Pena di morte: Iran, Ryad e altri orrori

Notizie riprese dal «Foglio di collegamento» del Comitato Paul Rogeau. A seguire la presentazione e l’indice del numero 298 con le “istruzioni” per chi volesse iscriversi e/o dare una mano.

 

DUE ATTIVISTE LGBT SONO STATE CONDANNATE A MORTE IN IRAN

Si ritiene che due iraniane, Zahra Seddiqi Hamedani e Elham Choubdar, siano state condannate a morte in Iran per il fatto di essere omosessuali e di essersi battute per i diritti degli individui LGBT.

Zahra Seddiqi Hamedani

Un tribunale di Urmia, nell’Azerbaigian occidentale iraniano, ha giudicato Zahra Seddiqi Hamedani, di 31 anni, ed Elham Choubdar, di 24 anni, colpevoli di “corruzione sulla Terra” e le ha condannate a morte.

L’organizzazione norvegese Hengaw per i diritti umani ha riferito che sono state accusate di promuovere l’omosessualità, promuovere il cristianesimo e comunicare con i media contrari alla Repubblica islamica.

La magistratura iraniana ha successivamente confermato le condanne, ma ha affermato che erano dovute al traffico di esseri umani e non all’attivismo. “Contrariamente alle notizie pubblicate nel cyberspazio e alle voci che sono state diffuse, queste due sono state accusate per il traffico di donne e giovani ragazze in uno dei Paesi della regione”, ha riferito l’organo di informazione della magistratura, Mizan.

La Hengaw ha fatto sapere che Seddiqi Hamedani proviene da Naqadeh, città a maggioranza curda, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, che confina con la Turchia e l’Iraq.

Amnesty International l’aveva precedentemente descritta come “difensora dei diritti umani non conforme al genere”, arrestata “esclusivamente in relazione al suo orientamento sessuale reale o presunto e alla sua identità di genere, nonché ai suoi post sui social media e alle sue dichiarazioni in difesa dei diritti LGBT”.

Il rapporto di Amnesty riferisce che la donna è stata arrestata nell’ottobre 2021 dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) mentre tentava di entrare in Turchia per chiedere asilo. “È stata fatta sparire con la forza per 53 giorni, durante i quali un agente dell’IRGC l’avrebbe sottoposta a “intensi interrogatori accompagnati da abusi verbali” e “ha minacciato di giustiziarla o di farle del male in altro modo e di toglierle la custodia dei suoi due figli piccoli”. La Hengaw ha osservato nel suo rapporto che “Zahra Sediqi Hamadani è stata privata del diritto di accesso a un avvocato durante la sua detenzione”.

A gennaio, Seddiqi Hamedani è stata portata davanti ad un procuratore di Urmia, la più grande città dell’Azerbaigian occidentale, e le è stato detto che era accusata di “diffondere la corruzione sulla Terra”, anche attraverso la promozione dell’omosessualità, la comunicazione con media ostili e la promozione del cristianesimo. Secondo Amnesty, le prime due accuse derivano dalla sua difesa pubblica dei diritti LGBT sui social media e dalla sua apparizione in un documentario della BBC del maggio 2021 sugli abusi che le persone LGBT subiscono nella regione semi-autonoma del Kurdistan in Iraq, dove aveva vissuto.

Secondo la legge iraniana, il rapporto sessuale tra persone dello stesso sesso è un reato penale, con punizioni che vanno dalla fustigazione alla pena di morte. Il regime iraniano ha giustiziato a partire dalla rivoluzione islamica del 1979 tra 4.000 e 6.000 persone gay o lesbiche.

L’accusa di promuovere il cristianesimo è stata mossa per aver indossato una collana con una croce e aver frequentato una chiesa in Iran diversi anni fa, ha aggiunto Amnesty.

Prima di tentare di lasciare l’Iran, Seddiqi Hamedani ha registrato un video in cui diceva: “Voglio che sappiate quante pressioni subiamo noi persone LGBT. Rischiamo la vita per le nostre emozioni, ma troveremo il nostro vero io… Spero che arrivi il giorno in cui tutti noi potremo vivere in libertà nel nostro Paese”. “Sto viaggiando verso la libertà… Se non ce la farò, avrò dato la mia vita per questa causa”.

