Liberazione

«Dire la nostra parola sul mondo»: un giorno a chiacchierare di/con Augusto Boal e Paulo Freire (*)

PauloFreire

  1. Domande per aprire il dibattito:
  • siete d’accordo con questo concetto?
  • O preferite trasformazione, cambiamento, rivoluzione?
  • Cosa significa per voi?
  • Ha ancora senso oggi?
  • Perché?
  • Come lo usi nella tua pratica? Un esempio di buona pratica e uno opposto.
  • Malintesi attorno a questa parola
  • Perché alcuni rigettano questa parola?
  • Cosa dovrebbe essere aggiornato o approfondito di questo concetto?
  • Perché il teatro?
  • Che sfide dobbiamo affrontare oggi per seguire questo concetto?

PRESENTI

– Massimiliano Filoni, Michele Silvestrin, Roberto Mazzini ed Elisa Fecci di Giolli (Tdo: teatro dell’oppresso).

– Daniele Barbieri, giornalista

– Dimitris Argiropoulos, pedagogista università di Bologna

SU SKYPE

Anna Zumbo, Italia

Alessio Surian, docente università di Padova

Maria Paola Rottino, Rete Italiana Freire-Boal

Montse Forçadas, Spagna

Yana Salakhova – attivista Tdo – Ucraina

SU VIDEO

Benito Fernandez – Bolivia, educatore popolare (si può vedere il video a questo link:
https://youtu.be/OE5wW6Bkmbg)
ASSENTI

Vlady Leon non è riuscito a connettersi.

Peter Mayo non era raggiungibile.

Julian Boal ha inviato un video ma non utilizzabile.

Hjalmar Jorge Joffre-Eichhorn non è riuscito a inviare il video.

CONTENUTI EMERSI

In sintesi le risposte alle varie domande:

  1. siete d’accordo con questo concetto? Ha ancora senso oggi? Perché? O preferite trasformazione, cambiamento, rivoluzione?

Massimiliano introduce con la frase di Galeano: <Ci sono molte persone piccole, in luoghi piccoli che facendo cose piccole possono cambiare il mondo>

Poi si è discusso la parola “Liberazione” e la frase (di Freire) “Rivoluzione amorosa” e la sua attualità.

Roberto affianca “rivoluzione amorosa” al concetto di “umanizzazione” in Boal e ricorda che Marx non parlava dei capitalisti come oppressori “cattivi”, ma come ruoli “necessariamente” giocati nel sistema capitalista; quindi immaginava una società comunista come superamento dialettico del binomio padroni-operai, come liberazione anche dei capitalisti dal sistema capitalista e dal loro ruolo oppressivo.

Molti intervenuti apprezzano la parola “liberazione”, le altre parole sono viste come obsolete o troppo generiche, invece “liberazione” ha senso perché ancora ci sono oppressioni e quindi necessità di liberazione. Inoltre i presenti dicono che gli oppressi sono molto slegati tra loro, non in solidarietà e ciò influisce sul processo di liberazione.

Daniele: <Fra le mille facce dell’oppressione c’è la guerra dei Paesi ricchi (l’Occidente che io però ho iniziato a chiamare Uccidente perché mi sembra un nome purtroppo più appropriato) ai migranti e ai profughi, fra i mille tentativi di organizzare liberazione la nostra solidarietà attiva. Fra le mille facce dell’oppressione i vecchi-nuovi razzismi contro donne, stranieri, gay ma anche contro chi è brutta/o oppure grassa/o… Ho letto un gran libro, pubblicato pochi mesi fa, che a partire dalla gabbia in cui sono rinchiusi gli anziani poi è capace di parlare di/ai giovani e di/ai tutti. Il titolo «C’è una vita prima della morte?» è genialmente amaro ma il punto interrogativo non è un trucchetto, lascia davvero aperta una speranza. Nella loro conversazione Miguel Benasayag (che già avevo amato per «L’epoca delle passioni tristi») e Riccardo Mazzeo aprono a una speranza di liberazione. Ma occorre liberarsi dal «pensiero progressista totalmente colonizzato dal neoliberismo» e ritrovare la coscienza del limite (di noi umani dentro l’ecosistema, «misura di tutte le cose»). Per «resistere». Dobbiamo pensare e costruire «nuovi possibili del pensiero e dell’amore». Non possiamo trovare in un libro le risposte: dobbiamo pensarci da noi (un grande noi). E mentre leggevo il libro pensavo che questo dialogo è in parte già teatro o almeno “teatro dell’oppresso”>.

