma se invece parliamo di contenuti non stereotipati, profondità di pensiero pur se in una trama e scrittura agili, beh Scalzi ha giuste pretese: qui molto scava nella bioetica, nel doppio, nelle differenze – e confusioni – tra coscienza, intelligenza, identità («così tu sei me» leggiamo verso la fine) e ancora Dna, memoria, destino, possibilità di scelta. Libero arbitrio o no? Se si mescolano due “storie” diverse in un solo corpo sembra probabile che ne scaturirà «una terza persona».

Scrittore e giornalista, statunitense, poco più che quarantenne, Scalzi è dal 2010 presidente della Science Fiction and Fantasy Writers che fra l’altro assegna il premio Nebula. Nel 2006 con «Morire per vivere» (che è stato pubblicato l’anno scorso sempre da Gargoyle ma confesso – oh sì – di non averlo letto) ha vinto il John W. Campbell Award come miglior scrittore esordiente.

Se non sbaglio «Le brigate fantasma» è il primo romanzo di Scalzi che leggo: piacevolissimo.

Primo PS su «Nel segno di Titano» di John Varley

Se invece siete in cerca di libri spiazzanti e squassanti vi conviene andare in edicola e recuperare (nella Collezione Urania) il tosto ma interessantissimo «Nel segno di Titano» – del 1980, traduzione di Riccardo Valla – secondo volume di una trilogia iniziata con «Titano» (ne parlo qui:Urania: Spitz, il Varley sparito e altro). Pur con qualche verbosità e un pochino sottotono rispetto al primo della serie (o agli eccellenti «Linea calda Ophiucus», «Millennium», «La persistenza della visione») anche questo è un volume da avere in biblioteca. Il senso del libro si potrebbe paradossalmente riassumere così, rubando una sottotrama: John Varley soffre della «sindrome 2096 barra 15», ovvero perde contatto con la realtà entrando «in un mondo allucinatorio dove non sono più padrone di me stesso», dunque ha continue visioni, parla lingue straniere, «il mio potenziale Rhine cambia bruscamente». Insomma siamo sul sottilissimo confine che separa catastrofe e genialità. Forse, andando su Titano, Varley riuscirà a salvarsi.

Secondo (e triste) PS su Antonio Caronia

A fine gennaio è morto un «esploratore della fantascienza» (così lo definisce Nando Vitale su «il manifesto») e per me anche un amico: Antonio Caronia. Aspetterò un po’ a parlarne e anzi spero che altri (che lo conoscevano ancor meglio di me) lo facciano anche qui in bloog. Una grande testa, un compagno generoso: con lui era bello (almeno per me, nel caso del movimento detto cyberpunk) persino litigare. Della sua intelligenza tanti hanno scritto, io concordo in pieno ma ci tengo a ricordare altre due doti rare: la schiettezza e le risate. (db)

 

Redazione
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Un commento

  • ANCORA su ANTONIO CARONIA
    Segnalo che qui in blog potete leggere (il 13 ottobre 2010: «Antonio Caronia: le lusinghe dell’universalismo») un interessante saggio di Antonio Caronia: è una delle introduzioni – le altre erano di Gian Filippo Pizzo e di Walter Catalano – all’antologia «Ambigue utopie» ovvero “19 racconti di fanta-resistenza”, pubblicata in marzo da Bietti. Inoltre (in data 4 gennaio 2011) potete leggere un mio scritto («Due rec agli universi ortogonali di Caronia») dove consiglio la lettura di «Universi quasi paralleli» ovvero «dalla fantascienza alla guerriglia mediatica» che Caronia ha pubblicato per Cut-up edizioni.

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