«Repubblica», «Robinson», la fantascienza: esercizi per 12 (boh)

interventi di Andrea Viscusi, Diego Rossi, db, Fabrizio Melodia, Giuliano Spagnul, Mauro Antonio Miglieruolo più 3 non-risposte interessanti. Per arrivare a 12 ce ne vorrebbero ancora  3. Venghino siore e siori, si accostino senza timori.

PREMESSA

Il losco db giorni fa inviò a 11 indirizzi (5 fanciulle e 6 fanciulli) codesto messaggio.
Se hai voglia-tempo sei una  della “sporca dozzina” che vorrei incastrare.
Di che si tratta? Nell’ultimo ROBINSON di
Repubblica c’è fantascienza (a esser pignoli: quel che loro chiamano fantascienza). Pensavo che il prossimo Marte-dì potrebbe essere divertente/utile ospitare 12 riflessioni (una è la mia) a riguardo.
Riflessioni brevi o lunghe. Firmate o “pseudonomizzate”.
Tipo: la cosa più geniale (se c’è) e la più gran cazzata (c’è). Cosa hanno scovato e cosa manca. L’errore di “prospettiva” e/o lo spiazzamento più interessante… Robinson e il suo servo Venerdì, la science fiction e le sue cugine, culture pretese alte e basse, altr’Italia in altro mondo (o immondo?), io se fossi foco, DF (dopo Frankenstein) e IA (Isaac Asimov)… Oppure un “componimento libero”.


ECCO LE RISPOSTE.

Andrea Viscusi

Robinson e il mainsplaining dell’establishment verso la narrativa di genere

Quando una testata nazionale, la rubrica culturale di un TG o un programma della Rai annuncia uno “speciale fantascienza”, gli appassionati sanno già cosa aspettarsi: se va bene riferimenti ad Asimov e Clarke, se va male fotogrammi di Star Wars e Transformers. Ci siamo abituati, e diciamo la verità, un po’ ci speriamo, perché siamo gatekeeper della nostra nicchia e ci piace poterci lamentare che quelli fuori non ci capiscono. Soffriamo di questo disturbo bipolare per cui vogliamo che gli altri ci riconoscano ma non che si occupino delle nostre cose, perché c’eravamo prima noi.

È innegabile però che il modo con cui il tema della fantascienza viene affrontato dagli operatori della cultura mainstream risulti nella maggior parte dei casi superficiale e paternalistico. La casistica che si ripete più di frequente è che l’argomento viene affidato a giornalisti e intellettuali di accertata competenza, ma che non seguono la fantascienza e quindi non ne conoscono le dinamiche e le evoluzioni più recenti. Di solito infatti le analisi si fermano bruscamente a metà degli anni 80, l’epoca che per convenzione segna la morte della fantascienza in questi ambienti.

Tutto ciò è avvenuto di nuovo con il numero di Robinson di La Repubblica uscito sabato 6 febbraio, la cui storia di copertina è 2021 – FUGA DALLA TERRA, con una bella immagine vintage dai toni planetary romance (che non fa molto 2021, a dire la verità) e la tagline: “Ora che la realtà ha superato ogni immaginazione, non basta leggere la fantascienza: bisogna viverla”.

L’intento dichiarato appare quindi mostrare come la fantascienza rappresenti un linguaggio attuale che permette di trasportare le inquietudini dell’evoluzione tecnologica e sociale sul piano del presente, per prepararsi ad affrontare le sfide che ci aspettano. Molto moderno ed efficace rispetto alla solita sparata nostalgica su come erano belli gli Urania con la copertina di Karel Thole. D’altra parte Black Mirror e Il racconto dell’ancella sono piaciuti a tutti, no?

Ma poi si inizia a leggere i contributi e le aspettative crollano. Chi scrive non è rimasto sorpreso più di tanto, ma l’amara constatazione di come l’establishment sia incapace di trattare l’argomento lo ha spinto a sottolineare le inesattezze e le generali brutture presenti nel numero. E siccome chi scrive è un millennial senza alcuna credibilità nei salotti, non ha potuto fare altro che esprimere questa frustrazione con l’unico mezzo di comunicazione universale nella lotta contro il sistema: i memi. Riproponiamo quindi le immagini e infografiche realizzate per l’occasione e inoltrate (ovviamente senza riscontro) ai canali social di Robinson, con un approfondimento sul significato di ognuna.

Il primo pezzo di Piero Melati si apre in modo incoraggiante, perché viene subito chiamato in causa il solarpunk, nuova corrente sulla cresta dell’onda, molto sommariamente considerata come “fantascienza ottimista” in contrapposizione alla distopia (non è esattamente così, ma semplifichiamo per brevità) che cerca di trovare le soluzioni al collasso. Viene addirittura citata Assalto al sole, la prima antologia italiana dichiaratamente solarpunk. Molto bene!