Max sottolinea che indifferenza è complicità.

Maria Paola: <L’ancora provocatorio-stimolante del pensiero di Freire sta nel fatto che il suo concetto di “liberazione” porta sempre ad un orizzonte di senso alto, che ingloba l’avversario/oppressore e non opera solo a favore dell’oppresso. E’ vero che “liberazione” è stata una parola connotata in un certo tempo con le lotte di liberazione di molti popoli, tuttavia, la “liberazione freiriana” includendo l’avversario, stimolando la ricerca di relazione e ancora di più di dialogo dell’avversario, propone obiettivi alti e di senso. Come dire, o la liberazione è per tutti o non c’è. Allo stesso tempo, Freire coglie l’importanza della gradualità nella lotta per la propria e collettiva liberazione.

Al momento la parola “rivoluzione” è di nuovo in circolazione (vedi guerre e massacri nel mondo arabo), ma … per quale mondo?

Altro concetto, quello delle identità deboli: è difficile in Occidente collegare le persone in lotta di liberazione collettiva perchè le identità personali sono molto deboli, quasi inesistenti. Le persone sono vive e paiono inconsapevoli di ciò che fanno o non fanno, di ciò che sono e non sono. Le persone non lottano neppure per se stesse, figuriamoci per progetti collettivi. L’essere “sempre connessi” di oggi è sinonimo di relazioni deboli e, se le relazioni sono deboli, la lotta diventa debole, impercettibile.

Benito dice che in Sudamerica la stessa parola invece sintetizza elementi diversi come Individuo-Società, Personale-Politico e quindi è significativa. Nella pedagogia si connota come liberazione della conoscenza-apprendimento, nella diversità dei saperi e dei linguaggi.

Si distinguono dal coro:

Michele recupera il concetto di egemonia gramsciana: <Su Gramsci e sul recupero del concetto di egemonia, non posso che aggiungere della vitalità e della efficacia concreta che potrebbe avere utilizzare l’analisi delle dinamiche strutturali della nostra società, alla luce di tutta una dimensione culturale e politica che è motore e sostegno dell’ideologia capitalista. Ciò eviterebbe che ci si concentrasse in maniera eccessiva e meccanica sul piano economico e si entrasse invece nella complessità e sfumata elasticità del rapporto fra economia e cultura e prodotti culturali. La cultura è parte integrante e non secondaria di un processo di trasformazione e cambiamento. Termini che andrebbero sostituiti a liberazione e rivoluzione perché usurati e compromessi ideologicamente. Il teatro come strumento culturale politico e trasformativo andrebbe ripensato nell’ottica non-ideologica e trasformativa e nella storia e nell’uso di tutte le forme della cultura>.

Per Anna “liberazione” è molto lontana dai vissuti dei gruppi con cui lavora, spaventa, suscita spaesamento, mentre il concetto freiriano “Essere di più” è accolta meglio e permette di individuare anche gli oppressori che oggi sono invisibili.

Per Yana in Ucraina sono parole ambivalenti che portano vissuti anche di dolore, perché sono interpretate diversamente dai fronti opposti, cioè a Est e a Ovest dell’Ucraina.

