Napoli, ragazzini, tre soldi, Dante e ponti

Facile fare teatro se si ha un mucchio di quattrini. Per colmo di ironia si può mettere in scena «L’opera da tre soldi» ma con euri in abbondanza.

Invece da ieri a Napoli è partita una settimana di appuntamenti (teatrali e non solo) con 110 ragazzi, fra i 10 e i 16 anni, e una decina di adulti venuti, oltrechè da Alfonsine (Ravenna) da Bosnia, Libano, Palestina, Serbia e dai quartieri turchi di Berlino: però tutto questo costa molto meno di una serata alla Scala, di un tour alla Ranieri.

A organizzare è Ponte Radio che si presenta come «un viaggio, lungo come una strada che si perde, tra la campagna e le onde del mare dove gli odori e i dialetti si mischiano alle storie delle donne e degli uomini». Poesia certo ma c’è anche molta concretezza come mostrano tre anni di lavoro all’estero, in luoghi difficili.

Ponte Radio parte da Alfonsine verso i Balcani (Pancevo e Tuzla) poi va a Jenin – nello Stato che forse ora c’è, la Palestina – confontandosi con il contesto urbano-occidentale di Berlino e torna poi nell’Oriente detto Medio (in realtà Vicino) cioè a Tiro.

Se traduttore è traditore, se la torre di Babele dopo tanto tempo ancora ci fa paura… allora l’idea di Ponte Radio è far parlare i corpi, gli oggetti, i segni e i canti sia per preparare insieme il lavoro sia nel mostrarlo al pubblico e renderlo comprensibile a chiunque, al di à delle barrierte linguistiche. «Stimolando l’immaginario dei bambini, degli adolescenti e degli adulti ed evitando un uso improprio delle parole, si è capaci di sviluppare un linguaggio in grado di ascoltare, comprendere e rispettare i tempi differenti che ritmano la vita delle persone» si legge su www.ponteradio.org ma uno dei “pontieri” cioè Alessandro Taddei è ancora più esplicito: «Teatro? storie sui confini, diciamo noi. Confini materiali, frontiere che spaccano a metà un paesaggio e non a tutti permettono d’andare di là. E il confine mentale: pregiudizi, paura, rabbia verso tutto ciò che è diverso».

Sotto il nome «Colori del Mediterraneo» il programma napoletano prevede mostre (foto e fumetti), presentazioni di libri, incontri, un concerto ma soprattutto – è ovvio – teatro.

Sarà magari perchè Dante è un profugo morto in esilio a Ravenna oppure perchè Taddei ha studiato al liceo Alighieri prima di finire al Conservatorio, gli ultimi spettacoli di Ponte Radio hanno preso il nome (e la forma) di una «Trilogia quasi dantesca».

Il 9 settembre si potrà vedere la prima parte cioè «Nero inferno» realizzata con ragazze e ragazzi di Jenin «alla ricerca dell’invisibile che vive nascosto negli angoli della Palestina». C’è qui un segno grafico che diventa parola, acqua che si muta in forma di donna, mare che genera l’onda.

Il giorno dopo la Trilogia imbocca il «Rosso purgatorio» con i giovani protagonisti di Alfonsine e di Berlino. Bisogna sapersi muovere in Occidente anche se le mappe spesso sono fatte di ombre.

La conclusione, l’11 settembre, è il «Bianco paradiso» che è cresciuto in un meraviglioso Paese sempre sospeso fra pace e guerra. Molti anni fa lo scrittore James Ballard immaginò che in Libano qualcuno tentassse uno strano pericoloso esperimento: mentre tutto il mondo era in pace a Berirut si teneva in vita il virus della guerra per studiarne le mutazioni. Se è così quel virus è sfuggito e dilaga quasi ovunque. In un certo senso Ponte Radio ha tentato il gioco opposto (non a caso siamo in Paradiso): che un gioco di bambiniesca dal suo confine e avvolga, “contagi” le città di mezzo mondo facendole spostare, mescolare, costringendole a un positivo kaos dal quale tutto può nascere.

Il programma completo, gli orari, i luoghi (il cuore di Napoli non le sue vetrine per poche/i snob) sono sul sito citato.

All’inizio del viaggio di Ponte Radio quando intervistai Taddei e gli altri, appena tornati dai Balcani devastati e in partenza per la Palestina in fiamme, chiesi loro se aveva senso fare teatro fra le macerie. Allora mi risposero così.

