Centroamerica: le comunità LGBTIQ+ sotto attacco

Nel Triangulo Norte cresce il numero delle persone discriminate a causa del proprio orientamento sessuale: molte di loro hanno scelto di migrare altrove, ma i governi di Guatemala, El Salvador e Honduras rifiutano di parlare di “migrazione forzata” e minimizzano.

di David Lifodi

                       Immagine ripresa da https://agenciapresentes.org/

Viajes de Emergencia y Asistencias Financieras de Rainbow Railroad è un’organizzazione canadese che si occupa di aiutare le persone LGBTIQ+ ad abbandonare i loro paesi di origine perché discriminati a causa del proprio orientamento sessuale.

Il maggior problema dell’America latina, spiega Adriana Espinosa, direttrice di Viajes de Emergencia, in un’intervista al portale Agencia Presentes, è che si tratta di “una regione religiosa, principalmente cattolica”: è proprio per questo che, in molti paesi sudamericani, c’è poca tolleranza nei confronti delle comunità LGBTIQ+.

La situazione peggiore, tuttavia, si registra nel Triangulo Norte centroamericano. In Guatemala, sotto la presidenza dell’ultraconservatore Alejandro Giammattei, nel 2022 la data del 9 marzo era stata definita come El Día por la Vida y la Familia, che riconosceva come legittima soltanto la famiglia cosiddetta “tradizionale”. Dal nuovo presidente, di ispirazione progressista, Bernardo Arévalo, la comunità LGBTIQ+ si aspetta un radicale cambiamento.

Anche in Honduras la diversità sessuale non è vista nel migliore dei modi. Se nel 2009 aveva fatto scalpore, all’epoca del golpe che rovesciò Manuel Zelaya, l’omicidio di una donna trans, Vicky Hernández, ad opera della polizia e rimasto ancora senza colpevoli ufficiali, tuttora sono in molti a confermare che “essere LGBTIQ+ in Honduras significa avere una condanna a morte sulla propria testa” perché non c’è alcuna vera e propria legge in grado di esprimere una tutela. Inoltre, inserirsi nel mondo del lavoro e poter accedere a diritti quali la salute o l’istruzione resta un miraggio: l’unica possibilità di guadagno proviene dal lavoro sessuale. La speranza di vita di una donna trans, in America latina, non supera i 30-35 anni di età.

Nel solo 2023, sempre in Honduras, sono state assassinate 48 persone appartenenti alla comunità LGBTIQ+, mentre in Guatemala il numero di omicidi è leggermente più basso, 34, ma comunque inaccettabile. La discriminazione nei loro confronti è tale che, per guadagnare qualcosa, trans e omosessuali di frequente sono costretti a spacciare la droga per conto delle pandillas. Eppure, sia in Guatemala sia in Honduras, i rispettivi governi ritengono che le discriminazioni per l’orientamento sessuale non rappresentino uno dei principali motivi che costringono le persone ad abbandonare il proprio paese. Su questo aspetto, anche El Salvador rifiuta di parlare di migrazione forzata.

Eppure, in particolare nel Triangulo Norte, non solo i crimini contro la popolazione LGBTIQ+ restano perlopiù impuniti, ma molti evitano anche di sporgere denuncia presso le sedi della polizia perché è proprio quest’ultima, insieme ai pandilleros e a gruppi paramilitari composti da ex esponenti dell’esercito e criminali comuni, a perseguitare trans e omosessuali.

Dal 2012, in Costarica, l’Instituto sobre Migración y Refugio LGBTIQ para Centroamérica (IRCA-Casa Abierta), offre aiuto e assistenza psicologica, ma non riesce a soddisfare le centinaia di migliaia di richieste ricevute. Il dossier dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Dejarlo todo atrás. Relatos de personas que se ven forzadas a huir de Centroamérica y México è il titolo in spagnolo, i cui dati analizzano il periodo 2020-2023, evidenzia che quasi quattro milioni di persone provenienti da Guatemala, Honduras e El Salvador, hanno abbandonato il loro paese d’origine anche a causa delle discriminazioni sempre maggiori che hanno spinto la popolazione LGBTIQ+ a fuggire per avere salva la vita.

Le cosiddette “terapias de conversión”, dovute a motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere, sono state testimoniate, in Guatemala, dalla Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales (Flacso). Sono almeno quattro le persone LGBTIQ+ sottoposte a psicoterapie che pretendevano di correggere il loro orientamento sessuale, talvolta utilizzando, in maniera distorta, la religione, affinché percepissero di essere “malati” e quindi costretti, psicologicamente, a tornare nell’alveo della famiglia “tradizionale”. Il rapporto “¿Cura o tortura? ECOSIEGCS —Esfuerzos de cambio de la orientación sexual, identidad de género, expresión de género y características sexuales—. Las mal llamadas ‘terapias de conversión’ en Guatemala” ha definito apertamente le “terapie correttive” come casi di tortura.

Le persone LGBTIQ+ sono costrette a migrare dal Triangulo Norte sia per la mancanza di opportunità sia perché i primi repressori sono gli stessi Stati: l’unica garanzia che hanno, spiega amaramente la Federación Salvadoreña LGBTI+, è la morte.

L’intero reportage, curato dall’Agencia Presentes con il supporto dell’ International Women’s Media Foundation, è consultabile, in spagnolo, alla pagina web https://agenciapresentes.org/2024/01/31/el-triangulo-norte-centroamericano-expulsa-a-la-diversidad-sexual/

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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