Liquid(IA)moci: le IA a spasso con IA (Isaac Asimov)…
… con due consigli da seguire entro gennaio, passando all’edicola vicina.
di Fabrizio Melodia, «alter-astro-filosofo»
In un articolo – apparso poi nella raccolta di Saggi pubblicata sui “blu di Urania” – Isaac Asimov spiegava che la (buona) fantascienza è quel genere letterario che indaga l’impatto della tecnologia sulle persone, per mezzo di estrapolazioni plausibili.
Usando la Ragione (che dite maiuscoliamo?) per indagare, la fantascienza è forse il genere più filosofico tra tutti, strumento assai prezioso che permette di osservare la realtà in ogni aspetto.
Eppure sembra che la filosofia sia un passo indietro, se pensiamo che la tendenza fondamentale del nostro tempo sia da ricercare nella constatazione che l’Occidente viene dominato dal senso greco della «tecnica», parola greca che in latino traduciamo con ars, mentre in giapponese si traduce con un termine musicale – asopi – che significa «gioco». Nel senso greco la tecnica ci porta le entità alla mano, immerse nel tempo, che passano dall’esistenza alla non esistenza. Questo è un modo di vedere la realtà: un qualcosa di destinato alla distruzione. Tutto si distrugge, poco a poco.
Questo senso pare accentuato da quando Internet è entrato sempre più nelle nostre vite: la civiltà dell’automobile è stata soppiantata dalla civiltà dell’elettronica. Un mondo virtuale dove tutto diventa liquido, vaporoso: elettroni che viaggiano a velocità inimmaginabili. Viviamo nell’era della rivoluzione informatica eppure siamo nella più totale e fattiva disinformazione.
Non sappiamo distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Un dato di fatto. Come è un dato di fatto che spesso le fake news siano usate come strumenti di potere (nel migliore dei casi) ma anche nei soliti modi di cui è piena la storia dell’umanità, dando origine a numerose caccia alle streghe. La Call to action – chiamata a cliccare su un link che ora ha il musicale nome di clickbait – è riconosciuta a livello mondiale.
Se ricordate, c’è stata una campagna persino da parte di “autorevolissimi” ministri italiani per mettere in guardia proprio dalle fake news. Di mettere in atto una efficace educazione a riconoscere tale ciarpame invece non si parla.
Ed ecco arrivare l’Intelligenza Artificiale: permette di manipolare in modo assai realistico tutta la realtà, introducendo di fatto la categoria del deep fake, ovvero i “falsi profondi” che girano in rete.
Riorniamo a quanto detto prima sulla fantascienza, che analizza l’impatto della tecnologia sugli esseri umani. Li ha previsti, per cantarla con Francesco Guccini ne «L’avvelenata» – dati cause pretesto le attuali conclusioni – con le relative calunnie e insulti da coloro che hanno giudicato il “cantautorato” dell’epoca diseducativo e persino nocivo per le giovani menti.
In edicola ho fatto acquisti interessanti con al centro varie possibilità di AI. Sia il numero 316 di «Julia – Le avventure di una criminologa» – testi di Giancarlo Berardi e Maurizio Mantero, disegni di Lorenzo Bovo – che l’Urania Jumbo «Ready player two» di Ernest Cline parlano di questa vecchia conoscenza (per noi amanti della fantascienza) detta Ia. Fra robot ribelli, androidi replicanti e intelligenze artificiali sterminatrici… non ci facciamo mancare nulla.
La criminologa Julia Kendall (*) indaga per scoprire l’identità di un losco manipolatore che opera violenza psicologica su una quindicenne minacciando di diffondere suoi deep fake, dove la ragazza è mostrata nell’atto di compiere sesso hard con coetanee. Tutto fasullo ma chi deve dimostrare di avere ragione?
Ernest Cline ci ha deliziato con il romanzo precedente «Ready player one», adattato poi per lo schermo con la regia roboante di Steven Spielberg (**) ed anche nel “seguito” siamo dentro OASIS, universo virtuale dove la massa si rifugia da una realtà ormai invivibile. Nel gioco si apre una caccia (individuale?) a un dispositivo che potrebbe portarlo a un upgrade semi divino.
Alla fine dell’albo «Deep Fake» Julia Kendall si lascia andare a riflessioni sul suo diario personale, in maniera lapidaria: «I deep fake diventano sempre più difficili da riconoscere, e l’intelligenza artificiale continua ad affinarsi. Molti pensano che soppianterà gli esseri umani». Stiamo parlando di un albo “poliziesco” con una protagonista a suo modo retrò e storie che spesso rimandano a serie tv come «Law and Order» o «Hill Street Giorno e notte», giusto per citare quelle che più di ogni altro sono entrate nell’immaginario collettivo, magari parleremo in un’altra occasione della loro evoluzione.