Montse preferisce “emancipazione” perché “liberazione”, almeno in Spagna, è troppo manipolata dal sistema dominante; è una parola recuperata dal sistema oppressivo (per esempio una donna che cuce dice di star facendo trasformazione sociale!). Rivoluzione ha un senso oggi negativo, quindi lei preferisce “emancipazione”, perché dobbiamo tener conto anche delle percezioni create dal sistema dominante, nell’uso delle parole.

Però Dimitris nota che emancipazione rimane sul “contro” mentre liberazione implica per Freire quella degli oppressi che degli oppressori. E poi aggiunge che «ci serve un pragmatismo ma con i piedi saldamente ancorati nelle nuvole»; per leggere bene la realtà del mondo dobbiamo continuare a sognare.

  1. Cosa significa per voi? E nella pratica? Un esempio di buona pratica e uno opposto.

Roberto fa gli esempi del Comitato di sostegno agli occupanti della gru di Brescia, al gruppo giovani “Trevignano 2.0” di Trevignano (Treviso), al gruppo “Equal” di Mantova. Tutti perché si muovono superando barriere ideologiche, tenendo però alti i valori e muovendosi in solidarietà su obiettivi concreti e capaci anche di dialogare con persone diverse. E tutti “di successo” ovvero capaci di aggregare segmenti importanti della popolazione e di avere un impatto politico-culturale locale.

Di esempi negativi ce ne sono molti.

Daniele accenna che nel disastro della non accoglienza a migranti e profughi ci sono molti esempi positivi: per citarne due “Comunità Urbane Solidali” a Palermo e “Trama di Terre” a Imola. Ma chi è solidale viene criminalizzato dai Palazzi: come radio Onda D’Urto a Brescia.

  1. Malintesi attorno a questa parola

Ci sono delle manipolazioni secondo Montse, da parte del sistema dominante (vedi sopra).

Massimiliano cita Freire sulla necessità di <dare insieme un nuovo nome al mondo> e ricorda che Galeano ci ha insegnato come in Guaranì lo stesso termine indica «parola» e «anima»: chi abusa delle parole allora tradisce, vende l’anima.

Daniele sottolinea che tutte le parole devono essere ridiscusse, re-interpretate perché, come ricorda Galeano, vengono oggi usate (anzi “martellate” da media e pubblicità) a rovescio.

Dimitris ha citato la canzone di Gaber su “Libertà è partecipazione”. Ha ribadito che si ha ancora l’idea della liberazione come un solo atto rivoluzionario mentre invece è un lungo processo. Poi ha a lungo parlato della “profuganza” (vedi dopo).

  1. Perché alcuni rigettano questa parola?

Perché spaventa, dice Anna o perché è manipolata dice Montse.

Elisa, a proposito di riscrivere collettivamente la parola liberazione, dice che le persone a volte non la contemplano nemmeno; c’è un’accettazione dell’esistente senza prendersi la responsabilità di vedere cosa è possibile fare collettivamente per liberarsi. Il contesto sembra fatto di individui e barriere.

<E’ molto importante (come diceva anche Roberto a proposito dei gruppi costituiti a Brescia ecc.) per liberarsi ed entrare in relazione imparare a rinunciare ad una parte di sé, andare oltre i dogmi ideologici.

Liberazione è ascolto della collettività, che concepisco come gruppo (sempre a proposito delle esperienze positive di Mantova e Brescia), saper fare emergere le diverse anime del gruppo, i diversi punti di vista, le capacità che ogni singolo ha da dare>.

  1. Cosa dovrebbe essere aggiornato o approfondito di questo concetto? Perché il teatro? Che sfide dobbiamo affrontare oggi per seguire questo concetto?

Ripulire “liberazione” dalla manipolazione o usare altre parole.

Passare dai singoli esempi di gruppi dialoganti e liberanti a un movimento come quello dell’«Acqua Bene Comune» che ha aggregato forze diverse e capace di avere un impatto.

