Nestor Machno, il leggendario

di Giancarlo Bocchi (*). A seguire un contributo di Oreste Magni con una succinta bibliografia e una canzone.

Nestor Ivanovič Machno (in ucraino: Не́стор Іванович Махно́) nacque a Huljajpole il 26 ottobre 1889 (del “calendario giuliano”) che poi, con la nuova datazione diverrà il 7 novembre.

STORIA DELL’ANARCHIA. Difensore della libertà, personaggio dimenticato, comandante dell’esercito contadino che sconfisse i cosacchi dello zarNestor Machno, il leggendario

Non aveva preso parte ad alcuna guerra Nestor Ivanovic Machno, ma per difendere l’indipendenza ucraina, i diritti dei contadini e degli operai e una società libertaria basata sull’autogestione, nel 1918 divenne uno stratega di grande valore e il fondatore della Machnovšcina, l’Esercito insurrezionale rivoluzionario d’Ucraina del primo territorio libertario del Novecento.

I documenti delle sue gesta leggendarie, sepolti nei caveaux degli archivi moscoviti, fino a poco tempo fa potevano consultarli pochi studiosi filo-sovietici che condizionati da una palese ostilità politica avevano l’interesse a denigrare o a spingere la storia di Nestor Machno, l’Emiliano Zapata europeo e l’antesignano anarchico di Che Guevara, nell’oblio definitivo.

Oggi nella democratica Ucraina la memoria del grande rivoluzionario è ricordata solamente da un modesto monumento in bronzo dorato a Guljaj Pole (in ucraino Huliaipole), la cittadina tra Zaporizhzhia e Mariupol nella steppa che si estende dal fiume Dnepr al Mar d’Azov dove nacque il suo movimento. Nel bronzo Machno è seduto su una panca, la giacca chiusa dagli alamari, il colbacco d’agnello, il suo enorme spadone e guarda verso sinistra, immaginando il futuro e il compimento della rivoluzione.

Giovinezza
Il padre Ivan, ex servo della gleba, morì prematuramente lasciando orfani cinque figli a carico della moglie Evdokia. Nestor era convinto di essere nato il 27 ottobre 1889 perché non sapeva che i genitori avevano falsificato la sua data di nascita in modo che venisse arruolato con la ferma obbligatoria un anno più tardi. Questa preveggenza salvò la vita al giovane che dopo la Rivoluzione del 1905 aderì a un’organizzazione politica che si finanziava con espropri proletari, il Gruppo contadino anarco-comunista.
Da piccolo andava a scuola volentieri, ma si prendeva ampi spazi di libertà dalla classe praticando il suo unico svago, il pattinaggio su un fiume ghiacciato. Una volta cadde nelle acque gelata e si salvò dalla morte per congelamento per miracolo. «Da quel momento divenni uno studente veramente diligente. Così durante l’inverno studiavo e in estate portavo al pascolo pecore e vitelli per un ricco fattore» ricorda nelle sue memorie. Qualche anno più tardi esaltato dalle idee rivoluzionarie, girava armato. Coprendosi il volto con maschere o con il fango depredava i benestanti per dare i soldi ai diseredati. Il 26 agosto 1908 la sua lunga attività di giovane Robin Hood della steppa fu bruscamente interrotta dall’arresto. Aveva ormai vent’anni. Alto poco più di 1,60, aveva capelli castani e occhi chiari, luminosi, dallo sguardo sincero ma così intenso «da far bollire l’acqua di sorgente».

Subì la «ruota rossa» il giudizio sommario collettivo insieme a tutti gli appartenenti al gruppo anarchico e venne condannato con gli altri compagni all’impiccagione, anche se non era stato coinvolto in omicidi. Si salvò per la falsificazione della data di nascita fatta dai genitori, dove risultava minorenne. La pena dell’impiccagione venne commutata ai lavori forzati a vita, ma per le sue continue ribellioni in carcere venne relegato in catene nelle celle di rigore nei sotterranei della prigione di Butirki dove contrasse la tubercolosi. Durante la detenzione, nonostante la malattia, Machno cercò di farsi una cultura e studiò a fondo i testi del movimento anarchico. Prese il nome di battaglia di «Skrommy» (il modesto). «Due cose mi colpirono e mi piacquero di Machno: la dolcezza del suo carattere ed il suo comportamento fraterno e modesto nei confronti dei compagni. La sua modestia era veramente esemplare» disse Pio Turroni che lo conobbe anni dopo.

