Note al margine dell’accordo fra U.E. ed Egitto

di Alexik (*)

È di qualche giorno fa la visita della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in Egitto, alla guida di un drappello di capi di governo di Austria, Grecia, Cipro, Belgio e Italia. Al centro dell’incontro con Abdel Fattah Al Sisi la definizione di un accordo di partenariato strategico e globale fra UE e Repubblica Araba d’Egitto.
Un obiettivo ben più esteso, dunque, di quanto hanno fatto pensare le notizie rimbalzate sui nostri media, appiattite sul tema del contrasto ai flussi migratori. In realtà sui 7,4 miliardi di finanziamenti promessi dall’UE solo 200 milioni di euro (cioè un trentasettesimo del totale) sono dedicati alla “gestione” delle migrazioni, in termini di protezione delle frontiere (le nostre), di lotta ai trafficanti, di aumento dei rimpatri degli emigrati egiziani e di “accoglienza” dei migranti nel paese nordafricano.
Il resto dei quattrini consiste in 5 miliardi di euro di prestiti agevolati per il sostegno del bilancio egiziano e per progetti bilaterali, oltre ad ulteriori 1,8 miliardi di investimenti nell’ambito degli EU-Southern Neighbourhood projects, più 400 milioni a fondo perduto.

Il comunicato stampa sull’accordo contiene passaggi che non possono che suscitare ilarità, a partire dalla definizione dell’Egitto come “vitale pilastro di sicurezza, moderazione e pace nella regione del Mediterraneo, del Vicino Oriente e del l’Africa”, glissando per esempio sul ruolo del regime di Al Sisi nella destabilizzazione della Libia attraverso il generale Haftar, per poi raggiungere le più alte vette del ridicolo nel passaggio che impegna l’Egitto e l’UE a continuare “ad adoperarsi per promuovere ulteriormente la democrazia, le libertà fondamentali e i diritti umani”. Stiamo parlando di uno Stato retto da un golpista che nel 2013 ha gestito le proteste contro il colpo di stato militare compiendo stragi di massa di centinaia di manifestanti come quelli delle piazze Rab’a e al-Nahda.
Un golpista che ha “vinto” le elezioni del 2014 dopo aver messo fuori legge i partiti dell’opposizione, compreso quello di maggioranza, e che ha continuato poi a governare attraverso la ferocia contro le piazze, l’arresto di decine di migliaia di oppositori, le centinaia di condanne a morte, la tortura nelle carceri (in termini di pestaggi, stupri, elettrocuzioni, stress positions), i processi farsa, i sequestri di persona e le esecuzioni extragiudiziali, come quella subita da Giulio Regeni.

Ma per Ursula von der Leyen l’Egitto è un “partner affidabile, vitale pilastro di sicurezza, moderazione e pace”, ed anche per i capi di governo del suo seguito, che durante la visita hanno tenuto colloqui bilaterali con Al Sisi per la definizione di memoranda. Il governo italiano ne ha siglati dieci che spaziano “dall’agricoltura, al sostegno finanziario per le piccole e medie imprese, allo sviluppo infrastrutturale e alla sanità”, come recita il comunicato di Giorgia Meloni.
Di questi memoranda con l’Italia – se ecludiamo quello sull’introduzione dell’italiano come seconda lingua nelle scuole egiziane e un altro memorandum whitewashing sugli aiuti sanitari ai profughi di Gaza – non è dato al momento conoscere ulteriori dettagli.

L’Egitto fra crisi economica e guerre ai confini

Dai tempi del colpo di stato di Al Sisi lo “sviluppo” egiziano, in termini di crescita del prodotto interno lordo, si è accompagnato ad un aumento pesante del debito estero, lievitato per finanziare la costruzione della nuova capitale amministrativa a 30 km dal Cairo, per erigere grandi opere, acquistare armi e sostenere una valuta sopravvalutata.

Citando Agenzia Nova, “nel settembre 2023 il debito estero egiziano ammontava a 164,5 miliardi di dollari, secondo i dati pubblicati dalla Banca Centrale. A fine dicembre 2023 il rapporto debito/PIL si attestava al 42,4%, mentre le riserve valutarie raggiungevano i 35,2 milioni di dollari, equivalenti a 6,5 mesi di importazioni di beni. In febbraio il tasso di inflazione annuale è salito al 36 % e non sembra destinato a scendere, soprattutto dopo la decisione della Banca centrale, all’inizio di marzo, di allentare il tasso di cambio della sterlina egiziana”, condizione, quest’ultima, posta dal FMI per erogare il suo quarto prestito al paese dal 2016.