Peter Tatchell, attivista britannico per i diritti umani e LGBTQ, ha dichiarato al giornale Jerusalem Post che “Zahra Sediqi Hamedani ed Elham Chubdar, accusate di essere attiviste LGBTQ, sono state condannate a morte con l’accusa di ‘Corruzione sulla Terra’ attraverso la promozione dell’omoses-sualità”. Questa accusa viene spesso usata contro i critici del regime e contro coloro che esprimono opinioni non conformi all’ortodossia islamica. Di solito porta all’esecuzione. “Secondo quanto riferito, Zahra non ha avuto accesso a un avvocato durante i 10 mesi di detenzione. L’Iran è noto per i processi iniqui ed è molto probabilmente il caso di queste due donne”. Ha aggiunto che “probabilmente saranno impiccate con il barbaro metodo dello strangolamento lungo e lento, utilizzato dal regime iraniano per massimizzare la sofferenza della vittima”.

Questi casi evidenziano ulteriormente la guerra omicida in corso da parte della dittatura di Teheran contro le persone LGBTQ, in violazione dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite (1).”

La comunità internazionale deve fare pressione sulle autorità iraniane affinché commutino le condanne a morte e rilascino queste donne”.

La professoressa Jessica Emami, esperta di Iran e ricercatrice dell’Istituto per lo studio dell’Antisemitismo Globale e della Politica, ha dichiarato che “fin dalla sua nascita, la Repubblica Islamica dell’Iran ha trattato le persone LGBT con dispotismo e barbarie. Gli iraniani LGBT cercano disperatamente di fuggire dall’Iran per evitare l’imprigionamento e la morte”.

Sheina Vojoudi, una dissidente iraniana fuggita dalla Repubblica islamica dell’Iran a causa della repressione, ha dichiarato: “Notizie come questa non ci sorprendono più. La Repubblica islamica in Iran interferisce nelle parti più private della vita degli Iraniani. La Repubblica islamica vuole fare di noi degli schiavi, un esercito di schiavi pronti a morire per l’ideologia del regime. Il regime vuole decidere per l’intera nazione, vuole decidere anche per il desiderio sessuale delle persone, per il rapporto tra mariti e mogli e la quantità di figli, per le nostre credenze, per il nostro modo di pensare. Il regime decide quali nazioni dobbiamo odiare e quali amare e se prendiamo le nostre decisioni contro la volontà del regime dei Mullah, siamo considerati un pericolo per la sicurezza nazionale”.

Anche il feed Twitter indipendente iraniano 1500tasvir e la Rete iraniana delle lesbiche e dei transgender, con sede in Germania, hanno confermato che “le attiviste per i diritti degli omosessuali Zahra_Seddighi e Elham Choobdar sono state condannate a morte” e hanno invitato i governi stranieri a fare pressione sull’Iran affinché le rilasci.

  1. Il leader Supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, a marzo ha definito l’omosessualità parte dell’assenza di moralità caratteristica della civiltà occidentale.

IN IRAN LA POLIZIA VA CONTRO I PARENTI DEI CONDANNATI A MORTE

Il 21 settembre la polizia iraniana ha arrestato un gruppo di manifestanti costituito da parenti di condannati a morte. Fermati anche alcuni bambini.

Domenica 21 settembre le forze di sicurezza iraniane hanno attaccato un raduno di famiglie dei detenuti condannati a morte davanti all’edificio della magistratura e hanno effettuato diversi arresti. Le foto e i video dei social media mostrano che c’erano bambini tra le persone arrestate.

La polizia ha cercato di disperdere i manifestanti, che insistevano per continuare la loro manifestazione. I manifestanti portavano cartelli con gli slogan “Non mettete a morte” e “No alle esecuzioni”.

La settimana precedente le famiglie dei condannati a morte hanno tenuto manifestazioni davanti al Tribunale rivoluzionario nella città di Karaj e davanti alla Sede della magistratura di Teheran, chiedendo di fermare l’esecuzione dei loro parenti.

Alla fine di luglio, 2 organizzazioni per i diritti umani hanno dichiarato che l’Iran ha intrapreso una corsa all’esecuzione a un “ritmo orribile” con almeno 251 impiccagioni tra il 1 ° gennaio e il 30 giugno 2022.

Amnesty International e il Centro Abdorrahman Boroumand per i Diritti Umani in Iran hanno scritto in un rapporto che il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente più alto, poiché le autorità mantengono il segreto sulle condanne a morte emesse ed eseguite.

Il 16 giugno, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Iran, denunciando “l’alto numero di condanne a morte ed esecuzioni”. Il capo delle Nazioni Unite ha dichiarato che il numero di esecuzioni in Iran è aumentato da almeno 260 nel 2020 ad almeno 310 nel 2021 e che tale numero ha continuato a salire nel 2022.