Peccato che poi però si inizi a fare un minestrone che mescola film, serie tv, industria, politica, astronomia, musica… e di cosa parlino gli autori di fantascienza oggi non si dice praticamente nulla a parte quele quattro righe di incipit. Nella confusione generale di nomi, da Tom Cruise a Elon Musk passando per David Bowie, si commette anche qualche errore grossolano. Si parla (giustamente) della fantascienza cinese, dicendo (correttamente) che il governo cinese la sta promuovendo e finanziando, grazie al successo dell’autore americano Ted Chiang. Ora, Ted Chiang è nato in USA e nella sua (scarsa ma incisiva) produzione non ha mai mostrato niente di spiccatamente cinese, tutt’altro: le sue storie sono molto “americane” quando non sono in effetti culturalmente neutrali. Affermare quindi che sia stato lui il pioniere della fantascienza cinese è un’informazione errata, e si potrebbe quasi pensare che l’associazione sia stata fatta unicamente sulla base del suo nome. In tal caso, qualcuno ha fatto notare, bisognerebbe anche considerare l’importanza del lavoro di China Miéville (che è inglese – NDR) nello sdoganamento della fantascienza cinese! È verissimo che questo processo è stato avviato negli ultimi anni e fortemente spinto dallo stesso governo cinese, ma se proprio bisogna individuare un intermediario che ha permesso agli autori cinesi di arrivare in tutto il mondo allora si parla di Ken Liu, che da traduttore ha portato Liu Cixin all’attenzione del mondo interno con Il problema dei tre corpi.

Insomma una leggerezza, ci può scappare. Ma sommata alla generale confusione del pezzo, non aiuta certo il lettore curioso a orientarsi. Il pezzo successivo di Stefano Massini è probabilmente il più indegno, non solo a livello di contenuti ma anche per stile di giornalismo. Se l’articolo precedente mostrava comunque buona fede e interesse almeno potenziale per gli sviluppi e le influenze della fantascienza, Massini si limita a ripetere la classica tiritera “la fantascienza non ha più niente da dire perché ormai abbiamo i robot e sulla Luna ci siamo già stati”. Massini si spinge a dire che siccome nel 2001 non abbiamo trovato il monolito e nel 2019 il mondo non era quello di Blade Runner, allora le “previsioni” degli autori di fantascienza si sono rivelate sbagliate e quindi tutto il loro lavoro non ha alcun valore. Seguendo lo stesso ragionamento, potremmo quindi affermare che siccome sappiamo che gli dèi dell’Olimpo non esistono, allora l’Iliade è una totale scemenza.

 

Questo è il pezzo in cui si percepisce più di tutti quel fastidioso paternalismo che potremmo definire come mainsplaining (con la I): la cultura mainstream che ti spiega come funzionano le cose nel tuo campo di cui non conosce niente. Siccome i Massini di questo mondo non hanno alcuna esperienza con la fantascienza perché non rientra nei loro interessi, allora vengono a dirti che non è rilevante, implicando anche che se ci perdi del tempo lo scemo sei tu. Intendiamoci: non c’è niente di male a non avere interesse per un dato argomento, e si può anche pensare che la fantascienza sia robetta senza valore; ma allora non se ne dovrebbe parlare dalle colonne di una Testata Nazionale, spacciando le proprie sparate per un’opinione informata su una questione accuratamente studiata. Per fare un esempio, chi scrive non segue il calcio, per cui se il direttore della Gazzetta dello Sport gli chiedesse un articolo su come il calcio è cambiato negli ultimi vent’anni, la sua reazione in prima battuta sarebbe di rifiutare, ma se poi proprio non ne potesse fare a meno (perché il compenso è troppo ghiotto o perché deve un favore al Direttore) allora di certo non scriverebbe un articolo in cui afferma che il calcio è roba per idioti e tutto si è fermato ai tempi di Pelé (citato solo perché l’ha sentito dire, anche se non lo riconoscerebbe nemmeno se gli attraversasse la strada). Questo, al di là delle opinioni sul genere, è di per sé cattivo giornalismo. E lo dimostra anche il fatto che la chiusa dell’articolo la butta in caciara, dicendo testualmente: “si gioca ancora a tombola, si mangiano le caldarroste e d’estate la panzanella.” Che assomiglia a quando gli umarel che si fanno la briscola al bar del circolo non sanno come finire un discorso e dicono “via, anche oggi s’è cenato” prima di schiacciare col tre di mattoni.

I due articoli successivi non sono così scandalosi ma non contengono niente di particolarmente interessante. Abbiamo un’intervista a Brian Herbert, dovuta probabilmente alla recente pubblicazione di I vermi della sabba di Dune, capitolo conclusivo della saga iniziata dal padre Frank. Si cerca un collegamento un po’ forzato con la pandemia, forse per attualizzare il libro (risalente al 2007) nel contesto attuale, ma poi l’intervista procede senza scossoni. Luciano Funetta invece in una paginata piena di vecchie copertine Urania ci racconta proprio di come erano begli gli Urania con la copertina di Karel Thole, e passa mezzo articolo a riassumere un racconto di Matheson. Insomma, niente da aggiungere al discorso della fantascienza nel 2021, perché evidentemente non si conosce l’argomento.

Prendendo in esame l’insieme dei pezzi contenuti in questo speciale, si può fare anche un’analisi molto elementare ma che ci dà un’idea di come il tema è stato trattato. Ripetiamo che da ciò che ci dice la copertina, l’argomento è nel 2021 “bisogna vivere” la fantascienza. In che modo lo hanno fatto gli autori dei contributi?