La situazione economica fa i conti con il livello ancora alto dei prezzi del grano, frutto della speculazione sui mercati internazionali successiva alla guerra in Ucraina, e con la riduzione del traffico nel Canale di Suez dovuto agli attacchi degli Houthi, che ha dimezzato gli introiti doganali. Il tutto, in un paese circondato a sud dal conflitto fra le fazioni militari in Sudan, ad ovest dall’instabilità della Libia e ad est dall’invasione israeliana di Gaza.
In questo quadro, l’accordo di partenariato promosso dall’U.E. – preceduto da un intervento di sostegno finanziario all’Egitto degli Emirati Arabi Uniti e dal nuovo prestito del FMI – è sicuramente rivolto a non aggravare l’instabilità complessiva della regione e a fidelizzarsi un alleato al centro di uno scenario strategico. Ma al contempo giunge nel momento più opportuno per far leva sulle vulnerabilità del paese e penetrarne più profondamente l’economia, dai settori energetici, alle infrastrutture, ai mercati di sbocco per le merci europee (armi comprese), al posizionamento nella Suez Canal Economic Zone.

Un accordo per una nuova prigione nel deserto?

Secondo i dati delle Nazioni Unite attualmente l’Egitto ospita circa 480mila richiedenti asilo e rifugiati, prevalentemente provenienti dal Sudan. La repressione e la crisi economica spingono ad emigrare anche migliaia di egiziani (26mila nel 2023, quasi il doppio rispetto all’anno precedente), che però attraversano il mare partendo soprattutto dalla Libia o dalla Turchia, dato che la normativa particolarmente dura varata da Al Sisi nel 2016, unita a un controllo effettivo del territorio, ha bloccato le partenze dalla coste egiziane.
Questo vale ovviamente anche per le rotte di chi è in fuga dall’Africa orientale e subsahariana, e pertanto i porti egiziani non si caratterizzano, a differenza di quelli tunisini o libici, come un particolare punto di partenza dei flussi verso l’Europa.
L’Egitto funziona già efficacemente da cane da guardia delle frontiere europee, sottoponendo i migranti ad arresti arbitrari, maltrattamenti e respingimenti illegali. Non si capisce quindi perché tanta enfasi sul problema migratorio abbia accompagnato la stipula dell’ accordo di partenariato con l’U.E. Il sospetto è che tanta apprensione sia legata al potenziale esodo generato dai massacri e dalla pulizia etnica in corso a Gaza e dalla distruzione di ogni possibilità di ritorno dei gazawi in un territorio reso completamente inabitabile.
L’Unione Europea teme che le conseguenze delle azioni del suo sanguinario alleato sionista ricadano su di lei , e interviene preventivamente sull’Egitto perché vi ponga rimedio.
E Al Sisi sta già provvedendo, come spiega Kevin Carboni su Wired.
L’Egitto sta costruendo un muro alto cinque metri attorno al confine con la Striscia di Gaza, ma il governo del Cairo non ha ancora commentato o annunciato pubblicamente la cosa. Secondo gli osservatori dovrebbe servire a bloccare un’eventuale fuga di massa dei palestinesi verso il vicino paese arabo, nel caso Israele dovesse realmente invadere via terra la città di Rafah, dove si trovano quasi 2 milioni di sfollati a causa dell’offensiva israeliana a Gaza. Nel totale silenzio delle autorità egiziane, è stata l’organizzazione umanitaria Sinai foundation for human rights (Sfhr) a dare la notizia della costruzione del muro, pubblicando su X foto e video delle barriere e degli operai al lavoro con macchinari pesanti lungo il confine egiziano con Gaza. Secondo la Sfhr, l’area recintata sarebbe di circa 20 chilometri quadrati e potrebbe essere usata come nuovo campo profughi per accogliere i palestinesi in caso di un esodo di massa”.
In un recente articolo sul Manifesto, Chiara Cruciati descrive la costruzione al confine con Gaza, sul territorio egiziano, di “un’isola di deserto chiusa da un muro. …La zona cuscinetto potrebbe ospitare 100mila persone. Probabilmente molte di più: Rafah si sviluppa su 64 km quadrati e oggi di sfollati ne ospita 1,5 milioni. A disposizione, a volerlo prevedere, c’è anche New Rafah, città fantasma: palazzine vuote, 10mila appartamenti destinati alle famiglie egiziane cacciate dalla vecchia Rafah che al-Sisi ha svuotato a colpi di sgomberi e bulldozer. Le palazzine si incontrano lungo la strada, in mezzo al deserto”.
È questa la prospettiva che gli emissari dell’U.E. sono venuti a finanziare?

