Scor-data: 23 giugno 1946

Accordo Belgio-Italia: carbone in cambio di minatori

un articolo del 2003 – di Sabatino Annecchiarico (*) – che purtroppo fotografa anche il nostro triste oggi, senza memoria  

«Nel 1571 padre Bartolomé de Las Casas provò grande compassione per gli indiani che si sfinivano nei laboriosi inferni delle miniere d’oro delle Antille, e propose all’Imperatore Carlo V l’importazione di negri che si sfinissero nei laboriosi inferni delle miniere d’oro delle Antille». Jorge Luis Borges nella «Storia universale dell’infamia».
Trecentosettantacinque anni dopo un accordo senza precedenti fra i governi dell’Italia e del Belgio – siglato appunto il 23 giugno 1946 – consentiva l’esportazione di braccianti (in realtà minatori) in cambio di carbone per far funzionare, tra l’altro, le acciaierie italiane con una proporzione di 2.500 chili di carbone al mese per 1.000 lavoratori a settimana; e a basso costo. Un accordo, “braccia per carbone” che provocò l’emigrazione di 50.000 italiani dal 1946 al 1963.

Quarantasette anni fa, all’alba del giorno 8 agosto 1956, duecentosettantacinque minatori si calarono nei cunicoli della miniera Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio: 262 morirono asfissiati, 136 erano italiani. Non ci sono dubbi che il lavoro del minatore sia stato (lo è ancora oggi) uno dei più duri. Trascorsi secoli di drammatici eventi che hanno segnato la storia di tanti migranti-braccianti o migranti-schiavi, come segnala Borges o come ricorda in un’intervista Moz Ferruccio, ex partigiano della seconda guerra mondiale e poi minatore in Belgio: «Non vi erano giorni in cui non vi fossero degli infortuni sul lavoro e di tanto in tanto scappava anche qualche morto». Proprio quel  “qualche morto” che cita Ferruccio è diventato un vero bollettino di guerra, con una media (dal 1946 al 1963) di 47 morti emigrati italiani all’anno; dunque 867 emigrati italiani hanno perso la vita nei cunicoli delle miniere belghe.
Quattrocentotrentadue anni dopo la grande compassione per gli indiani che provò Bartolomé de Las Casas si muore ancora da migrante. Non nelle miniere in Belgio, che quasi non ci sono più, neppure da migranti italiani (che comunque oggi l’Italia non ha più bisogno di scambiare “uomini per carbone”). La storia a quanto pare è cambiata; o almeno la direzione dei flussi migratori. Quello che non cambia è la sorte del migrante: in cerca di lavoro anche fino alla morte. Oggi non si muore nelle miniere, o almeno non è la prima cifra nelle statistiche. Si muore in mare, annegati. O asfissiati (come accadeva ai minatori sotto terra) dentro i container che qualche Tir trasporta per le strade europee.
Veronica Sànchez Valdehita – in Radio Nederland – sottolinea che «lo stretto di Gibilterra è diventato una tomba umana come mai prima, una vera tomba africana con oltre 4.000 morti in 5 anni in quei 14 chilometri che separano le coste del Marocco dalla Spagna». Dal mare nostro, come si dice in Italia, le cifre dicono che solo dal 9 al 19 giugno di quest’anno, 1662 migranti sono sbarcati (vivi) a Lampedusa. Li ha registrati l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiera. Ma i pescatori del Mediterraneo registrano anche loro i corpi senza vita che ogni tanto trovano nelle reti assieme al pesce fresco.

Nel 2003, come Bartolomé de Las Casas, gli imprenditori europei (inclusi quelli italiani) chiedono a buon mercato non schiavi ma braccianti, che è lo stesso, per sfinirli nei laboriosi inferni degli altoforni, nelle tossiche industrie chimiche o nella concia, nella sempre più pericolosa industria edile che è capofila nel tragico primato dei morti sul lavoro in Italia. Chiedono a buon mercato mano d’opera senza diritti, garantiti da una legislazione, come l’italiana, basata proprio sul lavoro e non sugli esseri umani. Laddove la legge imprenditoriale fallisce, ci sono i cannoni della marina militare proprio come quelli dell’Imperatore Carlo V.  

(*) Questo testo di Sabatino Annecchiarico è stato scritto, nel maggio 2003, per l’agenzia Migranews.it e pubblicato con il titolo «Morte per asfissia: Bartolomé, il Belgio e noi»; poi è stato ripreso nel volume «Migrantemente» – ovvero «Il popolo invisibile prende la parola», curato sempre da Sabatino e pubblicato dalla Emi nel 2005.     

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 23 giugno avevo fra l’altro ipotizzato: 469 avanti Cristo: nasce Socrate; 1858: «caso Mortara»; 1894: nasce Kinsey; 1936: muore Petrolini; 1959: muore Boris Vian; 1973: nasce la Trilaterale. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

 

 

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