La realtà virtuale di OASIS nel romanzo di Cline diventa un rifugio, per uscire da miseria e differenza sociale. Eppure… nel buio si vede avanzare la speranza di una fantasia al potere contro il sistema tecnocratico e centralista che schiaccia le persone.
Permettetemi ora un «Cicero pro domo sua», insomma un autospot piccino-picciò. Ho da poco concluso il mio primo “serio” romanzo «Canto l’uomo d’acciaio» proprio per analizzare il rapporto conflittuale tra umano/artificiale, fra possibili vie di convivenza e alcuni incubi già troppo reali.
Quali incubi?
- Non siamo più capaci di distinguere realtà e finzione, notizie basate su fatti verificabili da fakes;
- la realtà virtuale per ora è nei social che diffondono notizie false, con l’effetto “collaterale” di aumentare le nebbie delle persone troppo impegnate (a lavorare, produrre e crepare) per farsi domande
- Esistono già plutocrati capricciosi e idioti, tipo il biondo Trump con il bambinello (e finanziatore) Elon Musk, che guarda caso si occupa di IA.
- L’essere umano viene giudicato già obsoleto. Viene rimpiazzato persino nei call center che svolgono lo stesso “lavoro” con più efficienza. Almeno così dichiara Suumit Shah, CEO della piattaforma indiana di e-commerce Dukaan optò per licenziare il 90 per cento del personale (del servizio clienti) sostituendolo con un chatbot basato su Ia. Stando a quanto dichiara Shah, un anno dopo, l’azienda ha raggiunto il massimo dell’efficienza in risposte istantanee e “contentezza” degli utenti.
- Tutti possiamo creare fake news e deep fakes. Esistono app e software alla portata di chiunque, come Deep Nude, gettonatissimo per spogliare le persone e che poco tempo fa è stato indicato dalla Polizia Postale come reo di aver denudato molte studentesse, le cui foto sono rimbalzate nei social, con gravi e umilianti conseguenze. Tutti possono accedere a bot implementati con Ia come Stable Diffusion o MidJourney, per le immagini; oppure ChatGPT o BookGPT, per realizzare persino romanzi partoriti dalle Intelligenze Artificiali in base alle indicazioni date. Qui si apre una questione assai spinosa sui diritti d’autore e di uso dei materiali in Rete, visto che le Ia in questione riprendono tutto il materiale che gli artisti pubblicano sul Web: parole, immagini, suoni. Sì, esiste anche un’Ia per produrre musica come Aiva e Soundraw.
Mi torna in mente uno dei miei racconti preferiti di Isaac Asimov, «Il correttore di bozze» (“Galley Slave, 1957) più volte ristampato nelle antologie asimoviane.
La US Robotics crea Easy (facile, in inglese), in grado di correggere qualsiasi errore di un testo e di adattarlo al meglio. L’azienda intende fornirlo gratuitamente all’ università, con il chiaro intento di sdoganare poi il nuovo portento per tutti e guadagnare milioni di dollari.
Solo uno, durante la riunione del collegio accademico, si oppone, il professor Ninheimer. Tenterà con uno stratagemma arguto e illecito di mettere in cattiva luce il robot. Smascherato dalla dottoressa Susan Calvin,il prof Ninheimer ammetterà il suo movente: intendeva salvare le future generazioni dalla catastrofe che avrebbe comportato un simile robot. In che senso catastrofe? Ma è ovvio: se un robot sa svolgere questo compito meglio di un umano, allora nessun scrittore, artista, artigiano esisterebbe più. Niente libri, nessun dipinto, zero sculture, nessuna musica?
Il racconto non conclude ma lascia aperti gli interrogativi con una chiarezza cartesiana.
Infine vorrei ricordare quanto affermato dallo scrittore e filosofo Aldous Huxley (***) in una conferenza del 1961 tenuta alla UCSF School of Medicine di San Francisco: «Ci sarà, in una delle prossime generazioni, un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici, in quanto verranno sviati dalla volontà di ribellarsi per mezzo della propaganda o del lavaggio del cervello, o del lavaggio del cervello potenziato con metodi farmacologici. E questa sembra essere la rivoluzione finale».
D’altronde, in perfetta ottemperanza del metodo di Alan Turing, come potete essere sicuri che anche questo articolo non sia stato scritto da un’Intelligenza Artificiale con gli ordini impartiti dal sottoscritto?
E dal vostro Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico per ora è tutto, alla prossima.
(*) «Julia» è molto amata in bottega. Se volete scoprire il perchè cercate i titoli degli articoli attraverso i TAG … Ah, se non sapete cosa sono i Tag è ora di farselo dire: sono una comodità non invasiva.
(**) Mi addolora sapere che un vecchio amico (di Imola) trova Cline “vintage” e noioso.
(***) Sempre grazie ai TAG troverete in “bottega” qualche utile incontro con Aldous Huxley e in particolare con i suoi romanzi utopici: «Il mondo nuovo» (assai sopravvalutato) e «L’isola» (che invece è, almeno in Italia, ingiustamente poco considerato).