In Belgio un agricoltore ha fatto causa a TotalEnergies

Un agricoltore chiede al colosso petrolifero di rispondere dei suoi impatti sul clima.

di Rita Cantalino (*)

 

La prima causa climatica contro una multinazionale, in Belgio, vede protagonista il colosso petrolifero TotalEnergies. A muovere l’azione legale un agricoltore: Hagues Falys, con il sostegno delle ONG belghe FIAN, Greenpeace e Ligue des droits humains (LDH). Al centro del contenzioso, il contributo del gigante fossile alle crisi climatiche, i cui impatti si ripercuotono ogni giorno sull’agricoltura e sul lavoro di chi vive a stretto contatto con la terra.

«I cambiamenti climatici stanno avendo un impatto tangibile sulla mia vita»

Perdita della resa agricola, lavoro extra e stress legato a un calendario delle colture stravolto: queste le motivazioni della denuncia di Falys, agricoltore della provincia dell’Hainaut. «I cambiamenti climatici – ha dichiarato – stanno avendo un impatto tangibile sul mio lavoro e sulla mia vita». Proprietario di un’azienda agricola, ha deciso di fare causa a TotalEnergies per le sue responsabilità nella crisi climatica. Al suo fianco la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), che conduce il progetto #SeeYouInCourt per richiamare le imprese alle proprie responsabilità su ambiente e diritti umani in sede legale.

La denuncia, depositata il 13 marzo al Tribunale commerciale di Tournai, vede il sostegno di FIANGreenpeace Belgio e della Ligue des droits humains (LDH). La decisione di chiedere a TotalEnergies di rispondere dei propri impatti sul clima è legata, per Falys, agli effetti che i cambiamenti climatici hanno sul suo lavoro: «La mia professione è intimamente legata al clima. Negli ultimi anni, i cambiamenti climatici hanno causato molti danni agli agricoltori e ci hanno lasciato incerti sul futuro».

La causa legale: TotalEnergies si adegui all’Accordo di Parigi

Le parti chiedono al tribunale il riconoscimento dei danni subiti da Falys, ma anche l’imposizione di impegni concreti a TotalEnergies. Perché la multinazionale agisca nel rispetto degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, i querelanti chiedono l’interruzione dei nuovi investimenti in progetti fossili e la riduzione dell’attuale produzione di gas e petrolio, del 47% entro il 2030, del 70% entro il 2040. Secondo Gaëlle Dusepulchre, vicedirettrice del Business, Human Rights and Environment Desk della FIDH: «La soluzione alla crisi climatica richiede che le multinazionali interrompano immediatamente i nuovi investimenti nei combustibili fossili per frenare le emissioni di gas serra».

 

La Federazione supporta attivamente questa azione dal punto di vista legale, mediatico, organizzativo e finanziario. LHD, rappresentante di FIDH in Belgio, è in prima linea nel processo. «La mancanza di azione climatica da parte di TotalEnergies va contro le prove scientifiche e le raccomandazioni degli organismi internazionali di agire ora per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C». Ha dichiarato Matthias Petel, presidente della Commissione per la giustizia ambientale della Lega, che ha sottolineato il ruolo cruciale delle decisioni dei tribunali per una giusta transizione ecologica.

21 aziende sono responsabili di più di un terzo delle emissioni globali

TotalEnergiesprincipale raffinatore e distributore in Belgio, figura tra le 21 aziende fossili responsabili di più di un terzo delle emissioni globali di gas serra. Tra queste altri grandi nomi dell’oil&gas come Saudi Aramco, ExxonMobil, Shell, BP, Chevron, secondo quanto riportato dallo studio “Time to pay the piper: Fossil fuel companies’ reparations for climate damages”. La ricerca, pubblicata sulla rivista One Earth, è a cura di Marco Grasso (Università Bicocca) e Richard Heede (Climate Accountability Institute del Colorado). I due ricercatori hanno quantificato i costi economici della crisi climatica tra il 2025 e il 2050 in 5.400 miliardi: 29 miliardi di dollari l’anno. Spese che, secondo lo studio e secondo Falys e le ONG che lo sostengono, devono esser pagate dalle aziende responsabili delle emissioni.

«TotalEnergies – si legge nella nota dei denuncianti – fin dagli anni ‘70 è stata consapevole dell’impatto climatico delle sue attività, ma ha deliberatamente seminato dubbi sull’origine del cambiamento climatico per disturbare le politiche climatiche emergenti a livello europeo e internazionale».

L’onda delle climate litigation

La causa legale contro TotalEnergies è solo l’ultima delle climate litigation che, in tutto il mondo, mirano a portare alla sbarra governi, amministrazioni e imprese. Anche l’Italia ha dato il proprio contributo a quest’onda globale, con la prima causa legale contro lo Stato e quella contro Eni. Giudizio Universale, la causa mossa da A Sud e una rete di cittadini, associazioni e gruppi informali, imputa allo Stato italiano di non agire in maniera efficace contro la crisi climatica.

Proprio nei giorni scorsi è arrivata la sentenza di primo grado del Tribunale di Roma, che ha definito la causa inammissibile per difetto di giurisdizione. Nei mesi passati invece erano state Greenpeace Italia e Recommon, insieme a dodici cittadini, a lanciare la propria azione legale per imporre a un altro gigante del petrolio, la multinazionale di casa nostra, Eni, di rispondere del proprio operato e dei propri impatti sul clima.

(*) Testo e foto originali: https://valori.it/totalenergies-causa-legale/

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