Vediamo come dei 58 nomi citati fra tutti gli articoli, solo 8 appartengano ad autori di fantascienza tutt’oggi viventi (includendo in questa categoria anche gli autori ancora vivi in riferimento comunque a opere di diversi decenni fa). Gli autori già scomparsi invece sono già 11. Con questo non si vuole dire che gli autori che ci hanno lasciato non siano importanti, ma ci si può aspettare che se l’argomento è la fantascienza del 2021 si parli principalmente della produzione più recente, di generazioni di autori che in questo mondo ci vivono e cercando di descriverlo. E invece.

Altri 11 nomi sono riferiti a vari addetti ai lavori (curatori, editori, illustratori), il cui ruolo è certamente importante, ma dovrebbe essere comunque “di contorno” a quelli che sono i content creator principali. Se sono le storie di fantascienza quelle che ci dovrebbero stimolare alla riflessione, allora forse potremmo aspettarci di conoscere qualcuno che queste storie le scrive.

I personaggi totalmente estranei alla fantascienza sono 24, tre volte gli autori viventi citati! Fra questi troviamo attori, musicisti, politici, e così via. Si può affermare che molti abbiano aiutato a formare l’immaginario fantascientifico, ma anche in questo caso non sono certo gli operatori principali. Anche perché il lettore medio non ha certo bisogno di scoprire chi sia George Clooney: si può aggiungere come nota di colore, ma forse il focus dovrebbe essere un altro.

Infine, si può notare con interesse come in tutto lo speciale figurino solo 4 nomi di donne (indipendentemente dalla loro classificazione nelle categorie precedenti), di cui una sola è un’autrice di fantascienza propriamente riconosciuta (Hao Jingfang). Le altre sono personaggi marginalmente collegate all’ambiente, ma che non si possono considerare operatori in prima fila oggi. In un periodo storico in cui si cerca di dare sempre più rappresentanza (come sta avvenendo anche all’interno dela fantascienza), l’incapacità di includere più esponenti femminili dimostra ancora la superficialità dell’operazione.

Immaginiamo allora un lettore di Robinson che lo abbia acquistato con la genuina curiosità di scoprire qualcosa sulla fantascienza nel 2021, come la copertina promette: che cosa ne otterrebbe? Esiste il solarpunk (buono). Tom Cruise farà un film nello spazio. Elon Musk ha costruito dei razzi. Ted Chiang ha reso popolare la fantascienza cinese. Dune aveva previsto la pandemia. Karel Thole faceva delle grandi copertine quarant’anni fa. Abbiamo superato il 2000 e ancora non abbiamo le macchine volanti. La fantascienza non ha più niente da dire. D’estate si fa la panzanella.

Quindi non ci dovremmo stupire se la fantascienza non viene considerata come un genere maturo e attuale. Questo è il livello della narrazione dell’establishment, questo è il mainsplaining a cui il genere è sottoposto: io non ne so niente, ma siccome ho una posizione dominante ti spiego come funziona. Colpa vostra, autori di fantascienza, che non avevate previsto nemmeno questo per il 2021.

db (all’anagrafe Daniele Barbieri)

Forse cercavo 11 complici. Oppure 11 smentite. L’indecisione è cresciuta intorno a questo dialogo-assemblea che potete leggere qui sotto: infatti, per fortuite circostanze, è stato registrato da un fan.

db9: «dby tu ami la fantascienza e detesti Repubblica, perciò non farti prendere dal manicheismo»

db48: «caro altro dbz, a parte che manicheismo è un termine male usato, credo che cercando di mantenere un punto di equilibrio chiederò a 12 persone cosa ne pensano».

Irrompe in scena db77 che alza una gamba e poi – con le braccia aperte ad ali – prova a saltellare (a volare forse) ma… «vedete? Io non riesco ad essere equilibrato. Perchè allora dovrei nascondere che questo mini-inserto di Robinson fa schifo? Le colpe dei 4 autori sono ridotte rispetto al contesto, è proprio insensata l’operazione complessiva, è proprio Rep il problema».

db68: «cari db 9 e 77 state calmi, caro db 48 invece agitati un pochino di più. Il punto è: cosa vi aspettavate da Repubblica? Un quotidiano che fa pena dall’inizio, che è sempre peggiorato e ora è approdato persino ad Agnelli-Berlusconi. Salvo eccezioni, si intende, il parco buoi di Repubblica è roba per chic apocalittici, chef integrati e trullalà di destra-sinistra. Non avevamo tutti noi db smesso di leggerlo?».

db 89: «Confermo che noi db siamo concordi nel non leggere Rep e nell’inorridire sfogliandolo. Le eccezioni? Certo che ci sono. E’ l’effetto panda. Ne salvano qualcuna/o onesto-intelligente per dire “vedete? Sono felici nelle loro gabbie”. Il giornalismo è sepolto, il pianeta quasi agonizza ma qui nelle gabbie vi consoliamo con una bella pandetta o un bel pandone».

db 72: «giusto cari db tutti, ma sollevo una questione. Non stiamo facendo un discorso troppo generale? Stavamo parlando di uno specifico tema su un preciso inserto, andiamo al punto».

db 01: «Verdad, companeros» (lo interrompe db22: «se poi trovi la cediglia aggiungila sulla n»).

