«365»: un po’ Dick e un po’ Cervantes

di Marco Martinelli

Caro dibbì,

ho letto con grande piacere il tuo-vostro «365». Mi ha divertito e come da sempiterna lezione brechtiana (ma già Aristofane lo raccomandava ai poeti comici del V secolo avanti Cristo) mi ha fatto pensare. Prima di dirti i miei motivi di “interesse” non in conflitto fra loro, tengo a precisare alcuni punti che ci legano in maniera sostanziale e che ho scoperto leggendo il romanzo:

1. Entrambi siamo senza patente. Il che significa che abbiamo contribuito meno di altri, nei precedenti 40 anni e passa, all’inquinamento del pianeta, usando mezzi pubblici etc.. 

2. Entrambi usiamo tecnologie arcaiche e rifiutiamo lo smartphone. E le conseguenze positive si avvicinano a quelle del punto 1.

3. Entrambi riteniamo Philip Kindred Dick un classico del Novecento e amiamo Rosa Luxemburg, ma questo lo sapevo già prima di leggere «365».

4. Anagraficamente però sono più vicino al ’77 di Gianluca, che al tuo ’68.

Proprio da Dick vorrei partire, la cui vena anarchica (non a caso un suo “idolo” era Harpo Marx) e compassionevole (non a caso si è inventato un cristianesimo tutto suo e al tempo stesso debitore della rivoluzione cristiana delle origini) circola ampiamente nel vostro racconto: il giocare con umor nero, e talvolta anche più lieve, con l’occhio fisso a scrutare il buio, a interrogarsi sulle tragedie del mondo, è un tratto che certo non ha solo in Dick un maestro, eppure io l’ho sentito molto presente: sarà, ripeto, la suggestione dovuta alla nostra amicizia. Ma non credo solo a quella.

Siete una bella coppia, voi due autori e voi due personaggi, diversi e assortiti come nelle coppie del canone letterario: eppure non ci sono qui un clown bianco e un augusto (per quanti sforzi tu faccia di prenderti questo secondo ruolo), non ci sono Sherlock Holmes e Watson, direi anzi che vi proponete entrambi come Don Chisciotte e Sancio Panza allo stesso tempo. Questo riferimento a Cervantes lavora in me causa il «DON CHISCIOTTE AD ARDERE» con il quale ho appena debuttato a Ravenna Festival: il cavaliere della Mancha lo siete entrambi per quel sentimento, irriducibile, col quale vi ponete davanti alle malefatte del mondo. Non è una questione ideologica – le ideologie prima o poi fanno acqua – è proprio un “sentire” che attraversa i secoli, un’istintiva avversione e indignazione davanti alla violenza e ai soprusi. Questo è Don Chisciotte: lo si può bastonare, dimostrargli “ragionevolmente” che ha torto, irriderlo come un mentecatto. Sempre da terra si rialzerà, pieno di ferite, e non cederà alla “ragione” dei potenti. E ricomincerà il suo errare per deserti e locande, in cerca di bellezza e giustizia. Al tempo stesso siete e vi prendete in giro come simpatici Sancio, ovvero ridete del vostro zoppicare, inciampare: e questo fa sorridere chi legge.

Il romanzo è avvincente. Scorre. I personaggi sono tutti credibili e ben disegnati, compreso l’antagonista Sergio Palermo. Come nelle storie ben costruite, vai avanti senza fermarti perché vuoi scoprire “cosa c’è dietro”. Io l’ho divorato in due lunghi pomeriggi. E si chiude con il gran finale sorprendente, in cui la rivoluzionaria che chiude il terzetto, una sorta di disincantata Dulcinea dei nostri giorni, usa le armi dell’ironia e di un sarcasmo che non fa sconti per abbattere la pomposità criminale e così ormai “naturale” delle multinazionali. 

Purtroppo ci si abitua a tutto, vero? Ai femminicidi, ai morti sul lavoro, alle nuove pestilenze, alle guerre per procura, al sistema di produzione che si è trasformato in evidente meccanismo di distruzione: sono tutti eventi “naturali”, che ci vuoi fare? Che ci puoi fare?

Il potente di turno va a fare passerella nel luogo della “catastrofe” di turno e promette il cambiamento: da quanti decenni vediamo ripetersi la farsa? 

A proposito di farsa e tragedia: è un dato di “natura” che Elon Musk e Mark Zuckerberg, gladiatori mancati, posseggano insieme un giro d’affari di 350 miliardi di dollari, più o meno l’intero giro d’affari dell’intero continente africano? Incameravo la notizia allucinante negli stessi giorni in cui sprofondavo in «365»: il dato di cronaca e la vostra finzione letteraria si tenevano a braccetto, l’una illuminava l’altra. 

Restate così, carissimi Daniele Barbieri e Gianluca Cicinelli, “non abituati”. Non sembra, a sentire le gazzette dominanti, ma di “non abituati” come voi questa povera umanità ha sempre e ancora bisogno.

Vi abbraccio forte!

PS – E grazie anche per avermi fatto conoscere la vicenda emblematica di Luigino Scricciolo, «colpevole di Stato» e quindi innocente.

Redazione
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