In carcere Machno scrisse testi politici, riflessioni ma anche poesie rivoluzionarie: «Libriamo con coraggio la nostra gioia nella lotta – per la fede nella Comune che costruiremo…».
Il 2 marzo 1917, dopo la caduta dell’impero zarista, i compagni rivoluzionari lo liberarono. Aveva 29 anni. Contrariamente ad altri prigionieri non era segnato irrimediabilmente dalla lunga prigionia, aveva ancora la forza per veder realizzata la sua idea di anarchismo, che era basata sul concetto di «organizzazione» e non dell’azione individualista, ma che si opponeva a una idea accentratrice, verticistica e violenta come la «dittatura del proletariato».

Venne eletto al grido di «terra e libertà», novello Emiliano Zapata, a capo dell’Unione dei contadini che divenne l’autorità assoluta nel territorio nata per «costruire la propria vita dai propri desideri combattendo contro le forze controrivoluzionarie e i nazionalismi ucraini».

Cooperative agricole
I contadini non accettarono l’idea delle Comuni agricole, vinse quella della confisca delle proprietà private dei latifondisti, i pomešciki, (uomini d’arme, che avevano ricevuto in concessione un podere) e dei kulaki (contadini che possedevano grandi appezzamenti di terreno lavorati a mezzadria), ai quali fu consentito di tenere solo le terre che potevano lavorare da soli. Le terre espropriate vennero redistribuite tra i contadini e create cooperative agricole. Furono sequestrate grandi quantità di armi ai latifondisti che servirono ad armare il Comitato della difesa della Rivoluzione, il primo nucleo del futuro esercito contadino di Machno, che serviva per scongiurare il ritorno allo zarismo dopo la rivolta del generale Lavr Kornilov contro il governo provvisorio.

Il 7 novembre (25 ottobre) una coalizione di bolscevichi e socialisti rivoluzionari di sinistra organizzò insurrezioni armate a Pietroburgo e Mosca rovesciando il governo provvisorio: la Rivoluzione d’ottobre, quella che Machno chiamò sempre «il colpo di Stato» portò al potere in Russia i soviet dei commissari del popolo. Secondo Machno contadini e operai ucraini non si rallegravano del «colpo di stato» perché «vedevano in ciò una nuova fase dell’intervento dei poteri nell’opera rivoluzionaria locale dei lavoratori e, di conseguenza, un nuovo attacco del Potere contro il popolo.» Anche i contadini seguaci di Machno la pensavano così, «La città non esiste che per questo; la sua idea e il suo sistema sono cattivi: favoriscono l’esistenza dell’imbecille, il governo.» In quei giorni, Machno, con il sostegno della popolazione, estese in Ucraina il movimento libertario ad altre cittadine vicine. Esautorati i rappresentanti del governo provvisorio, si dovettero preparare le difese per il pericolo dei cosacchi filo-zaristi che tornavano dal fronte, che per Machno erano «… i boia dei lavoratori della Russia che per un rublo dello zar e un bicchiere di vino erano sempre pronti a crocefiggere».

Battaglione libero
Per difendere il suo popolo Machno costituì il «Battaglione libero» che fu la prima occasione per il rivoluzionario ucraino di mostrare il suo talento militare.
Sul ponte di Kickaskij sul Dnepr, le forze di Machno, alleandosi con i bolscevichi e i socialisti rivoluzionari, bloccarono la cavalleria cosacca, ottenendo una vittoria inaspettata.
Nel marzo del 1918 dopo la firma della pace di Brest-Litovsk, voluta da Lenin, che Machno definì «la morte della rivoluzione e dei rivoluzionari», entrarono in Ucraina, ceduta al nemico, le forze di occupazione degli eserciti tedesco e austriaco forti di 200mila soldati.