Riprende db01: «A parte che è una tilde e non una cediglia, stavo dicendo “verdad” cioè per correttezza dobbiamo dire la nostra. Mica possiamo scaricare tutto su – li nomino in ordine alfabetico per cognome – Melodia, Miglieruolo, Rossi, Spagnul, Viscusi».

db14: «A parte che è una gran paraculata scaricare la fatica sugli altri e prendersi la gloria … cosa c’è da dire sulle robinsonate?»

db97: «Per non fare le sanguisughe anche noi db qualcosa dobbiamo dire nello specifico. Ci provo io. Melati e Massini mischiano confusione e banalità, Tom Cruise con robot pittori, Clarke che “consente” il lancio dei satelliti e il saturimetro. Poi c’è Luca Valtorta che intervista il figlio di Frank Herbert: un po’ come se parlando del cinema neorealista si intervistasse Manuel De Sica sui film del padre. Luciano Funetta mi pare l’unico abbastanza incolpevole: presumo che i Robinson di turno – o i loro servi Venerdì – gli abbiano chiesto di fare una scheda su Urania e nel poco spazio lui ha scritto l’essenziale con un suo guizzo su Richard Matheson, certo non proprio l’attualità stringente (l’aveva già fatto Umberto Eco) ma insomma in mezzo a tante cazzaronate il suo articolo aveva quasi una logica. Poi ci sono quelli che buttano lì trrrrrrrremendi titoli e sottotitoli ma insomma è Repubblica, mica roba seria».

db18: «Se nessun altro deve intervenire vorrei proporre una mediazione, forse un po’ paracula ma accettabile. Il mio punto di vista è privilegiato perchè sono l’unico di noi db che finora ha letto tutti i contributi arrivati. Pur mancando nel dossier uno sguardo di genere (per un motivo o l’altro le 5 amiche interpellate si sono fatte di nebbia) il “mega” post è buono: abbiamo avuto da Andrea, Dario, Fabrizio, Giuliano e MauroAntonio – in ordine alfabetico per nome – riflessioni (e/o divagazioni) assai/assai interessanti. Chi volesse sapere cosa pensano i db delle fantascienze (plurali), dello “choc del futuro” o del tecno-vudù (teoria più volte rielaborata con erremme cioè Riccardo Mancini) in cui viviamo … qui in “bottega” ha a sua disposizione decine o forse centinaia di articoli».

db30: «Accolgo la mozione del compagno db18 e se nessuno si oppone dichiaro chiuso il dibattito».

db55: «Io invece chiedo di votare».

db42: «D’accordo, anche se io so già la risposta, me l’hanno detta Douglas e suo cugino Isaac».

Si vota: 69 sì, 21 no, 3 schede bianche e 3 nulle.

dbZero: «L’intervento sarà pubblicato in questa forma»

 

Diego Rossi

Apologia di un insetto che legge fantascienza.

Stavo canticchiando Rocket Man di Elton John: “It’s lonely out in space / On such a timeless flight… perché ero felice di trovare su uno dei migliori inserti dedicati alla lettura una copertina sulla fantascienza. Sfogliando l’ultimo Robinson di Repubblica, ho ammirato le illustrazioni ingigantite di alcuni famosi artisti del fantastico. Mi sono piaciuti molto i riferimenti e le citazioni musicali in testa agli articoli. Le note dolenti, purtroppo, sono arrivate nei contenuti. Siamo nel 2021, ci viene fatto notare che il Solar Punk è il segreto meglio custodito della letteratura del futuro, Blade Runner è stato ambientato nel 2019 e le visioni dei Dick, dei Gibson e dei Bradbury erano un tantino sballate. Poi passiamo a Dune 7, trovato nella cassetta di sicurezza di una banca, infine, arriviamo agli Urania, che infestano i mercatini dei libri usati. Ho avuto bisogno di prendere fiato un momento. Continuare a leggere, lo confesso, è stato come una fredda carezza sugli occhi. Citazione: “In un certo senso si potrebbe dire che, a differenza di altri libri e di altre stirpi editoriali, gli Urania abbiano imparato a rispondere a una biologia propria, strane e umili forme di vita che resistono in condizioni avverse, che si adattano, si nascondono, non si estinguono, infestano, appunto.

Qualcosa di straordinario è davvero accaduto, perché sì, lo confesso, sono un appassionato di fantascienza, e ho subìto anche io una metamorfosi istantanea… ricordava qualcosa del tipo… “Gregor Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica.” Fra gli Urania che ho letto, e che mi hanno fatto diventare un orribile insetto, una blatta resistente, c’è sicuramente quel meraviglioso La signora degli scarafaggi di Thomas Disch. La sua prosa è precisa, perfetta, sconvolgente e malinconica; i suoi racconti erano allora e restano oggi tra i migliori che si possano leggere. Thomas Disch scende nei bassifondi, scava nell’orrore della povertà umana, fronteggia la solitudine e la sconfigge. La sua fantascienza è onirica, ha il sapore aspro dell’oceano, riesce a unire la paura all’amore, il genio alla follia. Disch descrive gli ambienti, si sofferma sui dettagli quotidiani, indugia sul colore di una tazza di caffè, sulla marca dei biscotti, sulle decorazioni delle tende (Principio d’aprile o fine di marzo). Poi arriva al viso, al taglio di capelli, alla signora grassa che riprende fiato salendo ogni tre gradini per portare le buste della spesa (Nada). Fino a raggiungere la perfezione in quel racconto iniziale, in cui il seducente e kafkiano arrendersi alla vita trova il più sublime, sconvolgente, imprevisto slancio letterario. Nella massa scura di file infinite di piccoli scarafaggi in un armadio, con i piccoli occhi e le antenne tese, vispi insetti pronti a cogliere un gesto, un comando, un sussurro sensuale e caldo della loro signora… ne La signora degli scarafaggi il nostro mondo crolla, le prospettive si restringono, siamo tutti insetti, viscidi, brancoliamo nella notte, tra le macerie e i rifiuti squallidi dei peggiori vicoli di New York. Eppure siamo anche alla ricerca di una voce, di un bagliore, pronti a salire su un raggio di luna, pronti a inseguire un sogno, un orrendo sogno d’amore…

