Il Cile volta pagina

Gabriel Boric stravince il ballottaggio contro il pinochettista Josè Antonio Kast e promette di impegnarsi per garantire i diritti civili, sociali e politici in uno dei paesi più diseguali al mondo. A La Moneda andrà un governo “ambientalista e femminista”.

di David Lifodi

Scampato pericolo. Al ballottaggio presidenziale di ieri, 19 dicembre, il virus del bolsonarismo, che rischiava di tracimare dal Brasile al Cile, è stato sconfitto. Josè Antonio Kast, che pure dopo il primo turno era in vantaggio, si è dovuto arrendere al trentacinquenne Gabriel Boric, più giovane di lui di venti anni.

Con uno scarto di 11 punti percentuali Boric, già definito il presidente millennial, ha riportato il centro-sinistra a La Moneda. I cileni hanno rifiutato apertamente il programma di Kast, fiero simpatizzante del pinochettismo, convinto assertore dell’urgenza di eliminare il Ministero della donna e promotore di un piano ancora più repressivo nei confronti dei mapuche, le cui bandiere hanno sventolato a lungo, sotto al palco di Boric, per festeggiarne la vittoria.

Quello che si annuncia come il primo governo “ambientalista e femminista” nella storia del Cile avrà di fronte un compito arduo. Pur sostenuto dai socialdemocratici Ricardo Lagos e Michelle Bachelet, suoi predecessori alla presidenza prima di Piñera, l’ex leader delle lotte studentesche che, nel 2011, smossero il Cile dalle sue fondamenta, dovrà comunque evitare di ripercorrere le loro orme più riformiste. Di certo, in uno dei paesi più diseguali al mondo, e con un’oligarchia che di certo non perderà occasione per mettergli i bastoni tra le ruote, Boric, non potrà fare la rivoluzione in pochi mesi, ma i punti principali del suo programma, da un’assistenza sanitaria equa al lavoro per una nuova Costituzione che renda giustizia alle molteplici lotte sociali presenti in Cile, fino all’impegno per togliere lo stato d’assedio, la militarizzazione e le violente operazioni di polizia in territorio mapuche, su cui era più volte inciampata anche la stessa Bachelet, fanno ben sperare.

Al primo turno Kast aveva ottenuto il 27,9% dei consensi contro il 25,8% di Boric che, nonostante abbia promesso di cancellare una volta per tutte il neoliberismo dal Cile, è stato costretto, inevitabilmente, a moderare la sua retorica per conquistare voti al centro. Se Kast ha avuto dalla sua parte, oltre al suo partito, il Fronte cristiano sociale, i pinochettisti dell’Udi, Boric ha vinto anche grazie al voto proveniente dalla Concertación, l’alleanza tra democristiani e socialisti alla base da sempre alla base delle presidenze “rosa” o di “centro-sinistra”, giunte a La Moneda.

In più, a sostenerlo in maniera compatta è stata la sua coalizione, Apruebo Dignidad, insieme alla sinistra sociale cilena che ha apprezzato sia l’incipit del suo discorso poco dopo la chiusura delle urne, in lingua mapuche, sia la chiusura, che ha richiamato l’intervento di Salvador Allende a seguito della sua elezione del 4 settembre 1970: Vayan a sus casas con la alegría sana de la limpia victoria alcanzada”. Boric, che entrerà in carica il prossimo 22 marzo, dovrà adoperarsi per far convivere le diverse anime della sinistra, dal Frente Amplio al Partito Comunista, ma è già percepito come l’uomo del cambiamento e non può essere diversamente. Del resto, il nome stesso della sua coalizione, Apruebo Dignidad, è significativo perché mira a far ritrovare al paese quella dignità cancellata da un’oligarchia promotrice solo di politiche escludenti per oltre la metà dei cileni.

Nel 2019, la protesta giovanile e di massa contro il presidente Piñera e le sue politiche ultraliberiste riempirono le strade di Santiago del Cile e delle altre città del paese, oltre a sollevare un’onda lunga che avrebbe portato il vento della protesta anche in Ecuador e Colombia. La destra non è riuscita in alcun modo a frenare il vento del cambio. La presidenza Boric, sotto certi aspetti, è anche frutto di quell’estallido social del 18 ottobre 2019.