«Quanto ai lavoratori rivoluzionari ucraini, essi furono lasciati… disarmati alla mercé dei boia della rivoluzione provenienti dall’ Ovest, poiché il comando rivoluzionario ritirò le armi dall’Ucraina o , nella sua fuga, le abbandonò alle truppe tedesche».

Machno riuscì a imporsi sulle divisioni all’interno del gruppo anarchico che avevano provocato «il terrore rivoluzionario» e a riportare tutto sotto il suo controllo. Nel frattempo anche il conflitto con le forze «nazionaliste» si era riacceso. Il «Battaglione libero» era stato attaccato e disarmato. Non era più possibile affrontare in campo aperto gli austro-tedeschi che avevano attraversato il fiume Dnepr e attaccato Guljaj Pole. Nel mese di aprile Machno decise di iniziare la guerra partigiana e iniziò un viaggio importante per cercare aiuti attraverso la Russia rivoluzionaria. Anche se la Ceka (la polizia politica sovietica) e l’esercito bolscevico, con la scusa di combattere il «banditismo», avevano attaccato i circoli anarchici nelle principali città russe, Machno tramite Jakov Sverdlov incontrò Lenin al quale illustrò la sua idea del «potere dal basso» e lo mise in guardia sugli errori commessi in Ucraina.

«Il furbo Lenin», come Machno lo avrebbe sempre chiamato, gli rispose, «La maggior parte degli anarchici pensa e scrive sul futuro senza comprendere il presente: questo divide noi comunisti da loro… nel presente sono inconsistenti, anzi patetici, proprio a causa del loro fanatismo inconsapevole, non hanno un reale legame neppure con il futuro…».

Ricorda Machno, «Nonostante il rispetto per Lenin che ho avuto durante il colloquio, il mio brutto carattere, per così dire, non mi ha permesso di intrattenermi oltre con lui». E dimostrò a Lenin con i fatti quanto si sbagliava. Machno tornò in Ucraina dove scoprì che gli austro-tedeschi avevano bruciato la casa della madre e assassinato il fratello maggiore, invalido di guerra.

Iniziò a organizzare la guerra partigiana nascosto nei boschi. Decise di attaccare il villaggio di Dibrivski difeso da un battaglione austriaco e da un centinaio di coloni tedeschi armati. Per compagni l’impresa sembrava folle, ma il rivoluzionario libertario attuò uno degli stratagemmi che lo avrebbero reso famoso. Con un piccolo gruppo di compagni, apparentemente disarmati, riuscì ad arrivare al centro del villaggio dove c’erano le postazioni di mitragliatrici del nemico. A un suo cenno i compagni spararono sugli austriaci, sorpresi e sgomenti, mentre il grosso dei partigiani attaccò alla periferia del villaggio. Gli austriaci impauriti si diedero alla fuga.

Machno aveva bisogno di quella vittoria per il morale dei suoi uomini e per incoraggiare le popolazioni vicine a insorgere. La voce del successo militare di Machno si sparse e fu onorato con l’appellativo di Bat’Ko (piccolo padre).
Le sue forze partigiane crescevano di giorno in giorno. A Temirovka gli austriaci lo ferirono gravemente. Machno sdraiato a terra quasi morente credette di essere finito, ma arrivarono i suoi compagni a salvarlo. Decise di dividere i suoi partigiani in piccoli gruppi che si riunivano solo per azioni in grande stile, infliggendo agli occupanti delle sonore lezioni.

Nel novembre del 1918 il Kaiser fu rovesciato dalla rivoluzione, la Germania firmò la resa e iniziò l’evacuazione delle truppe di occupazione in Ucraina.
Machno aveva un nuovo nemico da combattere, Simon Petljura, che con un colpo di Stato aveva abbattuto il governo centrale. Decise di creare nella regione un fronte unico insurrezionale, un’alleanza dei machnovisti con i comunisti, i socialisti rivoluzionari e gli altri anarchici. I machnovisti cacciarono per prima cosa le residue forze tedesche, occuparono poi Ekaterinoslav e sconfissero l’esercito di Simon Petljura.

