Uruguay: ballottaggio senza storia. Tabaré Vázquez presidente

di David Lifodi 

Per il terzo mandato consecutivo sarà ancora un esponente del Frente Amplio a guidare il paese: nel ballottaggio del 30 novembre Tabaré Vázquez ha superato agevolmente Luis Lacalle Pou del Partido Nacional: per i blancos queste presidenziali si sono rivelate un’autentica via Crucis.

Eppure alla vigilia del primo turno, che poi in pratica avrebbe incoronato Vázquez, il quale per poco non ha ottenuto subito la presidenza del paese, il risultato non sembrava così scontato: da un lato il quarantunenne Lacalle Pou, presentatosi con un discorso molto deideologizzato e ansioso di mostrarsi come il nuovo che avanza, dall’altro il settantaquattrenne Tabaré, laureatosi indiscusso “presidenziabile” alle primarie, anche se con i mugugni e le perplessità della sinistra del partito e dei movimenti sociali. E invece, con oltre il 53% dei consensi contro il misero 41% di Lacalle Pou, Tabaré Vázquez ha trionfato: pare che avesse già scelto i ministri prima del ballottaggio, tanta era la sicurezza di vincere e in effetti, rispetto al clima elettrizzante che si respirava nel paese nei giorni precedenti al primo turno, stavolta regnava una calma quasi irreale. Lo stesso Lacalle Pou, nel corso della campagna presidenziale in vista del ballottaggio, aveva già riconosciuto la sua sicura sconfitta, ammettendo che avrebbe dovuto lottare anche contro la matematica: sapeva bene che i numeri gli erano sfavorevoli. Lacalle Pou, figlio dell’ex presidente uruguayano Luis Alberto, alla guida del paese dal 1991 al 1995, strenuo oppositore del socialismo e con una mogli che è stata senatrice blanca, non è riuscito nemmeno a sfruttare i voti di Pedro Bordaberry. Il candidato colorado, figlio del dittatore che aveva tenuto in scacco il paese dal 1973 al 1985, aveva raggiunto una percentuale di consensi molto bassa già al primo turno, mentre a favore di Vázquez era certo il voto anche di molti simpatizzanti dei partiti minori. In pratica, il Frente Amplio è riuscito a vincere per la mancanza di un’opposizione realmente competitiva. In un’intervista rilasciata al quotidiano conservatore uruguagio El País, Lacalle Pou si era dichiarato soddisfatto per la sua campagna elettorale, ma ammetteva di non avere alcuna chance di vittoria. Per Tabaré Vázquez, che assumerà ufficialmente la guida del paese dal prossimo 1 marzo, si tratta del secondo incarico presidenziale, dopo esser stato presidente dal 2005 al 2010, prima dell’avvento di Pepe Mujica, l’ex tupamaro ancora amatissimo dalla popolazione uruguayana e conosciuto in tutto il mondo per il suo stile di vita sobrio. Tabaré ha sfruttato appieno il consenso di Mujica, ma va evidenziato come il Partido Nacional non abbia goduto fino in fondo nemmeno dell’aiuto dei partiti di destra, colorados e indipendientes. All’interno del Partido Independiente era risaputo che, in occasione del ballottaggio, non tutti avrebbero sostenuto Lacalle Pou e che c’erano posizioni molto diverse: pare che diversi esponenti di primo piano avessero intenzione di votare Frente Amplio al secondo turno. La stessa cosa, e qui il fatto è ancora più clamoroso (o se vogliamo guardare la faccenda da un punto di vista di sinistra, preoccupante) è che importanti dirigenti del Partido Colorado, notoriamente su posizioni di destra e nostalgici dei “bei” tempi di Juan María Bordaberry e Jorge Luis Batlle, abbiano deciso di optare per Tabaré, la cui linea politica è assai moderata. E ancora, durante la campagna elettorale, in più di una circostanza il ticket Lacalle Pou-Jorge Larrañaga (che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di vicepresidente in caso di vittoria) è stato costretto a riconoscere i risultati raggiunti dal paese da quando il Frente Amplio ha guadagnato la presidenza del paese. La campagna elettorale vuota di proposte di Lacalle Pou, malgrado il suo slogan hacer las cosas por la positiva, ha fatto dichiarare al Frente Amplio che il ballottaggio sarebbe servito a sconfiggere el derrotismo (lo sconfittismo, chi era già sconfitto) : talmente erano scarse le speranze di vittoria della destra che anche sui giornali latinoamericani, di qualsiasi orientamento politico, erano davvero poche le notizie relative alla sfida tra il candidato del Frente Amplio e quello dei blancos. Secondo alcuni sondaggi, la distanza tra Vázquez e Lacalle Pou avrebbe potuto raggiungere anche i 17 punti percentuali di scarto. Del resto il paese, durante le presidenze del Frente Amplio, è cresciuto sotto molteplici aspetti, dalla diminuzione della povertà e della mortalità infantile passando per la crescita dell’inclusione sociale, dei posti di lavoro e degli investimenti. Se in occasione del primo mandato Tabaré aveva ereditato un paese fiaccato dalle politiche neoliberiste imposte negli anni Novanta, adesso la situazione dell’Uruguay è diversa. Pur seguendo un orientamento molto prudente, soprattutto in ambito economico, Vázquez era riuscito a risanare un paese che, durante la presidenza Mujica, è poi diventato all’avanguardia nel campo dei diritti civili, dal matrimonio tra persone dello stesso sesso alla depenalizzazione dell’aborto, passando per la legalizzazione di produzione e vendita della marijuana. Per inciso, queste ultime misure non avevano trovato, al momento dell’approvazione, il consenso dello stesso Tabaré Vázquez. In ogni caso, da quando il Frente Amplio è arrivato alla presidenza del paese, l’economia uruguayana è cresciuta a ritmo sostenuto, la disoccupazione è crollata e, secondo i dati dell’Instituto Nacional de Estadísticas, la povertà è calata in dieci anni dal 40% al 10%.

Mujica lascia la presidenza con un indice di gradimento di oltre il 65%. Alla guida dell’Uruguay non ci sarà più l’ex guerrigliero, ma la vicepresidenza sarà di Raúl Sendic, figlio dello storico fondatore del Movimiento de Liberación Nacional – Tupamaros. Quando Vázquez vinse per la prima volta le presidenziali il quotidiano il manifesto titolò “Tabaré, un rosso moderato”: probabilmente Vázquez adesso è più rosa, di certo la prossima presidenza frentista non sarà caratterizzata dalla radicalità, ma il nuovo successo del centrosinistra, dopo quelli in Brasile e Bolivia, segna, almeno a livello elettorale, l’arretramento delle destre in questi tre paesi e rappresenta una buona notizia per l’America Latina.

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