Indigeni Maya Chortí: i paria dell’Honduras

di David Lifodi

Della comunità indigena Maya Chortí, che vive tra i dipartimenti honduregni di Copán e Ocotepeque, al confine con il Guatemala, non si sa molto, se non che la sua esistenza è stata caratterizzata dalla continua spoliazione delle terre e dell’acqua. Si tratta di un pueblo assottigliatosi fino alle attuali trentamila persone, che hanno vissuto  numerose traversie, dalla schiavitù sotto la dominazione spagnola all’attuale persecuzione anti-indigena dell’ esecutivo dell’Honduras, installatosi nel paese il 28 giugno 2009 dopo aver cacciato il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya con un colpo di stato.

Ridotti a poche decine di migliaia di persone nella seconda metà del XVI dal colonialismo spagnolo, i Maya Chortí furono utilizzati per estrarre l’oro e altri minerali preziosi e finirono per essere contagiati dalle malattie importate dal vecchio continente. Schiavi senza terra, considerati alla stregua delle bestie, ai Maya Chortí è stato negato qualsiasi diritto, almeno fino al 1996, quando, a seguito delle proteste internazionali, lo stato honduregno fu costretto a riconoscerli ufficialmente dal punto di vista giuridico, garantendo loro l’erogazione dei servizi essenziali di cui tutti gli stati dovrebbero farsi promotori: terra, scuola, assistenza sanitaria ecc… . Purtroppo, a quasi venti anni dalle promesse ufficializzate formalmente dall’Honduras, circa il 95% dei Maya Chortí vive sotto la soglia della povertà, buona parte di loro è analfabeta e oltre il 90% dei bambini inferiori ai cinque anni di età soffrono di denutrizione cronica. Il maggior risultato del Consejo Nacional Indígena Maya Chortí durante i suoi negoziati con il governo honduregno è stato quello di ottenere due posti di lavoro presso il Santuario di Copán (assegnato nel corso del XIX secolo all’allora console statunitense John Lloyd Stephens per appena 50 dollari) per due suoi alti dirigenti nel settore della sicurezza e della pulizia. La maggior parte degli indigeni Maya Chortí attualmente lavora come contadini nelle fincas dei grandi proprietari terrieri per meno di 100 lempiras (circa 5 dollari). I fagioli e il mais che ogni famiglia produce servono per pagare l’affitto del terreno dove coltivano, un’ingiustizia enorme per un popolo millenario che da sempre ha abitato in queste terre. Inoltre, i pochi Maya Chortí che lavorano nel settore del turismo sono stati ridotti a folclore locale, manipolati dalle organizzazioni non governative e dalle istituzioni honduregne, che vedono nel turismo di lusso un mezzo per rimpolpare le disastrate casse economiche del paese. Insieme alle altre comunità indigene dell’Honduras, i Maya Chortí sono tuttora vittime della violenza generata da un sistema economico e politico che non rispetta né la loro cosmovisione né la loro cultura. Solo pochi mesi fa l’ambasciatore dell’Unione Europea Ketil Karlsen, visitando alcune comunità indigene Maya Chortí nelle zone più marginali del paese, non ha potuto far altro che constatare povertà ed esclusione, ma al tempo stesso ha avuto la possibilità di conoscere i progetti di economia solidale e di democrazia partecipata portati avanti da questo indomito popolo. Eppure, secondo l’Organismo cristiano de desarrollo integral de Honduras (Ocdih), che lavora a stretto contatto con i Maya Chortí, buona parte della società honduregna ignora l’esistenza di questa comunità indigena o comunque non è a conoscenza delle sue drammatiche condizioni di vita. Grazie all’Ocdih nelle comunità Maya Chortí sono sorte cooperative di sviluppo agricolo, orti familiari e microimprese dedicate all’artigianato, ma esclusione, disuguaglianza sociale e mancanza di opportunità continuano a farla da padrone. Ancora peggiore è la situazione delle donne, che quotidianamente vanno incontro ad una tripla esclusione da parte dello stato, della società e delle loro stesse famiglie. Ad esempio, pur partecipando anche ad incontri con le comunità indigene del confinante Guatemala e lavorando nelle cooperative, le donne hanno un accesso alla terra ancora minore rispetto a quello degli uomini. Per quanto possa stupire, anche sotto la presidenza di Manuel Zelaya, i Maya Chortí non avevano guadagnato il diritto a tornare nelle loro terre ancestrali, anzi. In precedenza, nel 1997, uno dei loro leader, Cándido Amador, fu ucciso da sicari inviati dai terratenientes perché reclamava il diritto alla terra per la sua comunità. Su questo assassinio, i cui mandanti erano i grandi proprietari terrieri e i ganaderos, lo stato non ha mai indagato, mentre la promessa di restituire la terra ai Maya Chortí è sempre caduta nel vuoto a causa dell’opposizione dei latifondisti.

Il razzismo delle classi dominanti, l’indifferenza dello stato e dei media e la voracità delle multinazionali, che individuano nei Maya Chortí, e più in generale nelle comunità indigene honduregne un ostacolo alla loro sete di profitto, continuano a rappresentare il principale fattore di esclusione che attualmente le condanna alla povertà e alla sottomissione.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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