Machno controllava ormai una vasta regione fino al Mar D’Azov, ma non tutte le formazioni militari alleate rispettavano gli ordini. Dovette reprimere saccheggi, requisizioni, minacciando di fucilare i suoi stessi comandanti.
Un nuovo pericolo incombeva. Nel gennaio del 1919, in accordo con i bolscevichi, passò all’offensiva contro i «bianchi», le forze reazionarie che volevano reinsediare uno zar. Il generale Denikin fu il primo ad attaccare i libertari, ma fu sconfitto e dovette battere in ritirata verso il Don e il Mar D’azov. Mise una taglia di mezzo milione di rubli sulla testa di Machno che però nessuno riuscì ad incassare.
Mentre i machnovisti stavano combattendo vittoriosamente contro i «bianchi» in aprile – maggio vennero attaccati alle spalle dai bolscevichi. Fu scatenata una campagna di calunnie contro Machno orchestrate da Trotski. Cercarono anche di assassinarlo dopo aver attirato gli ufficiali machnovisti in un agguato con la scusa di un consiglio militare.

Ruppe con i boscevichi, ma non cercò mai lo scontro anche se alcuni suoi comandanti erano stati arrestati e fucilati.
«Fermati! Leggi! Medita! Compagno dell’Armata rossa. Ti diranno che i machnovisti sono dei banditi dei contro rivoluzionari… e come umile schiavo del tuo comandante andrai arrestare e ad ammazzare. Chi? E per che cosa? Perché?», venne scritto dagli insorti rivoluzionari machnovisti su un manifesto per i soldati dell’ Armata Rossa.

«Soprattutto la slealtà di Trotski lo disgustava, il suo sistema di distruggere l’avversario prima con la calunnia , poi fisicamente: sistema che fu poi ereditato da Stalin», ricorda Pio Turroni, amico di Machno.
A settembre dopo la costituzione dell’Esercito Insurrezionale ucraino i machnovisti inflissero a Peregonova una pesante sconfitta ai «bianchi». I libertari di Machno conquistarono Aleksandrovsk e Ekaterinoslav. Per tutto il primo semestre del 1920 compirono azioni di guerriglia contro i «bianchi» e i bolscevichi. Molti contadini seguirono Machno armati solo di scuri, picche e vecchi fucili da caccia.

Contro il pericolo della vittoria dei «bianchi» alcuni reggimenti bolsevichi defezionarono e si schierano con Machno, portando armi e munizioni.

Una nuova forte offensiva dei «bianchi» costrinse i capi bolscevici a stipulare una tregua con Machno, che sottoscrisse con loro un accordo politico-militare. Anche se ricevette l’ordine di Trotski di andare sul fronte polacco, Machno, sospettando tranelli, si rifiutò di eseguirlo. Per ordine di Trotski i bolscevichi per nove mesi si accanirono con i civili fedeli a Machno uccidendo più di 200mila contadini e deportandone altrettanti. A novembre Machno e i bolscevichi attaccarono insieme i «bianchi» del generale Wrangel che dopo mesi di battaglie vennero definitivamente sconfitti. Le truppe machnoviste però tradite e accerchiate dai bolscevichi, che avevano nuovamente rotto i patti, subirono notevoli perdite. Machno con le sue esigue forze per un anno sconfisse ancora da est a ovest in vari scontri i bolscevichi e sfuggì alla Ceka che gli dava la caccia. Nel febbraio-marzo Trotski soffocò nel sangue la rivolta dei marinai e degli operari della base navale di Kronstadt e subito dopo venne annunciata la nuova politica economica (NEP) che spegneva nella repressione i movimenti contadini e la guerra civile. Ma i bolscevichi avevano ancora un problema aperto: distruggere il sistema sociale libertario di Machno.

A caccia di Machno
Agli inizi del 1921 gli furono inviate contro le truppe delle potenti divisioni di cavalleria. Machno avanzò fino ai confini della Galizia, ripassò il Dnepr e sfuggì all’accerchiamento. Tutte le divisioni dell’Armata rossa si misero alla caccia di Machno e delle sue truppe residue.
Come scrisse Errico Malatesta, «Il carattere squisitamente libertario del movimento e lo spirito egualitario e antiautoritario non potevano che scontrarsi con i metodi e i progetti dei bolscevichi».