IN IRAN MESSO A MORTE UN SEDICENNE ALL’EPOCA DEL CRIMINE

Attualmente nei bracci della morte dell’Iran ci sono almeno 85 detenuti che erano minorenni al momento del crimine. Mohammad Hossein Alizadeh, un giovane messo a morte in Iran il 16 agosto, aveva 16 anni quando fu accusato di aver commesso un crimine.

Gli attivisti iraniani hanno confermato che Mohammad Hossein Alizadeh, un giovane recentemente messo a morte in Iran, era minorenne quando fu accusato di aver commesso un crimine.

Il sito web di notizie Halvash, che copre le notizie della minoranza etnica Baluch in Iran, ha pubblicato le immagini dei documenti penali riguardanti il condannato da cui risulta che era nato in Afghanistan il 6 ottobre del 2001.

Mohammad Hossein Alizadeh fu arrestato nel 2017, quando aveva 16 anni, con l’accusa di aver accoltellato un uomo durante una rissa, ed è stato rinchiuso nel carcere di Qom fino alla sua esecuzione portata a termine il 10 agosto.

Affermava di essere stato costretto a confessare l’omicidio sotto “tortura, minacce, percosse e oscenità”.

Aveva detto: “Non accetto l’accusa di omicidio. Il coltello mi appartiene, ma non ricordo se ho pugnalato qualcuno con esso. Non ero in uno stato normale, avevo bevuto”.

La Corte Suprema iraniana ha dichiarato: “Il gruppo di cinque membri esperti neuropsichiatrici e forensi ha dichiarato che la persona nominata soffre di disturbo della condotta, aggressività e irritabilità, ma ha la capacità di distinguere e riconoscere il bene e il male. Ha uno sviluppo mentale e intellettuale appropriato alla sua età, e non c’è alcuna prova che non riconoscesse il bene e il male nel momento in cui commise il crimine”.

Il Codice penale iraniano consente l’esecuzione di ragazzi di almeno 15 anni e di ragazze di almeno 9 anni, anche se l’esecuzione di minori è vietata dal diritto internazionale.

Attualmente ci sono almeno 85 detenuti che erano minorenni al momento del crimine rinchiusi nei bracci della morte in Iran.

L’Iran è uno dei pochi paesi al mondo che ancora applica la pena di morte per i minorenni. Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, firmato anche dall’Iran, vieta l’emissione e l’attuazione di condanne a morte per i crimini commessi da individui di età inferiore ai 18 anni.

 

VIENE UCCISA IN IRAN PERCHÉ NON PORTA BENE IL VELO

Da Amnesty International apprendiamo che una donna iraniana è stata uccisa per il fatto di non aver portato bene il velo che le donne iraniane devono indossare. Mahsa Amini è stata picchiata dalla polizia mentre veniva portata in un centro di detenzione ed è morta. L’uccisione della donna ha provocato proteste contrastate duramente dalle autorità.

Il 13 settembre Mahsa Amini, 22 anni, è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana per non aver portato in modo conforme il velo, violando dunque un obbligo del tutto discriminatorio.

Secondo testimoni oculari, è stata picchiata violentemente mentre veniva portata in un centro di detenzione. È morta tre giorni dopo!

Da quel giorno, una straordinaria ondata di proteste si è riversata nelle strade dell’Iran. Migliaia di persone stanno protestando, accanto a loro, in tutto il mondo.

La risposta delle autorità iraniane è estremamente brutale: dall’inizio delle proteste sono oltre 70 le persone morte, tra cui anche dei minorenni, e centinaia quelle ferite. Amnesty International

L’ARABIA SAUDITA

È UNO DEI PAESI IN CUI SI COMPIONO PIÙ ESECUZIONI

L’Arabia Saudita è uno dei Paesi del mondo in cui si compiono più esecuzioni capitali. Lo ha sottolineato il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres nel rapporto pubblicato in occasione della 51-sima sessione del Consiglio per i Diritti Umani.

Il rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla pena di morte ha confermato che l’Arabia Saudita ha ripreso le esecuzioni con diffuse violazioni del diritto internazionale.

Il rapporto, pubblicato in occasione della 51-sima sessione del Consiglio per i Diritti Umani, riguarda il periodo che va da luglio del 2020 a giugno del 2022 ed è ricavato da rapporti e interventi di stati, organismi internazionali e regionali delle Nazioni Unite e organizzazioni non governative.

