«Una persona alla volta»

Domenico Stimolo sul libro di Gino Strada

In poco più di 3 settimane «Una persona alla volta» (Feltrinelli) di Gino Strada si trova al primo posto fra i libri più acquistati in Italia  – sezione saggistica –  e ai primi posti nella classifica generale.

E’ un atto corale di sommo onore civile elargito postumo – la morte avvenne il 13 agosto dello scorso anno a settantatré anni – all’assertore dell’assoluta necessità di una pratica della pace contro i cultori degli armamenti (2000 miliardi di dollari nel 2020; nel contempo il bilancio dell’OMS – organizzazione mondiale della sanità – è pari a due miliardi di dollari, lo 0,10% di quanto si spende per le armi) e di pratiche guerresche che hanno insanguinato e devastato molte aree dalla fine della seconda guerra mondiale. Ed è impressionante constatare che l’uscita del libro ha coinciso con la guerra che martirizza una parte di rilievo dell’Europa, l’Ucraina, con la Russia invasore.

Con la sua impetuosa soggettività caratterizzata dalle esperienze sociali maturate fin da giovane (era nativo di Sesto San Giovanni da famiglia di operai) e poi come chirurgo e costruttore instancabile di pratiche di pace, Strada è stato il “nucleo” propulsivo per la nascita nel 1994 di Emergency, la struttura assistenziale sanitaria internazionale che – grazie alla grande e fattiva partecipazione coinvolgente dei tanti donatori sottoscrittori – ha promosso una pregiata attività di sostegno medico alle vittime delle guerre nelle aree più diseredate del mondo (imponenti le attività in Afghanistan) poi esteso a cure specialistiche e di tipo generale per i poveri e i diseredati in varie parti planetarie, compreso il nostro Paese.

Nel 2015 a Gino Strada fu assegnato in Svezia il Premio Nobel alternativo. Iniziò con le seguenti parole il “messianico” intervento di ringraziamento: «abolire la guerra unica speranza per l’umanità. Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili […] Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una “strategia di guerra” possa includere prassi come quella di inserire, fra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del “Paese nemico”. Armi progettate non per uccidere ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili».

Nella breve premessa al libro Gino Strada ringrazia vivamente la moglie Simonetta Gola poiché «mi ha spinto a tirare le fila di quello che ho visto e vissuto».

Infatti, è proprio questa dinamica a rappresentare l’essenza del libro: le memorie di una vita intensa, animata, passionale e civilmente gloriosa, essenzialmente utilizzata per aiutare gli altri. Schierandosi in modo totale ed esclusivo con le vittime delle guerre, i feriti e i mutilati, donne, uomini e bambini, con le attività sanitarie rivolte in particolare ai civili e senza distinzione alcuna nelle rappresentazioni del “gioco” della guerra.

Il messaggio di Strada è forte, costante, laborioso e imponente: lo ha praticato per tanti decenni in tutte le possibili occasioni divulgative, contro i deliri ideologi che hanno portato tutti gli Stati del mondo – a partire da quelli più grandi e potenti – a incrementare notevolmente le spese militari: in addetti, come in ferraglie elargitrici di morte multipla con distruzioni generalizzate, persino con la “modernizzazione” continua dei micidiali strumenti nucleari militari pronti a distruggere la nostra Gaia Terra per innumerevoli volte.

Gino Strada ribadisce il ripudio assoluto della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (articolo 11 della nostra Costituzione) esortando a costruire un mondo senza guerra. E ribadisce anche l’elogio alla sanità pubblica, strumento fondamentale di assistenza e di cura generalizzata, a partire dalle fasce di popolazione economicamente più disagiate.

In questa fase di imperversanti orrori guerreschi nelle pagine 70 e 71 del libro Strada ci ricorda le principali efferatezze di guerra:

«La grande carneficina della prima guerra mondiale è stato un disastro molto più grande di quanto si sarebbe potuto immaginare al suo inizio. Una violenza inaudita. Settanta milioni di giovani furono inviati a massacrarsi al fronte, più di dieci milioni di loro non tornarono a casa. Per la prima volta vennero usate armi chimiche, prima sulle trincee nemiche, poi sulla popolazione. Circa tre milioni di civili persero la vita per atti di guerra, altrettanti morirono di fame, di carestia, di epidemie.

Trent’anni dopo, alla fine della Seconda guerra mondiale, i morti furono tra i sessanta e i settanta milioni. Questa incertezza sulla vita o la morte di dieci milioni di persone è la misura del mattatoio che si consumò tra il 1939 e il 1945: così tanti morti da non riuscire neanche e a contarli.

Gli uomini e le donne di quel tempo conobbero l’abisso dell’Olocausto e i bombardamenti aerei sulle città. Era l’area bombing, il bombardamento a tappeto di grandi aree urbane; Londra, Berlino, Dresda, Amburgo, Tokio […] Non esisteva più un bersaglio militare, un nemico da colpire: il nemico era la gente, che pagava un prezzo sempre più alto. L’obiettivo era “la distruzione delle città e l’uccisione dei lavoratori tedeschi, la distruzione della vita civile in tutta la Germania” . Sir Arthur Harris, comandante in capo della Royal Air Force, lo rivendicativa pubblicamente, senza nessun pudore e nessuna cautela.

E poi le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, che cambiarono la storia del mondo. L’uomo aveva creato la possibilità dell’autodistruzione. Nella Seconda guerra mondiale le vittime civili furono più del 60 per cento, in pratica, due terzi non avevano mai imbracciato un’arma. Sono proprio queste persone disarmate, a testimoniare la follia della guerra e l’assoluta incapacità a controllarla […]

Dopo il 1945 hanno insanguinato il pianeta altri 265 conflitti interni o internazionali, con una percentuale di vittime civili che ha continuato a salire.

Sparito il campo di battaglia, eserciti e gruppi ribelli, fazioni in lotta con o senza divisa si affrontano nel mezzo delle città, tra le scuole e le case, tra i mercati e gli ospedali. Tra i cittadini.

Il risultato è stato che più di venticinque milioni di esseri umani hanno perso la vita nelle guerre del cosiddetto “secondo dopoguerra”. Le vittime non combattenti, una ogni dieci all’inizio del Novecento, erano diventate nove ogni dieci alle soglie del Duemila».

Un libro di grande rilevanza, che ci permette di conoscere meglio la personalità e l’agire di quello che fu il “papa laico” riflettendo sull’assoluta urgenza di contribuire a cambiare il perverso e distruttivo stato organizzato di esseri umani.

 

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