Chiapas: turismo (in)sostenibile e…

… furto delle terre

di David Lifodi

A Palenque circola un volantino anonimo in cui è scritto: “La stagione turistica condiziona l’economia e la assoggetta a interessi schiavistici, impedendo così la stabilità economica e strozzando con i debiti. L’ecoturismo è utilizzato per comprare le coscienze, identificare gli oppositori e attaccarli tramite i paramilitari”.

Palenque è un sito archeologico maya che si trova in Chiapas e gli estensori anonimi del volantino, riportato in un reportage scritto per La Jornada da Hermann Bellinghausen, storico inviato per il quotidiano della sinistra messicana nei territori zapatisti, hanno visto giusto. Da tempo sul suolo chiapaneco è in atto una folle corsa alla costruzione di enormi progetti turistici che minacciano l’ambiente e le aree naturali protette. In generale, tutto il Messico, soprattutto le immense zone archeologiche, rischiano di essere trasformate in inquietanti non luoghi del consumo di massa a scapito delle culture indigene e dei diritti civili e sociali fondamentali, tra cui quello all’abitare. Nel 2004 la catena planetaria della grande distribuzione, Wal-Mart,  riuscì ad insediarsi anche tra le piramidi di Teotihuacan, nel perimetro C della zona archeologica con il sostegno e il parere favorevole delle autorità, facendosi beffe delle proteste di movimenti, intellettuali e società civile messicana. Oggi è la selva del Chiapas a dover fronteggiare l’attacco del turismo transnazionale e liberista, quello che intende privilegiare un turismo per consumatori facoltosi (ed in prevalenza nord-americani) a scapito delle comunità indigene e di un ambiente naturale unico nel suo genere e ricco di biodiversità. A Palenque la zona archeologica si fonderà, suo malgrado, con quella turistico-alberghiera. La talpa di Hermann Bellinghausen non teme smentite. Si tratta di un agente turistico assai esperto che, coperto dall’anonimato, dipinge un quadro della situazione preoccupante. Le grandi catene alberghiere, sulla scia di Wal-Mart, costruiranno i loro hotel di lusso nelle vicinanze dei siti archeologici, con centri commerciali e tutti i servizi utili a soddisfare un turismo elitario, ma portatore di soldi freschi. La rivelazione bomba però è un’altra: dietro alla commercializzazione del territorio sta non solo la volontà di privatizzare aree naturali per sottrarle alle comunità indigene, ma l’appoggio finanziario di agenzie note per i loro traffici illeciti, tra le quali spicca Usaid (United States Agency for International Development), immancabile quando si parla di piani per la destabilizzazione interna di uno stato o di gruppi sociali ben definiti. La trasformazione di Palenque e dell’intero Chiapas in una zona turistico-alberghiera esetsa all’inverosimile presenta un ulteriore obiettivo, quello di minare la convivenza all’interno delle comunità indigene, dove gli abitanti sono in parte  favorevoli ai megaprogetti (ma il governo messicano li ripagherà con briciole) ed in parte contrari, soprattutto coloro che si identificano da sempre con l’autonomia indigena e sono legati all’Altra Campagna zapatista. E’ a loro che il governo vuol espropriare le terre, sia ricorrendo alla divisione delle comunità (ad esempio tramite l’addestramento di guide turistiche selezionate tra gli indigeni stessi), sia convincendo una parte dei contadini a puntare sulla riconversione di migliaia di ettari di terra in piantagioni di palma africana. Così facendo i campesinos delle comunità firmano la loro condanna: la monocoltura impedisce di seminare alimenti e allevare bestiame e nel giro di poco tempo saranno costretti ad abbandonare le terre dove hanno sempre abitato. Sui progetti di turismo propinati ai chiapanechi dal governo federale, ma anche da quello statale, pesa la minaccia incombente dei gruppi paramilitari, vero braccio armato delle grandi imprese costruttrici, che spesso assoldano milizie private per poter procedere con i lavori nonostante la forte opposizione delle comunità locali. Anche qui troviamo una vecchia conoscenza protagonista di traffici sporchi, illeciti e spesso sanguinari in Chiapas: si tratta di Paz y Justicia che, a dispetto del nome, è un gruppo paramilitare di estrazione priista, vicina cioè a quel Partido Revolucionario Institucional che per oltre 70 anni ha governato il paese.

La minaccia di sgomberi forzati sembra avvicinarsi quotidianamente per molte comunità che rifiutano il tentativo di trasformare il Chiapas in una nuova Cancun: il popolo maya ha vissuto su queste terre da prima della colonizzazione, ma ora rischia di essere espropriato per la gioia degli investitori e del mercato globale.

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