Nell’introduzione il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres afferma che gli Stati che non hanno ancora abolito completamente la pena di morte dovrebbero intraprendere un percorso irreversibile verso la sua totale abolizione, de facto e de jure. La pena di morte non può conciliarsi con il pieno rispetto del diritto alla vita. Il rapporto rileva che 170 paesi hanno abolito o sospeso la pena di morte, ma contrariamente alla tendenza globale, una minoranza di paesi continua a farne uso.

Reintroduzione della pena di morte o estensione o ripresa delle esecuzioni

Le misure adottate nel contesto della pandemia di coronavirus hanno avuto un impatto sull’imposizione e sull’applicazione della pena di morte. Nel 2020 è stata segnalata una riduzione del numero di condanne a morte annunciate ed eseguite in diversi paesi, tra cui l’Arabia Saudita, a causa delle misure adottate per contrastare l’epidemia. Tuttavia, con l’allentamento delle restrizioni contro la pandemia nel 2021 e nel 2022, le esecuzioni sono riprese o sono aumentate in molti paesi. Tre paesi, tra cui l’Arabia Saudita, di tutte le esecuzioni conosciute in quell’anno, ne hanno portate a termine 88.

Le misure di salvaguardia garantiscono la protezione dei diritti di coloro che rischiano la pena di morte

Molti paesi hanno continuato a imporre e applicare la pena di morte per reati di terrorismo. Il Consiglio ONU per i Diritti Umani ha espresso preoccupazione per l’uso delle leggi antiterrorismo in vari paesi, tra cui l’Arabia Saudita, contro cittadini stranieri e persone appartenenti a minoranze. Secondo i rapporti, le condanne sono state emesse in seguito a procedure giudiziarie inique, quali arresto arbitrario, tortura, maltrattamenti e sparizione forzata.

L’Alto Commissario per i Diritti Umani ha condannato le esecuzioni di massa in Arabia Saudita basate su accuse di terrorismo, anche contro persone appartenenti a minoranze che hanno partecipato a proteste antigovernative.

Garanzie per un processo equo

Alcune condanne a morte sono state emesse dopo arresti arbitrari e tortura, applicando leggi antiterrorismo in vari paesi, tra cui l’Arabia Saudita.

È stato riferito che molte persone nel braccio della morte non sono riuscite ad ottenere una difesa legale personale, ma alcuni avvocati difensori hanno riferito di non essere stati in grado di svolgere efficacemente il proprio lavoro investigativo. Sono inoltre accresciute le preoccupazioni sul fatto che si stiano scoraggiando gli avvocati dall’assumere casi di pena di morte, e si stia rendendo difficile trovare rappresentanza legale per le persone nel braccio della morte.

Esecuzione di minori

In alcuni paesi sono ancora legali le condanne a morte per crimini commessi da persone di età inferiore ai 18 anni. Si ritiene che criminali che erano al disotto dei 18 anni al momento del crimine siano nel braccio della morte in vari paesi, tra cui l’Arabia Saudita.

I titolari del mandato di procedure speciali hanno espresso grave preoccupazione per le condanne a morte pronunciate contro i minorenni in Arabia Saudita, a dispetto di sentenze emesse dopo processi che, secondo quanto riferito, non avrebbero rispettato le garanzie di un processo equo, e di accuse di detenzione arbitraria e tortura. Il gruppo di lavoro sulla Detenzione Arbitraria aveva chiesto all’Arabia Saudita di rilasciare immediatamente una persona che era stata arrestata quando aveva 14 anni, e condannata a morte dopo un processo che conteneva irregolarità, inclusa un’ammissione di colpa che si diceva fosse stata estorta sotto tortura.

Il Gruppo di Lavoro e il Relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali hanno esortato l’Arabia Saudita ad adottare senza indugio le misure legislative necessarie per abolire l’imposizione della pena di morte ai bambini per tutti i reati, compresi quelli punibili con le pene Qisas e Hadd.

Il Segretario Generale ha chiuso la sua relazione con alcune conclusioni e raccomandazioni, tra cui:

Dopo le limitazioni dovute alla pandemia di Covid-19, l’imposizione e l’applicazione della pena di morte sono riprese o sono aumentate in molti paesi.

