Le preziose lettere di Maria D’Asaro: una sedia…

… nell’aldilà per Peppino Impastato (e non solo).

di Santa Spanò

“Caro Peppino,

quando ti hanno ammazzato avevo vent’anni. Ero tutta casa, chiesa e università.

Attraversavo prudente e guardinga la stagione del terrorismo e della lotta di classe, degli indiani metropolitani e della fantasia al potere, forte degli anticorpi che una robusta educazione cattolica mi aveva fornito.

(…)

“Facciamo qualcosa per Marco, è in quarta e non sa ancora scrivere… don Rocco ha occupato l’asilo, assieme a un gruppo di madri: gli diamo una mano?”

“Sciocchezze – sentenziava il sedicente marxista di turno – la società cambierà solo quando saranno rovesciate le strutture socio-economiche”.

Ma non c’era alcuna rivoluzione all’orizzonte.

Così come altri volontari aiutavo i bambini a fare i compiti a Ballarò, dove tanti ragazzini abbandonavano la scuola prima della terza media…”

Si apre con questa lettera un libro da poco pubblicato per Diogene Multimedia (pp. 152, euro 16,00), “Una sedia nell’aldilà”, opera della giornalista e blogger Maria D’Asaro.

Peppino è Peppino Impastato e la lettera è indirizzata proprio a lui, insieme ad altrɜ protagonistɜ della vita civile, sociale e culturale: Andrea Camilleri, Giuliana Saladino, Franco Battiato, Salvo Lima, Dipsy, Alex Langer, Carlo Urbani, Vittorio Arrigoni, Anna Politkovskaja, Primo Levi, Natalia Ginzburg.

Nell’era dei whatsapp, dei messaggi, dell’e-mail, l’autrice si prende il tempo, che pare non esserci più, per scrivere delle lettere, nessun romanzo in forma epistolare, piuttosto l’ambizione di un saggio, tanto che alla fine del libro si ha la necessità di una rilettura per cogliere meglio i dettagli, gli accenni a fatti di cronaca, a storie che con la vita intima della nostra narratrice s’intrecciano. ɜ protagonistɜ di tutti i fatti sono personalità famose, a loro sono destinate le lettere che, senza nessun artificio o dissimulazione, ma con sincerità soggettiva, ci permettono di vedere più da vicino coloro che hanno fatto la differenza, di riviverlɜ grazie agli aneddoti del quotidiano di Maria D’Asaro che sfumano nella loro vita fino a fondersi.

“Caro Alex,

forse tu capiresti perché non aziono il pulsante del semaforo pedonale e aspetto pazientemente, per attraversare la strada, che non ci siano automobili vicine… per me è motivata dal desiderio di non aumentare i livelli di anidride carbonica… Approveresti anche il riciclo dell’acqua di scarico della lavatrice,  utilizzata per il water…

Ci manchi da tante estati… Qualche anno prima, avevi già confessato: “Vivo in un tale incrocio di dolori che non riesco né a dare né a ricevere quel che vorrei, e ho deciso di usare e rispettare più di prima le corazze difensive del caso”. Accidenti, l’hai chiusa sin troppo bene, quella corazza, l’hai resa impenetrabile. E nessuno ha intuito la tua determinazione al suicidio.”, scrive ad Alex Langer e continua: (…) Il tuo amico Enrico Deaglio afferma che europeo, cosmopolita, ‘mauerspringer’, capace cioè di oltrepassare i muri, lo eri naturalmente. Non solo per le tante lingue che parlavi. Enrico ricorda che “avevi un piacere naturale a passare i confini – fisici, etnici, culturali – per vedere che cosa c’era dall’altra parte. Per portare una lettera, un messaggio e per poter riportare indietro un segno di colloquio.”

Maria D’Asaro

Lettere che anche Maria D’Asaro consegna allə lettorə per rinsaldare un legame e salvarci dalla dimenticanza, salvare noi generazione superficiale e sempre più ignorante, facile all’ammirazione per sedicenti tiktoker, influencer, creator che diventano ɜ guru del sapere. La rivoluzione digitale ci ha esposto ad una sovrabbondanza d’informazioni spesso vuote di contenuto se non addirittura dannose e fasulle creando masse di analfabetɜ di ritorno, Maria ci presenta alcuni dei suoi amori, donne e uomini ammiratiɜ per il loro impegno politico e sociale, lo spessore umano e culturale; con una scrittura lineare e chiara, va diritta al cuore delle cose, testimonianze umane e riflessioni profonde accompagnano lə lettorə offrendo continuamente spunti per considerazioni politiche e filosofiche, considerazioni sul vivere e memoria storica.

