Lettera di una donna mapuche a una donna palestinese

La weychafe mapuche Moira Millán scrive una lettera indirizzata alle sue sorelle palestinesi (1)

 

Dall’impotenza della distanza e la certezza della resistenza.

Cara sorella palestinese, ti scrivo da terre molto lontane, dal mio territorio di Puelmapu, Territorio Mapuche, nel sud della Patagonia, sotto l’amministrazione dello stato argentino.

Sono figlia di una nazione anch’essa invasa, il popolo-nazione mapuche, un popolo che ancora ricorda i giorni in cui era libero, quando percorrevamo senza frontiere e senza filo spinato la nostra Wallj Mapu. Così come il tuo popolo, cara sorella, anche il mio conosce l’ingiustizia della spogliazione, il dolore del genocidio, la desolazione di essere schiavi nella propria terra, le deportazioni, la morte, i trasferimenti forzati.

Abbiamo toccato con mano l’indolenza del mondo, e ancora oggi subiamo l’imposizione di due stati coloniali, Argentina e Cile, che continuano a perseguitarci, ad arrestarci e ucciderci.

La mia famiglia è sopravissuta in modo miracoloso a campi di concentramento, tortura e sterminio.

Da lì provengo, da un lignaggio radicato nel profondo della memoria tellurica di questi territori, un popolo nazione, coraggioso e di grande dignità.

Il popolo palestinese abita il mio cuore da qualche anno, da quando ho saputo che là – nel lontano e allo stesso tempo così vicino Medio Oriente – stava accadendo una storia simile alla nostra: un popolo originario, il Popolo Palestinese, era invaso da uno stato coloniale, Israele. Una situazione molto somigliante alla nostra con qualche decade di differenza, poiché la campagna genocida dello stato argentino finì alla fine del 1800 con l’insediamento definitivo del loro Stato in Puelmapu agli inizi del 1900.

Attraversa il mio corpo ogni pallottola che uccide la vita delle mie sorelle e dei miei fratelli palestinesi.

Torno a vivere il genocidio con ogni bomba che cade sopra Gaza, con ogni bambino ammazzato, col dilagare della morte d’innocenti lungo tutto il territorio palestinese, di mano dello stato israeliano.

Ho ricevuto dai miei antenati un insegnamento molto molto antico nella filosofia del mio popolo mapuche, il nostro kuifikimvn. Mi parlano dello YERPUN, attraversare la notte, per essere persona, alzando il nostro ESSERE come umanità. Dobbiamo attraversare ostacoli, dolori, pene profonde, attraversare la notte più oscura per nascere a un nuovo giorno, luminoso e pieno.

Mi domando: quando attraverseremo la notte? Che cosa è successo con il popolo ebreo che ha avuto anche lui la sua notte lunga e profonda? Forse è rimasto nel buio? O sono stati sequestrati da quelli che governano le notti inoculando i peggiori incubi? Forse i mostri della notte hanno preso il controllo del mondo addormentando i nostri sensi con sonniferi carichi di bugie. Avremo molti YERPUN, cara sorella. Ma prima o poi noi, popoli tellurici, attraverseremo la notte, e le forze militari coloniali dovranno arrendersi di fronte all’unità dei popoli, alla solidarietà e la forza della giustizia e fratellanza di un’umanità che oltre tutti i confini continuerà a uscire per strada, convinta che finché non ci sarà giustizia per i criminali non ci sarà la pace.

Da sempre le forze di occupazione agiscono mettendo in marcia un apparato di propaganda che cerca di silenziare la coscienza dei popoli e di giustificare i loro aberranti crimini davanti al mondo. La narrativa coloniale comincia segnalando le vittime come terroristi, e gli stati terroristi come giustizieri.

La nazione mapuche conosce molto bene tale perverso racconto, che funziona a favore degli oppressori perché il razzismo, che struttura la dottrina delle democrazie “dell’odio”, non è contestato dalla stragrande maggioranza della popolazione mondiale.