Il cinquantacinquenne Kast, astro nascente dell’estrema destra latinoamericana, ha rifiutato più volte, nei suoi interventi, di allinearsi alla vulgata di una destra liberale presentabile che, pur scommettendo sul neoliberismo, ha sempre riconosciuto i valori della democrazia. In Cile la destra radicale ha un ruolo rilevante e ciò a permesso a Kast di giocarsi la presidenza con Boric, ma lo ha anche indotto a clamorosi autogol con dichiarazioni da far rabbrividire, sostenendo, ad esempio, che se Pinochet fosse stato vivo avrebbe votato per lui e che il governo della dittatura, in relazione allo sviluppo del paese, era stato molto migliore di Piñera, di certo non propriamente un progressista.

Se in Brasile dichiarazioni politicamente scorrette, e anche peggiori di queste, hanno portato Bolsonaro a conquistare il Planalto, la stessa strategia in Cile si è rivelata perdente. La vittoria di Boric è stata limpida e netta e lo stesso Kast ha dovuto ben presto riconoscere la sconfitta.

Tra coloro che guardano con fiducia a Boric vi sono i mapuche. Lo stato d’assedio dell’Araucanía, la strategia della tensione imposta da Piñera, ma anche la timidezza e i troppi tentennamenti della ex Concertación devono essere superati rapidamente, così come tanti altri aspetti della vita politica del paese su cui l’agenda è stata troppo spesso dettata dalle destre, più o meno radicali, dai diritti civili a quelli sessuali e riproduttivi fino appunto all’autodeterminazione del pueblo-nación mapuche.

Quello che sembrava un ballottaggio dal risultato incerto si è trasformato, per Boric, in un trionfo. Se il nuovo presidente cileno manterrà fede alle sue promesse e si farà portavoce delle istanze delle piazze cilene e difenderà il processo costituente, il Cile potrebbe davvero cambiare pagina. La sua vittoria alle primarie contro Daniel Jadue, stimato esponente del Partito Comunista cileno, inizialmente fece storcere il naso a qualcuno, ma la sua giovane età è stata probabilmente determinante per condurre Boric alla guida del paese.

Ed ora alla lotta, Gabriel!

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Cile libero

di Franco Astengo
Dal martoriato Sud America arriva un messaggio importante a tutta la sinistra e alle forze progressiste.
Un messaggio che riguarda tutti coloro che pensano che la storia non sia finita e che ci sia ancora spazio per un cambiamento radicale ed efficace dello “stato di cose presenti”.
Il leader della sinistra Gabriel Boric ha vinto le elezioni presidenziali in Cile al ballottaggio contro il neo-pinochettista José Antonio Kast: il numero uno della coalizione Apruebo Dignidad diventa così a 36 anni il più giovane presidente della storia del paese andino, quello in cui si consumò la tragedia (indimenticabile) del golpe made in USA e dell’assassinio del presidente Allende.
Apruebo Dignidad (Approvo la Dignità) è la coalizione di sinistra formata dal Partito Comunista Cileno, da Convergencia Social (socialismo libertario) e da altri gruppi (Revolucion Democratica, Comunes, Federazion Rgionalista Verde Social, Fuerza Comun, Movimento Unir, Accion Humanista, Sinistra Cristiana del Chile, Izequerdia Libertaria).
Erede del Frente Amplio, Apruebo Dignidad ha ottenuto 1.070.361 voti alle elezioni per la Costituente nel 2021, pari 18,74% e 18 seggi, mentre al primo turno Boric aveva avuto 1.814.809 voti (25,83%) saliti a oltre 4 milioni nel turno di ballottaggio svoltosi ieri.
Questa coalizione di sinistra definisce così il proprio perimetro ideale e progettuale: socialismo democratico, giustizia sociale, femminismo, ecologismo, antineoliberismo e il Partito Comunista del Cile non ha ammainato la propria bandiera.
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In Cile: Gabriel Boric offre una vittoria inedita alla sinistra

(traduzione dell’articolo di Mathieu Dejean e Fabien Escalona, pubblicato il 20 décembre 2021 qui: https://www.mediapart.fr/journal/international/201221/au-chili-gabriel-boric-offre-une-victoire-inedite-la-gauche )

A capo di un’ampia alleanza che va dal Partito comunista al centrosinistra, il 35enne ex deputato ed ex leader studentesco ha vinto con il 56% dei voti contro il candidato di estrema destra José Antonio Kast. Gabriel Boric incarna una nuova sinistra, allo stesso tempo moderata e in contrasto con le forze che hanno assicurato la “transizione alla democrazia”. Ha promesso di porre fine all’eredità neoliberista della dittatura.