“Cara Anna,

per migliorare un po’ il mondo bisognerebbe intanto cambiare la toponomastica delle città: eliminare i nomi di dei generali e dei capi di stato guerrafondai e intitolare piazze e vie a persone che si sono spese per gli altri; ad esempio ai giornalisti – come te, come Daphne Caruana Glizia, Natal’ja Ėstemirova, come Pippo Fava e Giancarlo Siani… – uccisi perché scrivevano la verità.

“L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede”.. Tu e Natal’ja avete avuto la determinazione e il coraggio di denunciare crimini e violazioni dei diritti umani in Cecenia;

(…)

Cara Anjuska, chissà cosa c’era nelle due buste di spesa che ingombravano le tue mani…

Non è stato difficile ucciderti, in ascensore: eri una donna sola, senza difesa, senza nessuna protezione, di ritorno dal supermercato…”

Dai toni colloquiali, amichevoli ad Anna Politkovskaja, così a Primo Levi ed allɜ altrɜ, si passa rapidamente a dettagli più profondi che hanno caratterizzato la loro vita e in molti casi la loro morte cruenta, ai valori umani che hanno saputo creare ed al loro peso nel tessuto sociale. Memoria, memoria di civiltà grazie a queste grandi storie raccontate con ispirazione, un libro che diventa fonte a cui attingere per sopravvivere alla decadenza di questi tempi, protagonistɜ a cui guardare per ricomporre questo presente fatto a brandelli. Un invito alla cultura, alla dialettica, un invito a contrapporre i grandi esempi all’aridità materiale, la memoria di grandi donne e uomini per imparare dal loro esempio a guardare il mondo da una prospettiva diversa.

Lettere in bilico tra l’essere ed il sentire dell’autrice capaci di farci comprendere meglio il presente attraverso gli avvenimenti narrati, ma anche di dare spazio a deliziosi e intensi ritratti, come le considerazioni sull’amore verso gli animali:

“Caro Dipsy,

chi pensa che sia eccessivo scrivere una lettera di commiato a un cagnolino defunto non ha sperimentato la grazia di avere accanto un cane vispo e affettuoso come te o gattine speciali come Felicetta. E non ha provato la tristezza di perdervi…”

Direi sull’amore e basta, amore verso la vita, come sottolinea la stessa Maria D’Asaro nella quarta di copertina, riportando un breve passo della lettera a Natalia Ginzburg:

“Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo… avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita.”

E in questa direzione il libro “Una sedia nell’aldilà”, ripercorrendo la vita deɜ  nostrɜ protagonistɜ, si fa portavoce di valori inestimabili, i valori che loro hanno saputo lasciarci in eredità e che diventano lezioni di vita per continuare a provarci e non arrendersi mai. E mi sento di aggiungere: per continuare ad approfondire, a conoscere, ad accrescere la nostra cultura.

Intanto una strategia efficace da cui partire per salvarci da un presente inquietante e da un futuro molto incerto è leggere un buon libro.

Ops, leggere un libro si fa per dire, occorre leggerne tanti.

NOTA

In questo post ho tentato di adottare un linguaggio inclusivo per contenere il maschile sovraesteso e per  superare il binarismo di genere, usando alcuni caratteri dell’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), lo ‘Schwa breve’ /ə/ per il singolare e lo ‘Schwa lungo’ /ɜ/ per il plurale, la pronuncia è propria di un suono vocalico medio già usato in alcune lingue ed anche in alcuni dialetti del nostro paese, quindi niente di nuovo.

La novità sta invece nel  tentativo di scardinare pregiudizi e discriminazioni, niente di prescrittivo, ma semplice e necessaria sperimentazione, perché come scriveva Wittgenstein in tempi non sospetti: “I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo”.

Santa Spanò
Diceva Mark Twain: "Ci sono due momenti importanti nella vita: quando nasci e quando capisci perché". E io nacqui. Sul perché ci sto lavorando, tra la bottega, il mio blog http://lasantafuriosa.blogspot.it/ e... il resto ve lo racconto strada facendo.
Dimenticavo, io sono Santa!

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