Articolo 18: vecchie-nuove bestie

di Bozidar Stanisic
Di questi giorni, oltre alle masse in movimento in Grecia, si è mossa anche la Spagna dei lavoratori. Pare che il nuovo governo spagnolo abbia capito alla lettera il monito dei forti (Trojka and multinazionali) che anche il loro “articolo 18” presenti una barriera per l’entrata degli investimenti stranieri e l’hanno cancellato: che il “mondo” entri in casa, poi si salvi chi ci riesce.
Ho recentemente ricevuto notizie che anche in Croazia, che dal 2013 sarà il 28esimo membro della Ue, il governo deve fare passi decisivi sul cambiamento dell’ “articolo 18” croato.
A cosa riesce a pensare un semplice mortale dal cui cervello ancora non sia evaporata almeno una parte della memoria? Povero me, ho ricordato tre dettagli. Anche se a qualcuno sembreranno scontati, anzi sciocchi in tempi così accelerati, per me presentano un valore emblematico.
Il primo: fine anni ottanta, nell’ex Jugoslavia (io c’ero) si cominciava a parlare di cambiamenti decisivi nel sistema economico e fra le altre cose anche della “borsa di lavoro”; Miljenko Smoje, scrittore di Spalato (1923-1995) disse allora che lui ebbe numerose occasioni di conoscere la libera “borsa del lavoro” della sua città prima della seconda guerra, quando i padroni, ogni mattina, sceglievano in questo modo chi doveva lavorare: tu sì, tu no, tu sì, tu no.
Il secondo: la primavera del 2000 (forse del 2001), un reportage di Raidue sugli imprenditori italiani – allora in maggioranza veneti – che hanno delocalizzato la produzione; un capannone grande, numerose operaie tutte silenziose alle macchine cucitrici, un imprenditore veneto che dice: «Perché sono andato in Romania? E’ semplice: le pago 160 euro mensili, loro buone buone, zitte-zitte. E’ chiaro? Niente sindacati, niente articoli scomodi nelle leggi. Avete capito?».
Il terzo: l’estate 2005, con la mia moglie mi trovo in una lunga fila di macchine al confine croato-serbo. Decidiamo di trovare una strada secondaria; mi vede l’autista di una macchina italiana, dice che è un imprenditore trevigiano, mi prega se posso aiutarlo. Lo chiamo che venga dietro noi; insicuro se le strade sono quelle giuste, ogni tanto mi fermo e naturalmente, si scambia qualche parola; lui ha una fabbrica in Romania. Mi dice: «basta con l’Italia, troppe tasse», lui in Romania si sente bene: niente sindacati, nessuno rompe, tutti buoni-buoni e zitti-zitti. Divise le nostre strade, dico a mia moglie che 150 anni della storia sono pochi per calmare la vecchia bestia del profitto nell’uomo che possiede i mezzi di produzione.
Non credo che serva un commento particolare. La scelta dei nostri tempi sull’art. 18, “articolo della civiltà” credo che vada oltre un semplice aut aut. Tutti quelli che si illudevano di non essere proletari – cioè oltre alle proprie mani non possiedono un altro mezzo produttivo – e che godevano dei beni acquistati via mutui e prestiti, con automobili almeno in apparenza simili a quelle dei titolari delle loro fabbriche o uffici, ora sanno che lo sono (proletari). Quella bestia, vecchia-nuova o nuova-vecchia, si rivela tale mostrando che vuole cancellare le vittorie ottenute dai lavoratori in lunghi decenni. Il messaggio è chiaro. La scelta tocca al destinatario: accetta di essere divorato?

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