La vittoria è ampia. A capo di una vasta alleanza che va dal Partito comunista al centrosinistra, l’ex deputato ed ex leader studentesco Gabriel Boric, 35 anni, ha vinto con il 56% dei voti contro il candidato di estrema destra José Antonio Kast. Incarna una nuova sinistra, moderata e allo stesso tempo in contrasto con le forze che hanno assicurato la “transizione alla democrazia”. Il nuovo presidente si è impegnato durante la campagna a porre fine all’eredità neoliberista della dittatura.

Gabriel Boric gestisce molto bene i simboli. La sera della sua vittoria nelle primarie della coalizione di sinistra ciamata “Apruebo Dignidad” per le elezioni presidenziali cilene del 18 luglio, ha celebrato l’occasione concludendo il suo discorso con un cenno a Salvador Allende. “Presto, in tutte le regioni del Cile, si riapriranno ampie strade che uomini e donne liberi intraprenderanno per costruire una società migliore”, ha promesso ai suoi sostenitori. L’allora ex-presidente socialista dell’Unità Popolare (UP, che ha riunito Partito Comunista e Partito Socialista, dal 1970 al 1973) aveva pronunciato questa frase nel palazzo della Moneda, bombardato durante il colpo di stato militare di Augusto Pinochet l’11 settembre 1973 Quel giorno, finì nel sangue la speranza suscitata dalla “via cilena al socialismo”, tracciata dal compagno presidente.

Anche se il contesto è cambiato, per il giovane candidato della nuova sinistra cilena ha senso riallacciarsi alla memoria dei mille giorni del governo UP. A 35 anni (giusto l’età legale per governare il Paese), Gabriel Boric incarna la possibilità di svolta a sinistra in Cile, dopo tre decenni di “patto di transizione” alla democrazia, e l’alternanza tra la Concertazione democratica (il centro-sinistra di Michelle Bachelet) e la destra (incluso l’attuale capo di stato Sebastian Piñera). La sua vittoria costituisce una rottura nell’ordine elettorale che era stato costruito dopo il ritorno alle elezioni pluraliste nel 1989.

Se uno scenario del genere è emerso è perché la configurazione politica del Paese andino è stata appena stravolta in pochi anni. La storica rivolta sociale dell’ottobre 2019 ha permesso di aprire un processo costituente, approvato con un referendum dal 78% dei votanti il 25 ottobre 2020. L’elezione della Convenzione Costituzionale, nel maggio 2021, è stata segnata dalla scomparsa della destra e dell’ex-Concertazione (la coalizione di centro-sinistra che ha gestito la transizione alla democrazia fino agli anni 2010).

Ulteriori indizi sono stati le recenti vittorie di una giovane attivista femminista e comunista nel municipio di Santiago, Irací Hassler, e di un attivista contro la privatizzazione dell’acqua come governatore della regione di Valparaíso, Rodrigo Mundaca, questi i segni del campo delle possibilità in un paese che è stato un laboratorio per il neoliberismo.

In questo contesto di opposizione a questa persistente eredità della dittatura, mentre i movimenti sociali del 2019 sono stati più attutiti dalla pandemia ma non estinti, Gabriel Boric è stato in grado di conquistare la presidenza contro un candidato di estrema destra, José Antonio Kast, che a gran voce rivendicava l’eredità di Pinochet e preoccupava i difensori delle libertà.

“Di fronte alla stessa crisi, Boric incarna un esito progressista, di trasformazione sociale, e Kast, un esito conservatore, autoritario, antifemminista e scettico sul clima”, così riassume Pablo Abufom, editore cileno e membro del comitato editoriale della rivista Giacobina America Latina. Ciò vuol dire che il peso della storia grava sulle spalle di Gabriel Boric.

Egli è nato nel 1986 a Punta Arenas, nella regione meridionale del Cile; tuttavia, non è l’incarnazione di una rinascita del socialismo democratico come a suo tempo fu Salvador Allende. Inoltre, a Boric non è stato nemmeno dato favorito per rappresentare il campo anti-neoliberista.

Ampiamente unito nella coalizione Apruebo Dignidad (Approvo la dignità), che riunisce il Frente Amplio (Front large, coalizione nata nel 2016) e il Partito comunista cileno, questo campo ha organizzato una primaria interna il 18 luglio. E’stato piuttosto Daniel Jadue, candidato comunista e popolare sindaco di Recoleta, a essere considerato il probabile vincitore del ballottaggio. Ma Gabriel Boric l’ha vinto nettamente, raccogliendo quasi un milione di voti sul suo nome, ovvero il 66% dei voti espressi.