Una piccola parte dell’umanità che concentra il potere è suprematista, razzista e ha deciso che la vita dei popoli razzializzati non importa. Ho saputo che una parte della popolazione ebrea subisce la repressione della tirannide dei genocidi che governano lo stato di Israele.

So che donne e uomini ebrei hanno alzato valorosamente la voce per vociferare la loro rabbia e chiarire che non permetteranno che nel loro nome si continui a uccidere un popolo. Molte di queste valorose persone hanno sofferto maltrattamenti, tortura e carcerazione da parte delle forze repressive del governo di estrema destra sionista e fascista israeliano. Quella frazione di sorelle e fratelli ebrei antisionisti sono perseguitati perché sentono e assumono la loro profonda umanità, provando vergogna per gli assassini che dicono di rappresentarli. Estendo il mio abbraccio anche a loro.

Mi fanno ricordare le argentine e gli argentini che valorosamente sono usciti a denunciare lo stato accanto al popolo mapuche, quando le pallottole del comando unificato argentino erano sparate sulla nostra infanzia, solo un anno fa. Ovviamente il ripudio a quella caccia di bambini e donne mapuche, non fu massiccia, erano solo una manciata di esseri consapevoli e solidari. Ci sarà sempre una voce che emergerà saggia e valorosamente per dire “basta!”.

In questi giorni penso a Hannah Arendt, ebrea, sionista in un principio e in un contesto molto differente da quello di adesso e tuttavia perseguitata e odiata dai suoi, che non permisero il suo revisionismo, le sue critiche e interpellanze di fronte a un nazionalismo coloniale e razzista che si profilava così crudele come i suoi persecutori nazisti. Lei riuscì a vedere cosa sarebbe diventata quella forza politica che si articolava, per sostenere un’occupazione con la forza, sanguinaria e crudele.

Desidero tanto, cara sorella palestinese, che le donne del mondo si uniscano in una chiamata a uno sciopero mondiale contro il genocidio, per fermare la guerra forse sarebbe necessario fermare il mondo, e voi che lucrate con la guerra, gli autentici beneficiari di questo massacro, sappiate che siamo decise a strapparvi il nostro diritto alla giustizia e alla pace.

Credo fermamente nella nostra forza, nella nostra capacità di ordire consensi, nel nostro discernimento per vedere al disopra di tutte le differenze l’importanza di sostenere la VITA.

Mia cara sorella palestinese, abbraccio il tuo popolo con tutto il mio essere pieno d’amore. Mi vergogno per i miei limiti e la mia impotenza di fronte a ciò che state attraversando. Credimi che vorrei essere lì ad aiutare. Come donna mapuche io so cosa vuol dire la carenza di tutto, e quanto è meraviglioso quando in mezzo alla disperazione si allunga una mano amica per dare l’aiuto di cui abbiamo bisogno.

Desidero la libertà del tuo popolo così come sogno la libertà del mio.

Weayiñ lamngen Palestina. Vinceremo sorella palestinese.

Dalla cordigliera sud Puelwillimapu, per territorio, giustizia e libertà, marici weu!!

Moira Millan- Weychafe Mapuche (2)

NOTE

1. Fonte: Agencia Presentes – Riportato in Resumen Latinoamericano, 14 novembre, 2023

https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/11/14/feminismos-carta-de-una-mujer-

2. Moira Millán indigena mapuche, attivista femminista, lotta da una vita per la difesa delle donne e della terra. In “bottega” gli ultimi articoli dove si parla di lei: https://www.labottegadelbarbieri.org/sapienze-di-genere-in-abya-ayala/ labottegadelbarbieri.org/felice-giorno-dellinfanzia-in-argentina-ma-per-chi/ https://www.labottegadelbarbieri.org/estrattivismo-culturale-in-america-latina/

Teresa Messidoro

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