Immagine delle trasformazioni dell’area fra Gaza ed Egitto.
Fonte: Sinai foundation for human rights.

Finanziare l’Egitto o gli obiettivi strategici del capitale europeo?

Più che le migrazioni, la parte succosa dell’accordo di partenariato è – come prevedibile – quella degli investimenti, a cui è indirizzata la maggior parte dei fondi.
Il comunicato stampa di presentazione dell’accordo recita: “’UE è fermamente impegnata a rafforzare gli aspetti della cooperazione con l’Egitto in molteplici settori dell’economia moderna, tra cui le energie rinnovabili e l’idrogeno rinnovabile, l’industrializzazione avanzata, l’agricoltura, la sicurezza alimentare, la connettività e la digitalizzazione, la sicurezza idrica e gestione dell’acqua. Queste aree attireranno fino a 5 miliardi di euro di investimenti europei sostenuti da garanzie nel quadro dell’European Fund for Sustainable Development e dell’Economic Investment Plan.
L’UE sosterrà inoltre gli sforzi in corso in Egitto per migliorare il suo ambiente imprenditoriale e di investimento, facilitando i flussi commerciali e di investimento in linea con i suoi obblighi internazionali, in particolare quelli relativi all’UE
.
L’UE è pronta a sostenere la Conferenza internazionale sugli investimenti nel 2024, in cui il rafforzamento degli scambi commerciali Egitto-UE migliorerà anche il contesto imprenditoriale generale e stimolerà gli investimenti pubblici e privati. Il sostegno europeo consentirà alla comunità imprenditoriale europea di beneficiare dei potenziali di investimento disponibili in Egitto, tra cui i privilegi forniti dal canale di Suez essendo il più importante corridoio commerciale e marittimo che collega l’Est e l’Ovest del globo e la zona economica del canale di Suez che rafforzerebbe il ruolo dell’Egitto nelle catene di approvvigionamento dell’UE e ha il potenziale per attirare le industrie europee in Egitto.
L’UE e l’Egitto riconoscono che la nuova realtà geopolitica e del mercato dell’energia richiede un approfondimento del partenariato esistente per sostenere la loro sicurezza energetica. A tal fine, l’UE e l’Egitto convengono di intensificare la cooperazione concentrandosi in particolare sulle fonti di energia rinnovabili, sulle azioni di efficienza energetica e sulla cooperazione su altre tecnologie sicure e sostenibili a basse emissioni di carbonio, basandosi sul significativo potenziale dell’Egitto in termini di espansione a costi convenienti della produzione di energia rinnovabile, attraverso progetti come l’interconnettore GREGY.


L’UE si è inoltre impegnata a sostenere i lavori del Forum del gas nel Mediterraneo orientale al fine di rafforzare la cooperazione energetica e la sicurezza dell’approvvigionamento di gas nella regione e il commercio di gas con l’UE”.

Un programma ambizioso che attraversa molteplici settori, pieno di belle parole da cui però traspaiono concetti quali:

  • controllo da parte dell’U.E. delle catene di approvvigionamento di risorse strategiche
  • profitti per le multinazionali europee dell’energia e delle infrastrutture
  • delocalizzazione industriale verso l’Egitto
  • liberalizzazione/privatizzazione di settori del mercato interno egiziano ai fini dell’espansione delle imprese europee
  • impatti ambientali e sociali scaricati sulle popolazioni e gli ecosistemi.

(Continua)

(*) Tratto da Ecor.Network.

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alexik

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