In uno scontro con i bolscevichi, Machno fu ferito a una coscia e al basso ventre, ma trasportato su una carriola continuò a dare ordini, a scrivere messaggi ai suoi distaccamenti. Fu ferito nuovamente nell’agosto del 1921 in una battaglia con la Diciassettesima divisione di cavalleria. A causa delle ulteriori ferite, i suoi compagni decisero che doveva essere trasportato all’estero per essere curato.

Il 28 agosto passò il Dnepr e riparò prima in Romania dove fu internato. Aveva sul volto la cicatrice di una pallottola entrata dalla nuca e uscita dalla guancia. Il suo corpo portava i segni delle sue numerose battaglie: cicatrici di sciabolate, ferite di pallottole, una delle quali gli aveva fracassato una caviglia. Nonostante questo evase.
Entrò in Polonia dove fu arrestato, giudicato ma poi assolto.

Con i suoi compagni analizzò quello che era successo in Ucraina e fece uscire nel 1923 un testo su «Delo Truda»: «Lo Stato dovrà scomparire una volta per tutte dalla società futura… esso sarà sostituito da un sistema di organizzazioni autogestite di produzione consumo confederate tra di loro…».
Con l’aiuto dei compagni francesi nel 1924 raggiunge Parigi dove restò fino alla morte avvenuta nel luglio del 1934 per inedia e i postumi della tubercolosi e delle ferite di guerra. Le sue ultime parole furono per l’amatissima figlia: «Spero tu possa vivere sana e felice…».
Non sarà così. La moglie e la figlia verranno perseguitate e incarcerate prima dai nazisti e poi deportate dagli stalinisti in Siberia. Solo dopo la morte di Stalin saranno liberate ed esiliate in Kazakistan dove nel 1978 morirà la moglie Galina e nel 1993 la figlia Yelena.

Dal 1990 si svolgono ogni anno a Guljaj Pole delle celebrazioni per ricordare Nestor Machno al quale è stato anche dedicato un museo locale, ma le sue ceneri sono rimaste a Parigi nel cimitero di Père Lachaise vicino alle tombe dei comunardi parigini che abbracciarono le idee di Bakunin e Proudhon.
In questo momento il nome di Machno è indicatore della direzione che vorrà prendere il suo paese invaso dall’esercito di Putin. Si vuole dare il giusto ruolo nella storia a questo difensore della libertà o si vuole ancora rivalutare la sciagurata figura di Stepan Bandera, collaborazionista dei nazisti che qualcuno vorrebbe far passare per eroe nazionale? Su questo dovrebbe riflettere Volodymyr Zelens’kyj più che continuare a fare sceneggiate da società dello spettacolo. Il pensiero e le gesta di Nestor Machno dovrebbero far riflettere anche noi su quanto la propaganda stalinista abbia pesato nel Novecento sulle convinzioni di tanti. Le idee Nestor Machno, che sono state più realizzate che teoriche, non sono però morte, non sono state sepolte definitivamente dalla diffamazione e dalla disinformazione sovietica. E quello che sta accadendo oggi nel Rojava curdo ricorda molto, e speriamo con più fortuna e continuità, l’esperimento della Repubblica comunitaria di Guljaj Pole fondata da Machno, il leggendario comandante libertario dell’esercito contadino che sconfisse i cosacchi dello zar, l’esercito del golpista Simon Petljura, gli occupanti austro-tedeschi, le armate dei «bianchi» nostalgici dello Zar e anche l’Armata rossa.

(*) ripreso da “Alias” inserto del quodiano “il manifesto”… e grazie a Oreste per averci vivamente sollecitato con tutta la sua autorevolezza e per averci inviato gli appunti (che trovate qui sotto) con una canzone e una succinta bibliografia.