Alessio ha ricordato che per Freire e Boal dobbiamo parlare di «educazione socialista aperta: il problema resta in che maniera fare comunità, senza perdere l’orizzonte».

Michele ha ribadito che Gramsci invitava a pensare nell’azione, questa è la sfida: non chiudersi in una prassi senza riflessione e tanto meno sprofondare in uno studio isolato dalle persone concrete.

Massimiliano chiede «perché usare il teatro?» e tutte/i abbiamo risposto…“perché consente di rompere le barriere”.

Michele ha detto: “consente di dialogare sul concreto delle vite anziché sulle ideologie”, e perché “nei casi migliori costringe a rinunciare alla parte di noi stessi che NON ascolta; non è questione di arte ma di maieutica”. Concordo poi sulla particolare centralità del teatro in questo processo trasformativo per aver messo il corpo e la sua capacità simbolica di rovesciare e straniare pensieri pre-giudizi e barriere. Io però lavorerei anche sulla parola, che pure il teatro usa, per creare e scrivere una nuova drammaturgia orientata alla trasformazione…>.

Elisa ha sottolineato l’utilizzo del proprio corpo come strumento di liberazione:

<Secondo me attraverso l’uso del corpo e la sua de-meccanizzazione, che ci consente di uscire dal contesto quotidiano e di “sentire” nuove soluzioni a cui non potevamo pensare. Aggiungo che mi ha colpito quanto detto da Dimitris sulla “Profuganza”: una mancanza di identità che segue a un viaggio con una forte motivazione e l’obiettivo di avere una nuova identità. Arrivati nel Paese di destinazione non si trova quello che si cercava e si crede che sia quello che Dio voleva. Crisi identitaria che si trasmette alle seconde generazioni di migranti con conseguenze preoccupanti. Aggiungo la necessità di lavorare su questa crisi identitaria, di non farla stagnare, ma con quali strumenti?>.

Versione inglese

  1. Questions to open the debate:

  • Do you agree with this word?

  • Do you prefer change, transformation, revolution…?

  • What does it mean for you?

  • Does it still make sense today?

  • Why?

  • How do you use it in your practice? An example of good practice and bad one.

  • Misunderstandings about this word.

  • Why some people reject this horizon?

  • What should we update or deepen about this concept?

  • Which challenges we have to face today in order to follow this concept?

ATTENDING THE MEMORIAL:

– Massimiliano Filoni, Michele Silvestrin, Roberto Mazzini, Fecci by Giolli.

– Journalist Daniele Barbieri

– Pedagogue Bologna University: Dimitris Argiropoulos

ON SKYPE

Anna Zumbo from Italy

Alessio Surian, by University of Padova

Maria Paola Rottino by Italian Freire-Boal Network

Montse Forçadas by Pa’thotom, Spain

Yana Salakhova, TO activist, Ukraine

BY VIDEO

Benito Fernandez – Bolivia, popular educator.

ABSENT

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Peter Mayo was not reachable.

Julian Boal sent a video but was not visible.

Hjalmar Jorge Joffre-Eichhorn could not sent a video.

CONTENTS OF THE DISCUSSION

  1. Do you agree with this word? Does it still make sense today? Why? Or do you prefer change, transformation, revolution…?

We discussed the word “Liberation” and “Loving revolution”.

Roberto puts beside the latter the Boal’s idea of “humanization” and recalls that Marx did not figure out capitalists simply as “bad people oppressing workers” but as roles compulsory plaid in the system; he imagined a communist society where the relation capitalists-workers would have been overcome dialectically in a way that also capitalists would be liberated from the system and their own oppressive role.

Many of us appreciated the word “Liberation” because the synonimus seem old or too generic. “Liberation” still makes sense, because still there are oppressions and need of liberation. We also pointed out that oppressed people today are more isolated, not in solidarity and this affects the process of liberation.