Tutto questo per dire che ho rimpianto Umberto Eco, e nel numero di Robinson del 6 febbraio scorso si finisce trasportati fino ai tempi oscuri dei retori medievali. Ho rivissuto, in scala minore, le dispute di un famoso saggio, intitolato «Apocalittici e integrati». Parlando di fantascienza, già negli anni sessanta gli “addetti ai lavori” discutevano sull’ortodossia di una trama, sul rispetto della verosimiglianza scientifica e fantascientifica. Ho ritrovato in Robinson lo stesso peso di un giudizio dogmatico, superficiale, troppo impegnato nell’analisi dei contenuti, applicando misure e criteri che non si imporrebbero ad altre forme di sperimentazione artistica, in cui l’astrattismo o la rottura del convenzionale costituiscono più un motivo di eccellenza che di disprezzo. In breve, questi censori, giudici, custodi della verità letteraria, ci spingono a ricordare come la fantascienza sia viva, sia forte, sia l’opposto di quanto loro sostengono. Gli scrittori di fantascienza sono poeti e visionari, realisti e impressionisti. La fantascienza non è razzista, non è aristocratica, non è snob. Si scrive su carta ingiallita e riciclata, ha le copertine di Chichoni, di Thole e di Kidd, porta gli occhiali a specchio, ed è libera dalle convenzioni. La fantascienza è licenza di mentire, di dire la verità, di immaginare il futuro e di ripensare il passato. Citando Jonathan Lethem: “Quello che rende la fantascienza stupenda e complicata è quel misto di speculazione e di favoloso: è al tempo stesso narrativa di pensiero e narrativa di sogno.

                                                        immagine scelta da Fabrizio Melodia

 

Fabrizio Melodia, noto “astrofilosofo”

Caro Asimov, chissà come stai ridendo
Ormai la fantascienza sembra una cosa superata alla grande dalla realtà che stiamo vivendo ogni giorno. I sogni che prima abitavano solo sulle pagine delle note edizioni Urania e delle riviste specializzate per gli amanti del genere, ora sono sotto gli occhi di tutti. Pensiamo anche solo a Alexa, nota assistente virtuale funzionante grazie al sistema dell’assistente Google e dei progressi sull’uso dei comandi vocali.
Pensiamo alla sanità, ai robot che ci operano, al “cyber knife” modernissimo trattamento chirurgico per trattare i malati di tumore con radiazioni mirate che ora troviamo sempre più in uso.
Elon Musk tra pochi anni darà l’avvio al progetto Space X, la colonizzazione stabile del pianeta Marte, anche se altri suggeriscono Cerere, grazie a una stazione orbitale avveniristica.
Computer, smartphone, tablet, automobili integrate con i sistemi di navigazione, alimentate ad energia elettrica o ibrida, industrie 3.0 con chimica pulita, energie rinnovabili, ecosostenibili: quando le cose stanno così, cosa ce ne facciamo della fantascienza?
Qualcuno potrebbe tranquillamente dire “Asimov, quanto sei vecchio?”,tenendo anche presente che gli scenari ipotetici descritti nei romanzi ormai sono diventati obsoleti; pensiamo alla Los Angeles di Blade Runner ambientata nel 2020, al 2001 odissea nello spazio di Kubrik, in tempi più recenti anche la celebre trilogia di Maze Runner (ambientata in un tempo poco più avanti di questo) con l’umanità sterminata da un pernicioso virus che ha reso pure desertico il pianeta.
Eppure ancora adesso penso che Asimov, Matheson, Bradbury, John Brunner, Ursula Le Guin, Theodore Sturgeon ma soprattutto Philip K. Dick se la stiano ridendo alla grande, se potessero vederci in questo momento.
Tutte le loro previsioni e analisi si sono ampiamente realizzate, gli incubi eco-apocalittici di Brunner sono sotto gli occhi… per dirne solo due. Se questo è ritenere la fantascienza superata, forse è il motivo per cui non si comprende cosa sia davvero la fantascienza, trattandola in maniera assai superficiale.
Certo, abbiamo robot avanzatissimi, intelligenze artificiali sempre più evolute, ma nessuno studia le conseguenze possibili che queste nuove tecnologie hanno sugli esseri umani, come fecero Dick e Asimov.
Un altro esempio? Orson Scott Card, nel ciclo iniziato con «Il gioco di Ender», mise in chiave fantascientifica il dramma dei bambini soldato e alla berlina la logica razzista-militaristica dell’alieno come necessariamente ostile. Quanto ci sarebbe ancora da raccontare e scrutare anche solo in questo campo.
La migliore fantascienza indaga con piglio puntiglioso e chirurgico l’effetto che le tecnologie producono sugli esseri umani, a iniziare dal corpo umano fino a scendere alle profondità della mente; si interrogarsi su ciò che è reale e cosa non lo è…
Cyberpunk, steampunk, solarpunk, una parabola filosofica e letteraria che parte dalla visione nichilista del reale passando per un ritorno alla filosofia delle origini per poi saltare oltre l’esistenzialismo approdando a… molti mondi possibili.
“Asimov quanto sei vecchio” … semmai: «Asimov quanto te la stai ridendo?».