Ecco una canzone sulla machnovscina
https://www.youtube.com/watch?v=bB4MFiHH1qw

Qui la versione francese e la traduzione in italiano

Makhnovcina, Makhnovcina,
Tes drapeaux sont noirs dans le vent.
Ils sont noirs de notre peine,
Il sont rouges de notre sang.
Ils sont noirs de notre peine,
Il sont rouges de notre sang.

Par les monts et par les plaines,
Dan la neige et dans le vent,
À travers toute l’Ukraine
Se levaient nos partisans.
À travers toute l’Ukraine
Se levaient nos partisans

Au printemps les traités de Lénine
Ont livré l’Ukraine aux Allemands.
À l’automne la Makhnovcina
Les avait jetés au vent.
À l’automne la Makhnovcina
Les avait jetés au vent.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Tes drapeaux sont noirs dans le vent.
Ils sont noirs de notre peine,
Il sont rouges de notre sang.
Ils sont noirs de notre peine,
Il sont rouges de notre sang.

L’armée blanche de Dénikine
Est entrée en Ukraine en chantant.
Mais bientôt la Makhnovcina
L’a dispersée dans le vent.
Mais bientôt la Makhnovcina
L’a dispersée dans le vent.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Armée noire de nos partisans
Qui combattait en Ukraine
Cintre les rouges et les blancs.
Qui combattait en Ukraine
Cintre les rouges et les blancs.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Armée noire de nos partisans
Qui voulait chasser d’Ukraine
A jamais tous les tyrans.
Qui voulait chasser d’Ukraine
A jamais tous les tyrans.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Tes drapeaux sont noirs dans le vent.
Ils sont noirs de notre peine,
Il sont rouges de notre sang.
Ils sont noirs de notre peine,
Il sont rouges de notre sang.

Inoltre ne esiste anche una versione italiana

Makhnovcina, Makhnovcina,
Le tue bandiere sono nere nel vento.
Sono nere della nostra pena,
Sono rosse del nostro sangue.

Per i monti e le pianure,
Nella neve e nel vento,
Attraverso tutta l’Ucraina
Si alzavano i nostri partigiani.

In primavera i trattati di Lenin
Hanno consegnato l’Ucraina ai Tedeschi.
In autunno la Makhnovcina
Li aveva gettati al vento.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Le tue bandiere sono nere nel vento.
Sono nere della nostra pena,
Sono rosse del nostro sangue.

L’armata bianca di Denikin
È entrata in Ucraina cantando.
Ma presto la Makhnovcina
L’ha dispersa nel vento.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Armata nera dei nostri partigiani
Che combatteva in Ucraina
Contro i rossi e i bianchi.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Armata nera dei nostri partigiani
Che voleva scacciare dall’Ucraina
Per sempre tutti i tiranni.

Makhnovcina, Makhnovcina,
Le tue bandiere sono nere nel vento.
Sono nere della nostra pena,
Sono rosse del nostro sangue.

Questo il testo di Oreste Magni pubblicato su “Città Possibile”

1917-1921 UCRAINA.
Una pagina di storia poco conosciuta

In questo ultimo periodo l’Ucraina è al centro delle cronache. Ma spesso ne ignoriamo la storia, e in particolare il ruolo che ebbe questa regione durante la rivoluzione del 1917, pagine di storia cancellate dal regime sovietico e praticamente introvabili nella storiografia occidentale dei decenni seguenti.

A più di cento anni dagli eventi è ora possibile ricostruire nella sua complessità la storia della Rivoluzione russa in quell’area. Grazie all’apertura degli archivi segreti dell’URSS, sono infatti riemersi quei movimenti sociali che hanno segnato in maniera cruciale le vicende rivoluzionarie prima dell’avvento del regime bolscevico. Un’attenzione particolare, anche per le dimensioni del fenomeno, e la genialità del suo leader, è stata data all’anarchico ucraino Nestor Machno e al movimento contadino, denominato machnovscina, che tra il 1917 e il 1921 coinvolse una vasta regione dell’Ucraina.

