Potere al popolo, certo… ma come?

La democrazia fra Lenin e Trasimaco, Malatesta, Lenny Kravitz e Sartre in «Ci manca(va) un Venerdì», puntata 118

di Fabrizio Melodia

«La democrazia è uno stato che legittima la sottomissione della minoranza alla maggioranza, ed è paragonabile a un’organizzazione istituita per l’uso sistematico della forza di una classe contro l’altra, di una parte della popolazione contro l’altra» afferma Lenin in «Stato e Rivoluzione». Una denuncia fortissima, tesa a sottolineare come le strutture con le quali gli uomini auspicherebbero di convivere e organizzarsi in pace e nel rispetto altrui, altro non siano che strumenti di potere del forte contro il più debole, ovvero per perpetrare soprusi.

Vicino a una tale conclusione era arrivato molto tempo prima un filosofo che andiamo a conoscere grazie a Platone, che ne riporta qui il pensiero in modo assai chiaro e sintetico: «Ciascun governo istituisce leggi per il proprio utile; la democrazia fa leggi democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta che hanno fatto le leggi, eccoli proclamare che il giusto per i governati si identifica con ciò che è invece il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgressore sia della legge sia della giustizia. In ciò consiste, mio ottimo amico, quello che dico giusto, identico in tutte quante le poleis, l’utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre identico all’utile del più forte». Una bella bastonata sui denti da parte di Trasimaco per tutti coloro che hanno auspicato una rivoluzione a tutto tondo, per sovvertire le antiche monarchie, oligarchie comprese: la democrazia sarebbe dunque solo il prepotente dominio di una classe sociale su di un’altra più debole in termini di mezzi e di forza.

«Lenin è stato sfortunato. È nato 100 anni troppo presto» scrive Arthur Clarke, evidenziando la sottile linea rossa che conduce da Trasimaco conduce al bolscevismo e vedendo all’orizzonte le politiche neoliberiste e la deriva della sinistra, divisa in lotte intestine e derive destroidi.

Eppure già Platone si poneva una domanda fondamentale, alla quale aveva cercato di dare una risposta soddisfacente: «A mio parere, quando una città democratica, assetata di libertà, viene a essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non sano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici». Capita dunque di ubriacarsi con pessimo vino di libertà, diventando avidi e dissoluti, preparando l’arrivo di altri cattivi coppieri, pronti a stordirci con pagliacciate? Sì, secondo Platone: «E ricopre d’insulti coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. In una tale città non è inevitabile che la libertà tocchi il suo culmine?».

Una simile libertà sarebbe solo il terreno fertile per ogni genere di scelleratezze, dove la popolazione è dissoluta mentre altri sono pronti a prendere il potere per governare costoro.

Ma allora come si prospetta una rivoluzione? Lenin non aveva dubbi: «l’evoluzione verso il comunismo avviene passando per la dittatura del proletariato e non può avvenire altrimenti, poiché non v’è nessun’altra classe e nessun altro mezzo che possa spezzare la resistenza dei capitalisti sfruttatori». Ma se il proletariato è ancora più scemo e dissoluto dei suoi sfruttatori come potrà cambiare qualcosa?

«La rivoluzione, abolendo il governo e la proprietà individuale, non creerà forze che non esistono; ma lascerà libero campo all’esplicazione di tutte le forze, di tutte le capacità esistenti, distruggerà ogni classe interessata a mantenere le masse nell’abbrutimento, e farà in modo che ognuno potrà agire ed influire in proporzione della sua capacità, e conformemente alle sue passioni ed ai suoi interessi» affermava l’anarchico Errico Malatesta.

Mentre l’esistenzialista Jean Paul Sartre sottolinea: «La rivoluzione non è questione di merito, ma di efficacia, e non v’è cielo. C’è del lavoro da fare, ecco tutto».

Tutti al lavoro per una Rivoluzione efficace, sulle note del cantante Lenny Kravitz, che ci sveglia così: «La rivoluzione non è una mela che cade quando è matura. Devi essere tu a farla cadere».

La vignetta di Mafalda è (tutte e tutti lo sanno?) dell’argentino Joaquín Lavado, in arte Quino. L’altra immagine è tratta dal fumetto “Superman – Red Son”, una mini-serie (3 episodi) del 2003 – scritta da Mark Millar, disegnata da Dave Johnson e Kilian Plunkett – dove si immagina che Superman sia atterrato negli anni ‘40 in Urss, diventando il paladino della rivoluzione e il braccio destro di Stalin; in questo improbabile mondo alternativo diverrà presidente degli Stati Uniti John Kennedy, subentrato a Richard Nixon, ucciso durante un attentato a Dallas, che ha divorziato da Jacqueline Bouvier e ha sposato Marilyn Monroe … e via così, una gran cagnara.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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