In this common vision there were some different opinions:

Michele prefers “transformation” and “change” beause the other 2 words are too much ideologically ompromised. Moreover thinks Gramsci, with his emphasis on cultural egemony should be recovered in order not to stay pushed down only on economy.

Daniele states that there is, as framework of liberation, the war made by rich countries against the other ones. He makes a joke between “Occidente” (Western) and “Uccidente (the one who kills). He cites Miguel Benasayag and Riccardo Mazzeo and their book “There is a life before the death?” where there is as hope of liberation the need to make ourselves free from the “progressive thinking colonised by neo-liberalism” to reach the awareness of human limit in the eco-system.

Maria Paola likes “Liberation” because includes, in Freire perspective, the idea to make also the oppressors free, that is <or liberaiton is for everybody or it is not>. For her, it is diffiult to llink people in a collective liberation because <personal identities are very weak, people are not aware about its own life, who they are or are not, they don’t fight for themselves, so let’s imagine for collective projects!>.

Montse underlines that she prefers “emancipation” because “liberation” is too much used and manaipulated by the system in Spain. We need to take in account the perception created by the system in the common population.

But Dimitris notices as “emancipation” includes only “to be against” instead of liberation according to Freire implies a process that makes free both oppressed and oppressors.

According to Anna “Liberation” is too far from the culture of groups she is working with, and also it scares people. Therefore she prefers the Freire’s expression “to be more – ser maìs”, also because this sentence allows to focus more easely the oppressors that nowadays are more invisible.

Benito says that in South America “Liberation” has a big meaning also because unifies polarities such as Individual-Society, Personal-Political… In pedagogy this word takes the meaning of critical thinking, liberaton in learning, and also as diversity of knowledges and languages.

On the contrary for Yana this word in Ukraine is ambivalent, because has been used from both sides to means opposite political visions, so it brings also feelings of pain and sufferance.

  1. What does it mean for you? How do you use it in your practice? An example of good practice and bad one.

Roberto makes some example from the Italian context where groups of poeple, mostly young, italian and foreigners, started a Freirian process of conscientization based on dialogue, concrete objectives, local analysis, overcoming the ideological barriers among activists but keeping high values and solidarity. The hability to dialogue with different opinions allowed these groups to growth, to aggregate people and to have a cultural-political impact locally.

  1. Misunderstandings about this word

Montse talked about the manipulaiton of this work made by the dominant system (see above).

Massimiliano cites about the need of <t ogive together a new name to the world> and recalls Galeano telling that in Guaranì there is onlyaa one word to mean “word” and “soul”, so who betrays the word, sells his soul.

Dimitris spoke about “liberation” as a process, not an event. Then discussed a lot the neologism “profuganza” (synthesis between refugee and escaping – see afterwards).

  1. Why some people reject this word?

Because it scares people, Anna says or because has been manipulated (Montse).

Elisa sentences that <… today most people accept the existing world without questionning it. There is a need of dialogue also in group, where to be able to listen to the other, withdrawing to a part of himself/herself. Liberation is also the listening of community>.

  1. What should we update or deepen about this concept? Which challenges we have to face today in order to follow this concept?

We need to clear “Liberation” from manipulation or to use other words.

We need to move from the single local good practices of groups able to dialogue and follow the liberation to a movement able to include different forces and be impactfull.

Michele recalls that Gramsci invited to think within the action, agaisnt a praxis without refletion or agaisnt an isolated study of reality.

Massimiliano asks why to use theatre?

Michele: <Because it allows to dialogue about onrete life instead of ideologies>

Elisa: <The body is a powerful tool for liberation, helping to de-structuring mechanisations>

Dimitris spoke about “profuganza” (refuge-escaping) that is the fatalist attitude of migrants while arrived in the hoped paradise and discover that their dreams were not real. So his question is how to work on this crisis of identity.

(*) Questa è la sintesi dell’incontro del 2 maggio, giorno dedicato a Bol e a Freire, alla sede di Giolli a Montechiarugolo (Parma).

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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