Giuliano Spagnul

«Il nostro non è più un pianeta confortevole» quindi, piuttosto che rischiare di dover vivere tra le sue rovine, meglio «abbandonarlo inseguendo la fantascienza». D’altronde in questo mondo in cui «ormai immaginario e realtà si confondono» che altro ci resta se non lo spazio? Piero Melati apre il supplemento letterario di «Repubblica», Robinson, del 6 febbraio – intitolato “2021 Fuga dalla Terra” – con uno strillo di copertina: «Non basta leggere la fantascienza: bisogna viverla». Sembra quasi rifare il verso a quell’editoriale settantasettino con cui il collettivo Un’Ambigua Utopia (1) aprì la fantascienza a una visione espressamente politica, di estrema sinistra, che voleva distruggere la science fiction per poterne praticare l’utopia in essa contenuta, anziché solamente sognarla. Non c’era spazio per fughe consolatorie; evasioni se mai sì, ma dalle carceri, dalle catene di montaggio delle fabbriche, dai banchi disciplinari delle scuole (ai tempi senza pericolose alternative Dad), dai manicomi ecc. In questo Robinson della cultura naufragata Piero Melati ci fa un panegirico in cui l’assalto al cielo tentato dalle generazioni di quegli anni cruciali della modernità (che poi nella modernità ci si sia usciti piuttosto che mai entrati è un altro discorso) si trasforma nel desiderio utopico della «spinta a scappare dalla Terra». E ora che i mezzi tecnologici sembrano vicini a consentircelo, il nuovo immaginario è pronto a ripartire con una nuova (ma sempre in continuità con la vecchia) fantascienza. Perfino «la NASA è entusiasta: ‘Abbiamo bisogno di media popolari per ispirare una nuova generazione di ingegneri e scienziati. Vogliamo trasformare in realtà i nostri piani più ambiziosi». E dopo l’entusiasmo a stelle e strisce ecco quello del paradiso maoista con la fantascienza che diventa «come la diplomazia. Abbatte confini, apre frontiere» tanto che «il governo ha iniziato a sponsorizzarla». È così che lo scrittore Cixin Liu può dire che «è in corso un piccolo maremoto, simile alla fantascienza dell’età dell’oro americana, quella trionfale che sognava le stelle e osava viaggiare per raggiungerle. Un sollievo constatare che c’è ancora qualcuno che sogna, mentre in Europa si vede il futuro come il film Interstellar di Nolan, un vasto deserto privo di speranze». Ma sì, che ce ne importa alla fine della Terra «non sembra più un pianeta confortevole: pandemia, collasso ambientale, conflitti. Forse dovremo davvero, un giorno, volgergli le spalle e cercare altre frontiere». Al di là del ridicolo di affermazioni come: «la corsa alla via Lattea è partita. E già si fa a braccio di ferro, Bezos e Musk sono saltati quasi contemporaneamente nello spazio, da acerrimi nemici», una grande gara in cui «ci sono uomini che uniscono fantascienza e affari, per un’utopia a portata di mano», è evidente che siamo di fronte a un nuovo tipo di dispositivo con finalità affatto diverse da quelle della tanto osannata “fantascienza dell’età dell’oro americana”. La nascita del genere fantascienza è inscritta dentro il sogno americano dell’attuabilità di un consumo infinito reso possibile da un progresso infinito delle invenzioni tecnologiche indispensabili alla produzione delle cose da consumare. Nell’evidente insostenibilità di questo paradigma, quella fantascienza nella sua storia, al contempo trionfalistica quanto pessimistica (nel suo affastellarsi di immaginari in lotta fra loro per far fronte a uno dei cambiamenti più radicali della vita quotidiana dell’essere umano) oggi si presenta come un puro simulacro vuoto, pronto ad essere riempito dalle più furbe e pervasive ideologie dominanti. Per ovviare al montare di questa ridicola e oscena riedizione di una farsesca visione del futuro occorre, forse, che noi la si smetta di sognare assalti al sole e che ci si dedichi invece a divenire finalmente terrestri, imparando a giocare quel gioco della matassa auspicato da Donna Haraway e Isabelle Stengers (2) usando la vecchia fantascienza e tutte quelle pratiche che non si presentino come immaginari preconfezionati ma come capacità di immaginare cose nuove e, soprattutto, tentare una nuova pratica fantascientifica radicale e sovversiva come quella di reimparare a pensare insieme.

Nota 1: http://archivio-uau.online

Nota 2: https://www.labottegadelbarbieri.org/intorno-al-gioco-della-matassa-o-ripiglino-e-al-futuro/

Mauro Antonio Miglieruolo

EìIn primo luogo ecco come si presenta Robinson.

