Ecuador: la doppia morale di Rafael Correa sullo sviluppo petrolifero

di David Lifodi

Le politiche petrolifere dell’Ecuador continuano a far discutere: da un lato l’impegno internazionale per esigere la condanna di Chevron-Texaco, responsabile dell’inquinamento che ha pregiudicato l’ambiente naturale e la salute degli abitanti che vivevano a ridosso dei suoi pozzi, dall’altro l’intransigenza nel porre fine all’iniziativa Yasuní-ITT, il progetto promosso nel 2007 dallo stesso presidente Rafael Correa affinché il greggio non fosse estratto, ma rimanesse nel sottosuolo.

Il progetto Yasuní-ITT (il cui nome deriva dal blocco nella zona orientale del Parque Nacional Yasuní, dove si trovano i campi petroliferi Ishpingo-Tiputini-Tambococha) è stato sospeso l’estate scorsa, quando Palacio de Carondelet decise di procedere con l’estrazione petrolifera utilizzando le tecniche di ultima generazione. Correa accusò il mondo di ipocrisia. Fu durante un’assemblea Onu che il presidente aveva proposto di lasciare il greggio bajo tierra per evitare l’emissione di 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, una delle principali cause del riscaldamento globale. In cambio Correa chiese una compensazione di 3600 milioni di dollari in 12 anni e l’ appoggio del Programma per lo Sviluppo lanciato dalle Nazioni Unite, ma i paesi dell’assemblea Onu hanno sempre fatto orecchie da mercante. È stato così che il presidente si è convinto che il paese avesse bisogno dei proventi derivanti dall’estrazione e dalla vendita di petrolio per combattere la povertà nel suo paese. La storia del progetto Yasuní-ITT è raccontata nel libro Yasuní. El tortuoso camino de Kioto a Quito, scritto dall’ambientalista di Acción Ecológica Esperanza Martínez. Alberto Acosta, economista di sinistra e ministro dell’Energia e delle Miniere sotto la prima presidenza Correa, con il quale romperà proprio per una diversa visione sull’ambiente e sullo sviluppo sostenibile fino a candidarsi alle ultime presidenziali in alternativa allo stesso Correa, dichiarò che sarebbe stata la società civile a dover riprendere quella battaglia e così è stato. Di fronte alle discutibili politiche di Rafael Correa, che pure all’inizio aveva suscitato ampie speranze nel paese, alla campagna Yasuní-ITT hanno cominciato a lavorare di nuovo i movimenti sociali, tra questi il collettivo Yasunidos. Lontani dai partiti politici, molti di loro giovani o giovanissimi (l’età media varia tra i 18 e i 25 anni), i membri del collettivo hanno già partecipato alle battaglie sociali più recenti e significative condotte nel paese, dal rispetto della Costituzione (assai all’avanguardia, ma purtroppo rimasta sulla carta in molti dei suoi aspetti fondamentali) al diritto all’acqua, passando per la difesa dei diritti umani. Gli Yasunidos sono una sorta di “movimento dei movimenti” che ha chiesto all’Assemblea nazionale di negare al presidente Correa l’autorizzazione a permettere lo sfruttamento petrolifero del Parque Nacional Yasuní, mettendo inoltre in dubbio la versione governativa ufficiale, quella che promette un’estrazione socialmente responsabile, da loro definita una sorta di ossimoro: si tratta solo di uno sfruttamento della natura camuffato, hanno detto. Per il collettivo Yasunidos l’attività di estrazione petrolifera nel Parque Nacional Yasuní causerebbe un vero e proprio etnocidio, oltre a danni irreparabili alla flora e alla fauna. In primavera il collettivo ha raccolto le firme per chiedere una consultazione popolare sullo sfruttamento naturale del Parque Nacional Yasuní, ma Correa, come già accaduto nei confronti delle comunità indigene e dell’organizzazione non governativa ecologista Acción Ecológica, li ha catalogati come “pazzi e irresponsabili” poiché antepongono i diritti della natura alle questioni della povertà e della fame. Ancora una volta, Correa si mostra radicale all’estero (dall’adesione all’Alba al sostegno dell’integrazionismo latinoamericano), ma assai conservatore in patria. Il collettivo Yasunidos non incalza il presidente soltanto sul tema del progetto Yasuní-ITT, ma anche su altre tematiche che hanno a che vedere l’estrazione petrolifera. Ad esempio, dicono gli