Per capire questo successo e cosa sta cercando di farne Boric a livello nazionale, dobbiamo riprendere il filo del suo percorso militante e ideologico.

Una traiettoria da meteorite della politica

Undici anni fa, Gabriel Boric era un completo sconosciuto a livello nazionale. La sua notorietà, però, era già balzata all’interno della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Cile a Santiago. Fu nel 2004 che il futuro leader politico si unì a questa struttura. Ben presto mantenne legami politici e intellettuali con compagni che si riconoscevano in “autonomia”.

“E’ un’idea politica singolare”, spiega Axel Nogué, ricercatore di storia contemporanea presso l’Università di Tolosa 2-Jean Jaurès. Sviluppa una critica delle esperienze di sinistra del Novecento, compresa quella dell’Unità Popolare, e invoca una strategia di emancipazione delle persone e dei settori più oppressi che passi attraverso strumenti di pensiero acquisiti al di fuori delle istituzioni”.

In linea con questo pensiero, Boric ei suoi amici hanno fondato la Sinistra Autonoma nel 2008. Questo collettivo politico indica i limiti del “patto di transizione”” sostenuto dalla Concertazione, ma rifiuta anche la tradizione incarnata dal Partito Comunista. “Deplora la sua vecchia estetica, il suo “centralismo democratico” e il suo fascino su vecchi attori come la classe operaia, decifra Axel Nogué. La Sinistra Autonoma è infatti consapevole che una ricostruzione della società è avvenuta sotto la dittatura, e che ha decostruito il vecchio tessuto sociale dell’era dell’Unità Popolare. Secondo la Sinistra Autonoma, le lezioni del passato devono essere utilizzate per produrre nuovi strumenti politici, per costruire qualcosa di nuovo”.

Ecco allora la matrice primaria di Gabriel Boric, che però non investe nell’elaborazione ideologica propriamente detta. Il suo talento è prima di tutto quello di un attivista, che parla con disinvoltura e dimostra un’innegabile competenza nel campo. Nel 2009, mentre era presidente del Center for Law Students (CED), si è anche illustrato alla guida di una mobilitazione di 44 giorni contro la contestata dirigenza del preside Roberto Nahum.

L’episodio è cruciale per spiegare la sua adesione alla guida della Federazione degli studenti dell’Università del Cile (Fech), alla fine del 2011. Contro ogni previsione, già Boric vince contro la comunista Camila Vallejo – che figura peraltro, oggi, tra i membri della sua squadra elettorale.

Per tutta la vita, Boric ha vinto contro i sondaggi (Victor de la Fuente, direttore dell’edizione cilena di Le Monde)

Come leader studentesco ora noto a livello nazionale, Gabriel Boric diventa una figura nel movimento studentesco 2011-2012, lanciato attorno alla domanda di istruzione pubblica gratuita e di alta qualità. Sono queste le mobilitazioni studentesche più significative dal ritorno alla democrazia, descritte da alcuni come una “primavera cilena” che ha messo in luce i vicoli ciechi del modello neoliberista e politicizzato intere coorti di giovani.

Boric è quindi favorevole a “de-settorializzare” la lotta per legarla ad altri settori che soffrono di scarsi investimenti pubblici, concorrenza dilagante e precarietà. Nelle elezioni legislative del 2013, come altri leader studenteschi emersi nell’occasione, riuscì ad essere eletto. Il suo successo è essere un candidato indipendente, senza l’appoggio di una macchina politica. L’evento rafforza la sua notorietà.

Per tutta la vita Boric ha vinto contro i sondaggi”, osserva Victor de la Fuente, direttore dell’edizione cilena di Le Monde diplomatique. Nel 2011 è stato eletto presidente del Fech quando nessuno se lo aspettava, e pochi anni dopo è stato l’unico ad essere eletto deputato sotto l’etichetta di Sinistra Autonoma, contro il sistema binomiale [un sistema elettorale che favorisce la permanenza delle due grandi coalizioni dopo il ritorno alla democrazia – ndr]”.

Alla Camera dei Deputati Boric forma un tandem con Giorgio Jackson, altra figura del movimento studentesco. Entrambi cercano di capitalizzare i blocchi dei partiti di centrosinistra al potere. Michelle Bachelet, imbarazzata dai settori più conservatori della sua coalizione, è particolarmente incapace di portare a termine il processo costituente che era già stato promesso.