Il nostro non è più un pianeta confortevole, così sogniamo di abbandonarlo inseguendo la fantascienza. Ma ora che la realtà ha superato ogni immaginazione non basta più leggere: bisogna anche vivere quel che la fantascienza ci suggerisce. E proprio a questa fuga dalla Terra è dedicata la copertina di Robinson in edicola da sabato 6 febbraio con Repubblica. Dai viaggi spaziali dei divi di Hollywood ai romanzi solar-punk, fantasia e realtà si confondono sempre di più scrive Piero Melati. Che ci racconta non solo libri, film e serie tv a tema, ma anche i progetti veri di viaggi verso la Luna e verso Marte. Vie di fuga (forse) possibili da un mondo, il nostro, sempre più inospitale causa pandemia e crisi ambientale.

Stefano Massini però ci riporta sulla Terra ricordandoci che la fantascienza è stata superata dalla tecnologia: tocca prendere atto che tanti film e libri erano ambientati in date del futuro già trascorse: più di un secolo è passato dalla nascita di Isaac Asimov e oltre settant’anni dall’uscita del suo primo bestseller. Tutto è mutato, a partire dai robot che non sono più materia da romanzi visionari ma da saggio tecnico-scientifico, gli automi sono passati dallo status di incognita sinistra a collaboratori domestici. «Decisamente, la fantascienza si avvia a diventare specie in estinzione, ogni giorno un po’ di più: come dire che nel futuro ci siamo già».

Luca Valtorta ha invece intervistato il figlio dell’acclamato autore di fantascienza Frank Herbert, Brian. Di cui arriva ora in Italia per Fanucci I vermi della sabbia di Dune, l’atteso seguito della fortunata serie creata dal padre, uscito negli Stati Uniti qualche anno fa, che contiene la descrizione di un’epidemia molto simile a quella che stiamo vivendo. Infine Luciano Funetta ci ricorda Urania, la collana che ha diffuso la fantascienza in Italia e che, ancora oggi con i suoi libri quadrangolari, ci propone gli autori di una civiltà parallela: da Arthur C. Clarke a Theodore Sturgeon.

Quel che sgomenta dei paragrafi di cui sopra è l’assenza sia di un tentativo di operare un approccio critico della lettura (non solo della letteratura fantascientifica) sia la trasparente mancanza di un criterio critico sottostante le osservazioni che vengono operate. Peggio: l’assenza persino della necessità di avere questo approccio critico. Non siamo di fronte a una fanzine di appassionati, accecati dall’oggetto della loro passione, il che spiegherebbe in parte il taglio permanente di questo come di tante altre riflessioni sull’opera letteraria. Siamo di fronte a Repubblica, che dovrebbe disputare con la élite dell’intellettualità italiana, non dire quel che chiunque, avendo un minimo di informazione sul merito, è in grado di dire sul testo osservato.

Il punto di approdo dell’anti-intellettualismo di maniera dei gruppi dirigenti – che sfruttava e sfrutta l’istanza positiva di avere un approccio teorico non per addetti ai lavori e di una pratica non ermetica della scienza, dell’arte e della conoscenza – è dato dal porto sicuro della banalizzazione dei messaggi, la derisione dei professori (in quanto tali) e professionisti; e la trasformazione della cultura in incultura. Non la crescita culturale avendo come modello quanto di meglio offerto dai tempi, ma la decrescita infelice dell’appiattimento al livello più basso, il plebeo al posto del popolare.

Nessuno che lasci trapelare l’esistenza di una qualche ragione per l’esistenza della fantascienza, quale fenomeno peculiare del XX secolo; nessuno che tenti di operare una connessione fra queste ragioni e le singole espressioni o singoli aspetti della stessa. Quello che emerge sempre in primo piano è la presunta (in parte effettiva) capacità predittiva della fantascienza; elemento adoperato non per spiegarla, ma per renderla ammissibile anzitutto ai propri stessi occhi, per poterla offrire poi emendata a quelli delle masse, il cui sguardo è stato preventivamente deformato da “commenti” il cui compito è proprio quello di renderla incomprensibile e appunto inammissibile. Da cui la necessità di trovare una qualche ragione per proporla (=la capacità di anticipazione tecnologica) mentre si continua a diminuirla valorizzando un aspetto terzo rispetto al valore effettivo della fantascienza, cioè le necessità politiche, sociali, ideologiche delle quali si è fatta portatrice. Vedi contenimento del determinismo, riforma del senso comune di massa, distruzione della ragione del pensiero unico, utopia, antiutopia e cambiamento, familiarizzazione con progetti di ingegneria sociale e di incubo sociale; a partire dall’elemento primordiale che l’ha mossa come fenomeno contemporaneo: il cambiamento ininterrotto delle condizioni sociali determinato dall’introduzione permanente dell’oggetto tecnologico nella vita quotidiana. Ma soprattutto la fantascienza come senso della storia e dello storico: la storia come è stata e avrebbe potuto essere e come sarà.

Chiudo chiosando una delle frasi iniziali che più appaiono fuorvianti. «Il nostro» sostiene il recensore «non è più un pianeta confortevole, così sogniamo di abbandonarlo inseguendo la fantascienza». Ma davvero si crede che gli uomini stiano inseguendo la fantascienza? E che la inseguano sognando di abbandonare la Terra? Davvero si crede che la fantascienza diriga il sogno e la pratica degli uomini e degli scienziati?

Per quel che mi riguarda è vero il contrario…

ED ECCO ALCUNE NON RISPOSTE INTERESSANTI.

Assente numero 1

Non ci sarò.