Fu proprio questa grandiosa jacquerie libertaria la vera protagonista della rivoluzione in quella parte dell’ex impero russo. E lo fu tanto per i suoi esperimenti di autogestione e democrazia diretta, quanto per quella guerriglia partigiana che combatté vittoriosamente prima contro gli occupanti austro-tedeschi, poi contro i nazionalisti ucraini, contro i revanscisti zaristi e in ultimo contro l’Armata Rossa, che dopo un’alleanza tattica con l’esercito contadino, una volta vinta la guerra civile annientò i machnovisti bollandoli come “banditi”.

Oggi i documenti ci raccontano un’altra storia su questo stratega geniale e su quella epopea controversa e affascinante purtroppo ancora poco conosciuta.

La differente visione della società tra libertari ucraini e i bolscevichi, la si può capire dall’incontro peraltro casuale che Machno ebbe con Lenin nel 1919
È Machno stesso che lo scrive nelle sue memorie:

«Lenin mi accolse paternamente, mi fece sedere. Cominciò a interrogarmi con il suo tono da organizzatore, nel modo più preciso. La domanda su come i contadini accoglievano la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” me la fece tre volte. Gli risposi che per i contadini ciò voleva dire che il potere doveva allinearsi alla coscienza e alla volontà stessa dei contadini. Lenin mi rispose allora: il fatto è che i vostri contadini sono contaminati dall’anarchia. È un male? gli risposi. Lenin mi chiese poi dei distaccamenti rossi, della loro lotta contro l’occupante, della mancanza di sostegno dei contadini. Temo, compagno Lenin, che siate male informato, risposi. I vostri gruppi restano lontani dalle strade e non combattono nelle campagne, come potete pensare che i villaggi vi sostengano? Non li vedono mai. Lui si mise a ridere: voi anarchici scrivete e pensate al futuro, siete incapaci di pensare al presente. Risposi che ero un contadino illetterato, che mi era difficile discutere su una questione così importante, ma posso dirvi, compagno Lenin, che in Ucraina, nella Russia del Sud, come dite voi Bolscevichi, noi siamo immersi nel presente ed è attraverso di esso che noi cerchiamo di avvicinarci al futuro, al quale, è vero, noi pensiamo. E noi pensiamo molto seriamente.»

I miliziani machnovisti, nel 1920, tentarono di stringere patto di collaborazione con i bolscevichi ma vollero includere una clausola da quest’ultimi considerata assolutamente inaccettabile:

«Nella regione in cui opererà l’esercito machnovista, la popolazione operaia e contadina creerà le proprie istituzioni libere per l’autoamministrazione economica e politica; queste istituzioni saranno autonome e collegate federativamente – per mezzo di patti – agli organi governativi delle Repubbliche Sovietiche.»

Ciò non poteva che portare allo scontro armato con il regime bolscevico che si andava consolidando. Il carattere squisitamente libertario del movimento machnovista e il suo spirito egualitario ed antiautoritario non potevano che scontrarsi con i metodi ed i progetti bolscevichi che attaccarono il movimento, e lo distrussero dopo lunghi scontri, nel 1921


Machn
o si rifugiò a Parigi dove continuò l’attività politica in condizioni di vita molto precarie. Rimase fieramente anarchico fino alla morte, avvenuta nel 1934 a causa di una tubercolosi che da tempo ne minava il fisico. Le sue ceneri riposano nel cimitero di Père-Lachaise.

Una sintetica bibliografia per chi volesse saperne di più:

– Volin, La rivoluzione sconosciuta, Edizioni RL, Napoli 1950.

– Nestor Machno, La lotta contro lo Stato e altri saggi, stampa AK, 1996.

– Nestor Machno, La Rivoluzione anarchica e altri scritti, 2005, M&B Publishing, Milano.

– Aleksandr Vladlenovič Šubin,”Nestor Machno: Bandiera Nera sull’Ucraina”, Elèuthera editrice, 2012.

Quest’ultimo prezioso testo torna in libreria dal 28 ottobre 2022; qui sotto (dopo la foto) il link per leggere la premessa.

In “bottega” cfr anche  Scor-date: 1 marzo 1921 di Marx Adin

“Nestor Machno: Bandiera Nera sull’Ucraina”

leggi la premessa >>
17 euro –  ill.232 pagine – traduzione di Sara Baglivi

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *