Messico: la necromacchina di Guanajuato

Si tratta dello stato dove si registra il maggior numero di persone sparite di tutto il paese. Le organizzazioni criminali godono dell’impunità concessa da istituzioni spesso compiacenti. A cercare i desaparecidos sono soprattutto le donne, le Madres Buscadoras.

di David Lifodi

Foto ripresa da https://www.jornada.com.mx/notas/2023/05/10/galeria_imagenes/nuestros-hijos-donde-estan-claman-madres-buscadoras/

Lo stato di Guanajuato, dal 2018, è quello dove si registra il maggior numero di desaparecidos di tutto il Messico. Sono circa 3.800 le persone scomparse che ogni giorno sono ricercate dai propri familiari, come ha scritto il giornalista italiano Fabrizio Lorusso, uno dei maggiori esperti della storia e dell’attualità messicana, nell’articolo pubblicato sul quotidiano La Jornada del 27 novembre scorso dal titolo Un lugar para la memoria en Salvatierra.

Da alcuni anni si è costituito il collettivo “Proyecto de Búsqueda”, il cui scopo è far pressione sulle istituzioni affinché sia fatta giustizia, ma, a livello statale, poco è stato fatto e, anzi, una parte significativa degli scomparsi, soprattutto nel periodo primavera-estate di quest’anno, è purtroppo composta anche da adolescenti.

A schierarsi in prima persona, rivolgendosi apertamente ai cartelli della droga di Guanajuato, vi sono anche le Madres Buscadoras, attive in seno al gruppo “Hasta Encontrarte”: più volte hanno chiesto alle organizzazioni criminali di far tornare a casa i loro cari supplicandoli di non uccidere né loro stesse né i loro familiari. Inoltre, è stato realizzato anche il video Volverte a ver, un ulteriore tentativo per evitare che il caso dei desaparecidos di Guanajuato finisca nell’oblio.

Nel disinteresse delle autorità, accusate dalle Madres di muoversi soltanto a parole, l’appello ai narcotrafficanti è chiaro: desiderano solo che i loro figli tornino a casa sani e salvi, non vogliono vendette né cercano colpevoli (“Que sepan que no buscamos culpables, no queremos tener problemas, lo único que queremos es regresarlos a casa. Les pedimos que no nos maten”). Secondo il collettivo “Hasta Encontrarte”, la responsabilità della situazione è delle istituzioni dello stato, in un contesto di sempre maggiore insicurezza e violenza che attraversa non solo Guanajuato, ma tutto il Messico.

Nello stato di Guanajuato sono molti i gruppi di ricerca formatisi spontaneamente per sostenere le famiglie che hanno almeno una persona desaparecida, in particolar modo nelle città di Celaya e Irapuato. In particolare, di fronte alla scarsa mobilitazione delle autorità, i collettivi di ricerca incollano le foto dei desaparecidos di fronte alla sede della Fiscalía Regional con alcuni dati che possano servire ad identificare gli scomparsi, a partire da una minuziosa descrizione dell’abbigliamento che indossavano il giorno della sparizione.

A lottare contro l’indolenza delle istituzioni sono principalmente le donne, la cui sfida però spesso è stata pagata cara: alcune di loro sono state uccise, tra cui Teresa Magueyal, lo scorso mese di maggio, mentre altre hanno dovuto fare i conti con frequenti minacce di morte. È stato grazie alle brigate di ricerca indipendenti che, nell’ottobre 2020, è stato individuato una sorta di centro di reclusione clandestino da cui sono emersi i resti di 80 persone provenienti da 65 sepolture illegali. La presenza, a fianco delle famiglie, di organizzazioni come Serapaz, Universidad Iberoamericana León e Coalición Internacional de Sitios de Conciencia, purtroppo, serve soltanto come opera di sensibilizzazione tra la popolazione, ma non a smuovere le istituzioni.

È lo stesso Fabrizio Lorusso, sempre su La Jornada, il 6 maggio scorso, nell’articolo Guanajuato es una fosa, a sottolineare le connivenze tra chi dovrebbe indagare e il crimine organizzato, dalla polizia locale a quella federale, la collusione di alcuni amministratori con i gruppi coinvolti nel traffico di esseri umani e addirittura la criminalizzazione delle vittime e dei loro familiari, utilizzando un termine significativo, la necromáquina, di cui i principali artefici sono le autorità stesse e il crimine autorizzato, oltre che organizzato, dallo Stato, per far sparire le persone nella più totale impunità.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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