Più di uno sciopero nazionale: Ecuador al crocevia

Represse violentemente le manifestazioni contro la democratura del presidente Daniel Noboa.

di Natalia Serra (*)

Il 22 settembre, la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE)  ha annunciato l’inizio di uno sciopero nazionale in tutti i territori delle nazionalità e dei popoli. Il rifiuto all’aumento del prezzo del diesel ha fatto esplodere un profondo malessere della popolazione ecuadoriana, a causa della violenza criminale che dissangua il paese, della distruzione del sistema della salute pubblica che ha provocato la morte di centinaia di pazienti inclusi neonati, dell’alto costo della vita che ha aumentato la povertà, della miseria e della disperazione nella grande maggioranza della popolazione. La tragedia sociale si aggrava con la criminalizzazione della resistenza popolare, la messa sotto processo dell’opposizione politica e la militarizzazione in tutto il territorio nazionale.

Il movimento indigeno è l’unico reale contrappeso politico ad un governo che ha sequestrato tutti i poteri dello stato. Per questa ragione, nei fatti, il nemico nella guerra interna di Noboa non sono i Gruppi della Delinquenza Organizzata (GDO), ma le organizzazioni indigene, specialmente la CONAIE. Con un’aggressiva propaganda e con l’abuso del potere giudiziario, il governo cerca di relazionare le organizzazioni sociali, principalmente quella indigena, ai GDO per delegittimare la loro lotta e giustificare la repressione militare e poliziesca contro le comunità in sciopero. Secondo lo sviluppo della politica securitaria del governo, vale la pena dire che il nemico della guerra interna è la società che resiste agli aggiustamenti economici neoliberali e alla governabilità necroliberale che l’accompagna.

Nel contesto della marcia cittadina di domenica 12 ottobre convocata dalla CONAIE e da varie organizzazioni sociali, per celebrare la lotta della decolonizzazione dei nostri territori, il governo ha ordinato la totale militarizzazione della città di Quito, con circa 10 uomini tra poliziotti e militari. Sono stati bloccati gli accessi alla città chiudendo le strade, è stata disposta la proibizione di manifestazioni pubbliche. Queste politiche si sono aggiunte alla dichiarazione dello stato d’emergenza nelle province del conflitto sociale, alla criminalizzazione di vari dirigenti indigeni, al blocco illegale dei conti bancari di un gran numero di attivisti sociali e di organizzazioni di difesa dei diritti umani, alla censura per criminalizzare, acquistare o intimidire i siti indipendenti, al controllo dell’informazione dei grandi mezzi di comunicazione, ad un’aggressiva politica di benefici congiunturali a diversi settori sociali per dividere e indebolire la protesta sociale, ecc. Nonostante tutto la marcia è riuscita ad evitare il contenimento militare e a giungere fino allo storico parco “El Arbolito” simbolo delle rivolte indigene.

Prima del 12 ottobre, l’estrema repressione militare nella provincia di Imbabura, e soprattutto di Otavalo e Cotacachi, è finita con decine di feriti, picchiati, arrestati illegalmente e con il deplorevole assassinio del comunero Efraín Fuerez colpito da proiettili. La morte di Efraín è stata ripresa in un video dove si vede chiaramente che è stato assassinato, e che i militari si sono avvicinati ad Efraín e ad un suo compagno che stava con lui, non per aiutarli ma per dargli calci e colpirli con i loro fucili. Nel momento più alto del conflitto, il governo ha tagliato la luce e la rete internet nelle zone presidiate, come se si trattasse di una guerra. La guerra che non hanno dichiarato ai GDO, ma ai popoli indigeni e ai contadini del paese. Le mobilitazioni nei territori si estendono principalmente nelle province della sierra a maggioranza indigena, nelle zone in cui il governo va con convogli militari che chiamano “umanitari” per minacciare e provocare le comunità. In una di queste operazioni, è avvenuto l’attacco con pietre alla carovana blindata dove probabilmente andava il presidente, fatto utilizzato dal governo per dire che c’è stato un tentativo di assassinio con un attacco con armi da fuoco. Si è fatto uno scandalo mediatico che è riuscito a far sì che la sua narrazione fosse riprodotta dai grandi mezzi di comunicazione internazionali e, con questo, il sostegno di vari governi. Il giorno dopo questo effetto mediatico, la stessa polizia ha negato l’attacco con armi da fuoco.

Il modo di agire del governo mostra che non ha nessuna intenzione di aprire canali di dialogo per risolvere il conflitto sociale. Questo atteggiamento non risponde solo al capriccio di un giovane abituato a fare ciò che gli piace, frutto della sua origine di classe, è l’erede della maggiore fortuna del paese. Questo atteggiamento, da una parte evidente, fa parte di una politica richiesta dal FMI per garantire l’aumento del debito estero del paese e, così, il guadagno in interessi e capitale che crescono a livelli criminali per il popolo ecuadoriano. Da un altro lato, non così evidente, risponde ad una articolazione sottomessa del governo agli interessi geopolitici degli Stati Uniti nella loro necessità di riprendere il controllo dell’America Latina di fronte all’ascesa dell’asse euroasiatico, soprattutto della Cina. La Guerra interna dichiarata da Noboa a gennaio del 2024 è la versione ecuadoriana del Plan Colombia, la politica statunitense delle guerre contro le droghe che utilizzano per controllare i paesi e allinearli ai propri interessi.

L’Ecuador è alle porte di una consultazione popolare affinché il popolo dia l’approvazione al ritorno delle basi militari statunitensi e all’installazione di una nuova costituente che rediga una Costituzione retrograda sui diritti umani e della natura, conquistati dalla grande mobilitazione sociale antineoliberale della Costituzione del 2008. Così, ciò che si contende in questo Sciopero Nazionale è l’implementazione selvaggia del neoliberalismo o la sua limitazione, la distruzione dei diritti o l’ampliamento di quelli, il cinico allineamento militare alla decadente politica dell’impero nella sua guerra geopolitica o un po’ di sovranità.

Da ultimo, faccio un appello alla comunità internazionale a non distogliere i propri occhi da ciò che succede nel mio piccolo paese andino, sequestrato dalla politica necroliberale del criminale capitale nazionale e internazionale.

(*) Link all’articolo tradotto in italiano dal Comitato Carlos Fonseca: https://comitatocarlosfonseca.noblogs.org/post/2025/10/16/piu-di-uno-sciopero-nazionale-lecuador-al-suo-crocevia/ – originale in spagnolo https://desinformemonos.org/mas-que-un-paro-nacional-ecuador-en-su-encrucijada/

Leggi anche:

Ecuador, scioperi e repressione militare: Meloni cancella 10 mln del debito di Quito per la “sicurezza nazionale” (di Andrea Cegna – Il Fatto Quotidiano)

Dalla pagina FB di Nadia Angelucci (giornalista e scrittrice, esperta di America Latina, collabora con il manifesto, Le Monde Diplomatique, Il Mattino, Cassandra, Solidarietà Internazionale, dazebaonews.it.): Dall’Ecuador mi arrivano questi video. Una repressione violentissima sta colpendo chi partecipa, o è sospettato di partecipare, alla mobilitazione che ha bloccato il paese per l’aumento del prezzo del diesel. L’esercito entra nelle case senza alcun mandato e colpisce e porta via la gente. Nel video un piccolo assaggio di quello che sta accadendohttps://www.facebook.com

19 ottobre 2025

Redazione
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