Il Segretario Generale ricorda che tutti gli Stati dovrebbero rispettare pienamente i propri obblighi ai sensi della legge internazionale sui diritti umani. Gli Stati che mantengono la pena di morte dovrebbero imporla solo per i “reati più gravi”, che sono stati conformemente interpretati come crimini di estrema gravità che comportano uccisioni intenzionali.

Gli Stati dovrebbero abolire la pena di morte obbligatoria. Inoltre, un processo dovrebbe tener conto delle circostanze personali dell’autore del reato e delle circostanze particolari del reato.

In attesa dell’abolizione, gli Stati dovrebbero assicurare che le garanzie e le tutele legali siano effettivamente messe in atto, compreso il diritto di chiedere la grazia e la commutazione della sentenza attraverso procedure che offrano determinate garanzie essenziali.

L’Organizzazione Europea Saudita per i Diritti Umani (European Saudi Organisation for Human Rights) rileva che, in conseguenza delle minacce alla società, delle minacce alle famiglie, della mancanza di trasparenza e della difficoltà di accedere ai documenti, è difficile stabilire il numero di coloro che sono attualmente nel braccio della morte in Arabia Saudita.

PRESENTAZIONE E SOMMARIO DEL NUMERO 298

Ecco il numero 298 del nostro «Foglio di Collegamento» il cui sommario è riportato qui sotto.

I numeri precedenti si trovano nel nostro sito  www.comitatopaulrougeau.org

I due primi importanti articoli riguardano gli Stati Uniti d’America. Poi vi sono quattro articoli che riguardano l’Iran, il Paese in cui la pena di morte imperversa. Ma anche in Arabia Saudita non si scherza con la pena capitale.

Dell’impegno del papa contro la pena di morte si è detto molto in Italia e all’estero in questi anni e in questi giorni. L’ultimo articolo di questo numero del «Foglio di Collegamento» parla di un video abolizionista di Papa Francesco tradotto in 23 lingue e diffuso in 114 Paesi.

Vi ricordo la pagina Facebook Amici e sostenitori comitato Paul Rougeau contro la pena di morte. Nella pagina trovate articoli scritti da organizzazioni abolizioniste in tutto il mondo.

Giuseppe Lodoli per il Comitato Paul Rougeau

 

SOMMARIO

Esecuzione interrotta in Alabama: le guardie non trovano la vena

Patrick Schroeder si suicida nel braccio della morte del Nebraska

Due attiviste LGBT sono state condannate a morte in Iran 

In Iran la polizia va contro i parenti dei condannati a morte

In Iran messo a morte un sedicenne all’epoca del crimine               

Viene uccisa in Iran perché non porta bene il velo                            

I gruppi per i diritti umani e l’UE condannano Hamas per l’esecuzione di 5 persone    

L’Arabia Saudita è uno dei Paesi in cui si compiono più esecuzioni  

Il papa: la pena di morte non fa giustizia ma alimenta la vendetta 

 Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili al 30 settembre 2022

Scriveteci all’indirizzo paulrougeau@tiscali.it per comunicarci il vostro parere su quanto scriviamo, per chiederci ulteriori informazioni riguardo ai temi trattati, per domandarci dell’andamento delle nostre campagne in corso, per esprimere il vostro accordo o il vostro disaccordo sulle posizioni che assumiamo.

 

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È di vitale importanza per il Comitato potersi giovare dell’entusiasmo e delle risorse personali di nuovi aderenti. Pertanto, facciamo affidamento sui nostri soci pregandoli di trovare altre persone sensibili alla problematica della pena di morte disposte ad iscriversi alla nostra associazione.

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Alberto Campedelli

    La pena di morte e’ uno scandalo contro l’umanità. Cioe’ un crimine. Solo Dio deve avere questo potere e l’uomo ha la presunzione di poter disporre della vita di un uomo e di una donna. Presunzione, criminalità, cattiveria, vendetta sono i presupposti della pena di morte. RIpeto: solo DIo può avere questo potere che e’ misericordia, perdono, accoglienza e comprensione anche per i maggiori crimini. Adesso mi vengono in mente le 39 guerre in corso e i femminicidi. UN caro saluto Alberto Campedelli tel 3207958924

  • La protesta di un’ottantenne iraniana: si toglie il velo in un video diventato virale
    “Dopo 80 anni”, ha spiegato la donna nel filmato, “rimuovo il mio hijab perché voi uccidete in nome della religione”
    https://www.rainews.it/video/2022/10/donna-di-80-anni-si-toglie-lhijab–6ca8aa0e-0fa2-4f5e-abe0-801571ae8daa.html

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