Durante gli anni 2015-2016, afferma Axel Nogué, Boric e i suoi amici vogliono catturare queste frustrazioni e lavorare per la costituzione di una terza forza politica alternativa, rompendo da un lato con la Costituzione del 1980, dall’altro con l’ordine socio-economico trasmesso dalla dittatura. “

Boric si liberò quindi dalla Sinistra Autonoma, creò un nuovo movimento e si riunì con altre piccole formazioni sotto la bandiera del Fronte Ampio. Prendendo il nome del movimento uruguiano che ha conquistato massicce vittorie elettorali dal 2004 (coalizione è nata ufficialmente nel 2016). La sua candidata, Beatriz Sánchez, ha avuto il 20% alle elezioni presidenziali del 2017, ma non è potuta passare al secondo turno.

L’esistenza del Largo Fronte non sopprime quella dei suoi membri. Lo stesso vale per l’attuale coalizione Apruebo Dignidad, che comprende il Fronte Ampio, il Partito Comunista e gli ambientalisti. Eppure, l’aggregazione s’è fatta, per sfruttare una finestra di opportunità: da un lato, l’apertura del processo costituente a seguito dell’eruzione popolare del 2019 e, dall’altro, un esame di coscienza del Partito Comunista, che aveva governato con il centrosinistra tra il 2014 e il 2018 e ora cercava un altro tipo di alleanze.

Boric aveva una componente di protesta, alla quale ha aggiunto una componente istituzionale firmando un accordo con le autorità nel 2019 (il ricercatore Axel Nogué)

Se Gabriel Boric ha vinto le primarie in questa coalizione, non è stato senza rischiare prima. Il 15 novembre 2019, al culmine della rivolta sociale, quando il presidente Piñera ha mandato in piazza l’esercito per la prima volta dopo la dittatura, e diversi manifestanti sono morti nelle rivolte, il membro del Front Largo ha firmato un accordo di pace negoziato con le autorità. Il Partito Comunista lo ha boicottato. Ancora peggio: anche una parte del Fronte Ampio è contraria, incluso il leader del suo stesso partito, Convergenza sociale.

“Per una parte dei movimenti e della sinistra radicale, questo accordo ha seppellito il potere destituente della strada e la possibilità di un impeachment del presidente Piñera”, spiega Franck Gaudichaud, professore di storia latinoamericana all’università di Tolosa 2-Jean Jaurès. Boric, che dal 2011 condanna sistematicamente ogni forma di violenza politica di massa, firma quindi solo a proprio nome. L’accordo ha però ancora il merito di segnare l’avvio del processo costituente, e di stabilizzare una situazione della quale tanti temevano il carattere caotico.

“Una gran parte della popolazione voleva una transizione pacifica”, conferma Axel Nogué. Boric ha risposto a questa parte meno dissenziente del suo elettorato, in definitiva nella maggioranza se si devono credere ai suoi risultati primari. La sua firma dell’accordo nel 2019 avrà contribuito a riequilibrare la sua immagine di attivista acquisita dal 2011. Aveva una componente di protesta, alla quale ha aggiunto una componente istituzionale. Anche se, in realtà, è sempre stato molto gradualista”.

Una campagna “al centro”, ma per voltare pagina dopo il neoliberismo

La vittoria di Gabriel Boric nelle primarie di Apruebo Dignidad continua quella traiettoria: una promessa di rompere con l’eredità persistente dell’era Pinochet, ma senza ribaltare il tavolo.

Di fronte a lui, durante queste elezioni, il Partito Comunista ha avanzato proposte più radicali e ha cercato di mobilitare gli astenuti, e quindi i circoli popolari che forniscono i principali battaglioni. Ma “questa campagna si è rivelata un fallimento, mentre Boric ha mobilitato con maggior successo il suo elettorato più intermedio e l’ex base elettorale della Concertazione”, osserva Franck Gaudichaud.

Più che i comunisti, Boric ha saputo parlare di temi legati alle disuguaglianze di genere, ai diritti delle minoranze sessuali, alla tutela dell’ambiente. Allo stesso tempo, ha trasformato il suo comportamento nel 2019 in una risorsa: “Ha usato il suo sostegno all’accordo del 2019 come garanzia di ‘governabilità’, che è un concetto centrale in Cile”, commenta Axel Nogué.