Yasunidos, come si può parlare del Sumak Kawsay, il buen vivir indigeno, quando ufficialmente il governo si schiera contro le multinazionali, ma in realtà apre loro le porte per l’estrazione petrolifera senza tener conto dei diritti delle comunità indigene stesse per perorare, al contrario, la causa estrattivista? La campagna a favore del progetto Yasuní-ITT si è trasformata in una rivendicazione dei movimenti sociali che incalzano Correa da sinistra sul suo stesso terreno, quello della sbandierata Revolucción Ciudadana, rimasta anch’essa incompiuta. È in questo contesto che la Costituzione del 2008, al pari del buen vivir, è stata definita da intellettuali e movimenti sociali come un’operazione di marketing politico: doveva essere il fiore all’occhiello della Revolucción Ciudadana e invece sotto molti aspetti non è stata applicata. Ad esempio, la tutela dello stato plurinazionale, il consolidamento dei diritti individuali e collettivi e il rispetto della natura, approvati con entusiasmo e a larga maggioranza con il referendum del 28 settembre 2008, sono considerati dal governo un ostacolo e non più parte di quel progetto radicale che indicava il cammino verso una società postcapitalista. Il tema stesso della consultazione previa, libera e informata dei popoli indigeni, prima di procedere con processi ad alto impatto umano e ambientale sul loro territorio non è stato attuato, come dimostra proprio il caso del progetto Yasuní-ITT. Alberto Acosta ha usato parole dure contro Correa, accusato di pensare soltanto “al funzionamento dell’Assemblea Nazionale come un orologio svizzero sintonizzato con il suo pensiero e senza alcuna possibilità di discrepanza”, una sorta di “stato di diritto come tirannia”, per utilizzare le parole dell’intellettuale boliviano Luis Tapia, che evidenzia come Palacio de Carondelet utilizzi il tema dei diritti civili e politici a seconda della propria convenienza. Al tempo stesso va riconosciuta la coraggiosa battaglia condotta dall’Ecuador, il paese più piccolo dell’Opec, per quanto riguarda la vicenda Chevron-Texaco. Come ha scritto su Le Monde Diplomatique di marzo Hernando Calvo Hospina, da un lato si trova un paese di soli quindici milioni di abitanti, dall’altro il gigante dell’industria petrolifera per eccellenza, il cui volume di affari, nel corso del 2012, ha superato i 230 milioni di dollari. Nonostante si tratti di una battaglia impari, Quito ha deciso di andare fino in fondo e di far pagare alla multinazionali i danni causati dall’inquinamento, anche se i mezzi di Chevron-Texaco sono infinitamente superiori rispetto a quelli dell’Ecuador. Un esempio che spiega bene la disparità di forze in campo è riportato dallo stesso Hospina, che ha raccontato nel suo reportage su Le Monde Diplomatique di aver ricevuto una mail, lo scorso dicembre, da Morgan Crinklaw, portavoce di Chevron, in cui il numero uno della multinazionale lo avvisava di essere a conoscenza del suo viaggio tra i campi petroliferi dell’Ecuador. Il giornalista scrive che la mail di Crinklaw proseguiva con un attacco al presidente Correa, reo di perseguitare Chevron, ma si è guardato bene di rispondere alla successiva mail di Hospina, che gli chiedeva come era venuto a conoscenza del suo viaggio e, soprattutto, chi era che gli aveva fornito il suo indirizzo di posta elettronica. Chevron-Texaco ha speso milioni di dollari per uscire indenne dal processo a suo carico in Ecuador, dove nel 2011 è stata condannata a pagare una cifra intorno ai 9500 milioni di dollari all’Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones de la Petrolera Texaco. In questo caso Palacio de Carondelet è deciso ad ottenere quanto gli spetta per aver provocato contaminazione ambientale ed aver pregiudicato la salute delle comunità indigene del paese.

Dall’ambivalenza del governo tra la fermezza esibita sul caso Chevron e l’altrettanto decisa posizione a non tornare indietro sulla sospensione del progetto Yasuní-ITT, è derivato lo slogan degli Yasunidos De la mano sucia de Chevron a la posible mano sucia de Correa. Sul modello di sviluppo petrolifero del paese il dibattito è aperto.

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