«Eravamo a Pancevo, piccola città vicino Belgrado nell’ex Jugoslavia, bombardata da noi, “i buoni”. A far teatro in zona di catastrofe o meglio di bombe terribilmente “intelligenti” che hanno colpito le industrie chimiche ben sapendo che così si compromette il futuro. Abbiamo provato a raccontare la guerra con bimbi che non l’hanno vissuta e dunque siamo partiti dal dopo. Un giorno un bambino ci disse che il suo amore verso il nuoto era grande ma non poteva soddisfarlo perché il fiume Tamish era troppo inquinato. Noi dicevamo una parola, loro ci regalavano un mondo: un tramonto era per loro un monte strano, una lacrima una goccia scontenta, un cavillo un cavallo piccolo come uno spillo e così via. Il proverbio che ci dissero i bimbi a Pancevo è: “Se un bambino sale su una zucca in Voivodjna può vedere il mondo intero” e ci siamo lasciati travolgere dalle onde dei bambini. Li abbiamo lasciati fare. Il casale è una casa piccola con le ali. La giraluna è la femmina del girasole che di notte si muove per seguire la luna. E il confine è … quando due posti si incontrano».

Oggi il gruppo Ponte Radio è ancora più convinto di ieri che si possano aggirare i muri. Ma esiste un Paese che non abbia frontiere?

«Bisogna cercarlo o costruirlo» rispondono. «I teatranti e gli artisti chiusi nelle loro torri e vetrine servono a zero. Bisogna ritrovare il coraggio di stare in mezzo alla gente. Ecco piccoli miracoli: alcune famiglie italiane, coinvolte nel progetto teatrale, decidono di impegnarsi e nasce Oltreconfine per portare avanti il sogno che le frointiere non diventino più causa di guerra ma linee ideali da attraversare per conoscerci e raccontarci nel nostro essere più autentico; perché la nostra appartenenza a Paesi, culture, religioni diverse non sia pretesto e pregiudizio ma scambio di esperienze diverse volte a creare una ricchezza comune».

Un altro rischio è che gli adulti portino fra i bimbi un progetto troppo definito, li plagino. Taddei ne è consapevole.

«Sì, senza volerlo avremmo potuto essere portatori di un progetto di colonizzazione culturale. Per quanto tu sia aperto, vai nei posti con le tue idee. Così i bimbi non ci hanno seguito. Abbiamo imparato ad ascoltare di più i ragazzi e loro ci hanno preso per mano».

UNA PICCOLA NOTA SUGLI OROLOGI CHE MORDONO I POLPACCI, SUGLI SCIOPERI E SUL GIORNALISMO CON LE PLACCHE

Chissà se qualche crometrista si chiederà come mai questo pezzo, previsto per le 12, esce quasi un’ora dopo.

Beh, ero allo sciopero.

Sventolando il retro di un enorme cartellone (che fatica) riciclato dove con un pennarello – grazie Claudia – avevo scritto:

«L’unico GENERALE che mi piace è SCIOPERO.

Tagliamo le spese militari NON i salari, le pensioni, il welfare, la scuola, la sicurezza nei posti di lavoro.

E mandiamo in galera BERLUSCONI (P2-1816) prima possibile».

Così fra una chiacchiera e una sfilata, firmare per i referendum e bla-bla, ho fatto tardi. Non so voi ma io ho sempre l’impressione che gli orologi mi ringhino dietro, mi azzannino se mi fermo.

Questo pezzo è uscito ieri su «Il dirigibile». In realtà io avrei voluto fare il giornalista vero “cili” e non ripescare da casa un po’ di vecchi ricordi e materiali. Un giornalista cili (acronimo di: come io lo intendo) va a Napoli, vede, intervista i ragazzi, si fa mostrare i conti, va dietro le quinte anche metaforiche… Sti pazzoidi  di Ponte Radio sono amici d’accordo (ma questo è un pericolo no? potrei avere un “pregiudizio” positivo) sono bravi ma… meglio vedere. Però io avevo le placche in gola e zero euri in tasca. Visto che gli antibiotici e/o gli scioperi mi stanno giovando e che forse rimedio un passaggio, spero sabato e domenica di andare a Napoli e fare il giornalista vero-cili. Intanto beccatevi questo. Resta inteso che se qualcuna/o di voi è a Napoli e vuole raccontare, avanti che la porta del blog è sempre aperta. A proposito ma ne saranno rimaste/i  tante/i  di  giornaliste/i  vere/i  “cili”?  (db)

Redazione
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