Insomma, l’ex leader del movimento studentesco nel 2011 è riuscito a unire le persone, ma offrendo un esito rassicurante ai progressisti riluttanti a farsi rappresentare da Daniel Jadue. “Pensavamo tutti che [quest’ultimo] incarnasse meglio lo spirito della rivolta, ma Boric aveva il vantaggio di non essere comunista, in un paese molto anticomunista”, ha affermato l’editore cileno Pablo Abufom.

Durante i dibattiti televisivi, pur condividendo l’essenziale sul merito con il rivale, Boric si è così distinto prendendo le distanze dalle frange più radicali della rivolta dell’ottobre 2019, e tendendo la mano a vecchie figure del centrosinistra.

Tra questi, due ciak appaiono particolarmente simbolici: l’ex ministro socialista Jorge Arrate e la deputata socialista Maya Fernandez, che non è altro che la nipote di Salvador Allende. Questo anche se il Partito Socialista sostiene ufficialmente la candidata democristiana Yasna Provoste.

In questo Boric sembra aver raccolto la sfida lanciata dall’ex presidente uruguaiano José Pepe Mujica, figura della sinistra latinoamericana, in un’intervista che gli aveva concesso dopo la vittoria alle primarie:

Dobbiamo unire. L’aggregazione è l’eterno problema delle sinistre. Ecco perché Franco è morto nel suo letto ed è per questo che Hitler è salito al potere. La sinistra è divisa sulle idee, perché vuole essere assolutamente d’accordo a tutti i costi, mentre la destra, invece, non ha difficoltà a unirsi attorno ai propri interessi“.

Ma qual è il contenuto esatto di questo incontro? Quando si tratta di caratterizzare il progetto del candidato Boric, i nostri interlocutori hanno difficoltà a trovare le parole giuste. Il termine “socialdemocratico”, oltre alla sua connotazione molto europea, fornisce scarse informazioni sulla reale rottura con l’egemonia esercitata dal centrosinistra sul campo, che non si riconoscerà mai nella destra. Allo stesso tempo, le sue proposte non hanno il potenziale per mettere in discussione i fondamenti dell’ordine sociale, motivo per cui a volte viene trattato di “amarillo” (“giallo”, o “traditore sociale”) da parte dei manifestanti (come in questo video in cui è stato contestato violentemente per strada).

Il suo programma è chiaramente di sinistra, ma moderato. Possiamo qualificarlo come post-neoliberista in senso progressista”, tenta di riassumere Franck Gaudichaud. Il documento, che è stato svelato solo molto tardi nella campagna, è attraversato da quattro assi trasversali: decentramento, femminismo, lavoro dignitoso e crisi climatica (come simbolo politico ha scelto anche un albero, già presente nel clip della sua prima campagna).

Tra le sue 53 proposte (leggere qui), le più centrali riguardano la fine del sistema pensionistico con contribuzione individuale (capitalizzazione) e l’istituzione di un sistema di solidarietà statale, il rafforzamento dell’istruzione pubblica, la legalizzazione dell’aborto (per il momento è possibile solo ricorrervi in caso di pericolo per la vita della madre, del figlio, o di stupro), la regolamentazione degli affitti e la costruzione di 260.000 unità abitative dignitose. Infine, Boric offre un’altra garanzia: “Con lui potremo continuare lo sforzo della Convenzione costituzionale, cosa tutt’altro che certa con Kast”, sottolinea Victor de la Fuente.

Questo modo di collegare le istanze dei movimenti sociali e le istituzioni ricorda l’esperienza di Podemos in Spagna, anche se Boric non ha costruito un movimento politico potente come quello di Pablo Iglesias.

“Vuole sia rompere con la Concertazione sia costruire una nuova governabilità di sinistra, prendendo le distanze sia dal centrosinistra tradizionale che da settori della sinistra radicale”, afferma Pablo Abufom.

Esistono contatti con Íñigo Errejón, co-fondatore di Podemos prima di seguire la propria strada. Sono coerenti con il posizionamento di un progressismo verde emancipato dal tragico passato del movimento operaio. Quanto a Pablo Iglesias, ormai ritiratosi dalla guida del partito, ha pubblicamente sostenuto Boric, accogliendo su Twitter la sua denuncia degli elementi discriminatori del programma del candidato di estrema destra, durante l’ultimo dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza, il 15 novembre.

Ora eletto, un intero Paese è in attesa di vedere come farà aprire le “grandi strade” verso una società migliore.

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David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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