1) recuperato rocambolescamente Robinson senza Venerdì prima che fosse cestinato da mano amica;

2) controllato a fatica il singulto nel vedere la copertina;

3) lette le pagine dedicate (?);

4) fatto seguire per la seconda volta il gesto conclusivo e meritato; il cestino ha accolto con un ululato di sdegno.

Ma si può scrivere con pedante prosopopea a stento trattenuta dalla punteggiatura quello che è stato pubblicato? Solo su quelle pagine gazzettier-pettegolanti-supponenti e ben foraggiate. Se mi si alzerà la pressione mi avrai sulla coscienza!

Assente numero 2

Non saprei bene cosa scrivere, perché il numero di Robinson è tremendo, ma pure la reazione del fandom e certe cose che ho letto mi sembrano paradossali e contro-producenti.

Leggerò certamente gli interventi, penso potranno dissipare un po’ lo smog nel quale mi sento immersa: da una parte un mainstream becero che squalifica tutto ciò che tocca, dall’altra un “mondino” che afferma di anelare a quel mainstream ma poi non è capace abbastanza per stringere il patto col diavolo che lo tirerebbe fuori dal buio. Immagino di non dirti nulla di nuovo…

Mi dispiace anche molto vedere persone giovani, “nuove leve” della scrittura fantastica, farsi trascinare nel gioco a chi è più perfido, e diventare più antipatici dei duri-e-puri che hanno fatto la sfortuna della SF negli anni passati. (Questo non penso che lo direi mai pubblicamente, non ho desiderio di comunicare con questa parte di fandom; né con il fandom in generale, a dirla tutta…)

Quindi a malincuore stavolta passo. Sia perché non ho tanto la testa, sia perché è una situazione che davvero non riesco a dirimere, non ci sto capendo molto.

Tu che ne pensi di questa cosa? Hai una luce nelle tenebre?

Assente numero 3

Mio buon e amato db, la tua proposta mi pare abbastanza sciocca, anzi sublimamente sciocca per non considerarla interessante e intrigante ma, ahimè, come sempre non ho letto Robinson e ho solo idea che possano aver maltrattato la SF quanto fanno normalmente con il resto della cultura, della letteratura e altre umane curiosità (cioè con annoiata superficialità, per il poco che so di loro, dovuto alle poche volte che l’ho comprato e alle tante volte che l’ho trovato illeggibile). Non saprei che dire. Anche il mio rapporto con la SF si è alquanto diluito anche più di quanto la SF si sia diluita in altro (diversi generi, contesti, aspirazioni, tendenze). Ormai non so se sia roba di Urania o i romanzi di Samantha Schweblin, se il fantasma Faccia-sì/Faccia-no di Valeria Luiselli sia ascrivibile al fantasy o alla poesia Beat, se Mumbo Jumbo di Reed e i Ragazzi selvaggi di Burrougs siano solo libri profetici concepiti in stati di alterazione. Grande la mia confusione sotto il cielo e sotto il livello della terra! Quindi non posso che risponderti che non saprei di che scrivere. Anche se… certo amerei essere uno dei 12, pur se non so il perchè della tua scelta numerica. Robinson aveva dodici pagine sull’argomento? Dodici come quattro volte i cavalieri dell’Apocalisse? Dodici come una confezione di merendine del discount? Dodici come le mie dita dei piedi?
Ahimè quindi – non adatto al compito – mi sento di dover rinunciare però leggerò in “bottega” volentieri le creative soluzioni alle sollecitazioni della tua vulcanica mente.

UNA NOTICINA FINALE (PIU’ CHE ALTRO UNA DOMANDA A ME STESSO E FORSE POCO INTERESSANTE… MA LA AGGIUNGO PER PIGNOLERIA)

Ci sono un paio di persone (di certo un’amica) che non hanno risposto… perchè i miei msg finiscono in spam e dunque non hanno ricevuto l’appello di cui sopra. Proprio non saprei dire se mi merito di finire nel “cestino” ma se così NON fosse … visto che io risulto incapace di risolvere questo problema chiedo ad amici, posteri, impiccioni consigli e clemenza. Come dite? Il cellulare? Ad averlo… E poi chi me li dà i numeri giusti?

LE IMMAGINI

Qui amiamo molto le visioni di Karel Thole (dall’alto sono le prime 3) ma anche di Jacek Yerka (le ultime 7). Così la “bottega” ne ha rrrrrrrrrrrubate alcune per il – speriamo lo condividiate – piacere degli occhi e della mente.

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

2 commenti

  • Pierluigi Pedretti

    Il sistema mediatico mainstream funziona proprio come è detto in articolo e commenti degli Assenti. Non ci vedo nulla di strano, però, perché da decenni il mondo della cultura è dominato da strutture di potere che ingaggiano noti o poco noti asserviti. La nicchia antagonista è riservata a Viscusi e co. Non ne facciano, però, un lamento snob.

    • Fabrizio Melodia

      I lamenti lasciamoli ai troppi radical chic moralisti e superficiali, che ormai sono calati nell’ ambito della cultura.
      Qui si tratta far vedere le cose da una diversa prospettiva e come si è sempre fatto, far capire che gli esclusi non si stanno lamentando ma stanno dando battaglia concreta e senza paura.
      Poi gli snob si trovano ovunque, qui si tratta di far sentire la voce…

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