Turchia: le sedie, l’ipocrisia e l’inferno

articoli di Gian Luigi Deiana (*), Alessandro Ghebreigziabiher (**) e l’invito a leggere «Prigione n° 5» di Zehra Dogan

L’ ESSERCI DELLA SEDIA CHE NON C’È

Una goccia fucsia in un vaso di sangue

Trovo la vicenda della sedia, cioè dell’incidente diplomatico della Ue in Turchia, assolutamente positiva e a suo modo provvidenziale: almeno per ora. Trovo invece stucchevoli tutte le considerazioni di quelli che la sapevano lunga, secondo i quali quelli che invece la sanno corta avrebbero il torto di svegliarsi adesso per una frivolezza, e avanzerebbero l’ipocrisia di fare momentaneamente casino sulla sedia man. cante mentre non hanno mai battuto ciglio su violenze sistematiche, guerre gratuite e morti ammazzati.

La questione della sedia mancante, in sè tragicomica, corrisponde in pieno invece alla comune figurazione della goccia che fa traboccare il vaso. E in un ordine delle cose bloccato da almeno dieci anni – e per almeno dieci anni assassino – è proprio questo quello che conta: che una goccia, una sola, possa mandare tutto quell’ordine mortuario gambe all’aria. Personalmente ritengo questo evento, la goccia, assolutamente provvidenziale.

Per la nostra comune modalità percettiva il concentrato della vicenda è propriamente surreale, come se lo avessimo memorizzato alla moviola analogamente allo sbarco sulla Luna o al gol di Maradona all’Inghilterra: Ursula Von Der Leyen sta per un attimo in piedi, il presidente del Consiglio europeo Michel si stira le gambe facendo finta di non vedere, mentre er carogna si siede tranquillo sulla sedia sultana esibendo il successo della sua regia di umiliazione.

Passiamo all’interpretazione: Erdogan si riteneva impegnato con Michel, in qualche modo suo omologo nel confronto diplomatico, ma non si riteneva impegnato con Ursula von Der Leyen, in tal senso superflua e visibilmente sgradita; dal canto suo lei ha inteso come opportuna la propria partecipazione in quanto lui (Erdogan), essendo un autocrate con poteri sia di presidente della repubblica che di primo ministro, è omologo almeno da ambedue questi lati e quindi anche rispetto a lei.

Alle spalle di questo evidentissimo qui pro quo sta sia la recentissima uscita della Turchia dalla Convenzione internazionale sulla violenza contro le donne sia la preferenza turca per trattative con i singoli Stati europei piuttosto che con l’Unione; inoltre Erdogan è uno che odia le donne e ci tiene a farlo vedere, e che ne tollera la vista solo attraverso il loro svilimento; quindi, in un tale contesto, viva Ursula e lode al suo contegno, a prescindere.

Ora, al prezzo di una donna esposta in mondovisione come un pezzo di arredo fuori posto, un poco di cristalleria è andata in pezzi: in sede di Parlamento europeo molti deputati hanno chiesto le dimissioni di Michel, in Italia il presidente del Consiglio Draghi, con spontaneità e senza retropensieri, ha definito Erdogan «dittatore», dando titolo autorevole a una persuasione generale finora non detta; la Turchia a sua volta esige scuse da parte italiana minacciando il ritiro dell’ambasciatore, e più estesamente spiattella in forma di ricatto il via libera a un milione di profughi contenuti entro i suoi confini.

La tecnica del ricatto sui migranti e della sua rinnovazione è semplice: la Turchia, Paese membro della NATO, si spende come cliente fisso della nostra industria di armamenti; poi con un esercito di settecentomila uomini e un armamento delirante inventa guerre su fronti diversi; poi con le guerre crea centinaia di migliaia di profughi, e con i profughi lancia l’estorsione diplomatica dei grandi numeri; la Turchia – cioè la turchia di questo autocrate – è infame.

Ma la turchia è un cliente e un fornitore importante nel gioco del neoliberismo e delle delocalizzazioni; non solo è un cliente fondamentale per le grandi commesse di armamenti, è il partner industriale forse più importante per la produzione di componentistica delle grandi case industriali europee; eccetera.

Non solo: Erdogan flirta apertamente con Putin in siria, a spese dei kurdi; copre Putin sul Mar Nero, e quindi sul Dombass, come sul Caspio, e quindi sulla Cecenia; ha provocato la guerra azera contro l’Armenia dilaniando ancora una volta il disgraziatissimo Nagorno Karabak. E Putin a sua volta ringrazia immettendo l’industria cantieristica turca nel Mare Artico, affidando la costruzione e gestione del più importante porto artico russo in previsione di uno spostamento planetario del commercio marittimo verso la rotta artica stessa. Persino il cambio di scena costituito dalla Brexit è stato preso cinicamente al balzo: prospettare la partnership britannica come opzione alternativa rispetto al mercato europeo.

La partita è davvero tremenda; si è immobilizzata per un attimo, solo il tempo di un flash, davanti a un piccolo gilet fucsia per la provocazione di una sedia mancante. 

Cogliere l’attimo: questa è ora la necessità. L’attimo passa anche e necessariamente per il carcere di Imrali, per il prigioniero Ocalan, per le migliaia di detenuti politici in Turchia, e per il ricoscimento della causa kurda come problema internazionale. Erdogan non cadrà per l’ostilità internazionale, cadrà per l’onda di disonore che ha gettato sul popolo che governa, e per il sentimento della rivolta che anima i giovani e le donne in tutta la urchia.

(*) dalla pagina fb di Gian Luigi Deiana

Ursula von der Leyen e la sedia mancante: la storia più semplice

di Alessandro Ghebreigziabiher

C’erano una volta una tedesca, un belga e un turco. La fiaba, o barzelletta, potrebbe iniziare così.

Ma potrei anche esordire dicendo: c’erano una volta una donna e due uomini. La storia non cambierebbe. Perché questa storia non cambia da tempo ed è esattamente questo il problema.

La trama è semplice e il racconto è breve, brevissimo, giacché oramai narrato e consumato sino allo sfinimento degli eventuali ascoltatori.

Pure il finale è sempre lo stesso: gli uomini seduti e la donna in piedi, a osservarli ancora una volta basita e comprensibilmente irritata. Perché molte donne son fatte così. Si ostinano a non abituarsi a tali scenari e, a mio modesto parere, fanno più che bene.

Eppure, la nostra fiaba, o barzelletta, avrebbe potuto godere di ben altri svolgimenti, ciascuno di essi preferibile all’originale.

In uno il belga si alza e offre il suo posto alla donna, dimostrando che i gentiluomini esistono ancora, nonostante tutto.

In un altro è proprio il turco a fare lo stesso, dimostrando che i gentiluomini esistono ancora ovunque, malgrado tutto.

In un altro ancora il belga alza il culo, se mi lasciate passare il francesismo, e si va a sedere accanto alla donna, relegata sul divano. Provando che la solidarietà tra i sessi è ancora uno dei principali alleati verso la parità degli stessi.

In un altro è il turco a sollevare il proprio didietro per muovere nella medesima direzione. Provando che la solidarietà tra i sessi è ancora ovunque il principale alleato verso la parità degli stessi.

In un altro, poi, i due uomini si alzano all’unisono, gettano via le sedie con gesto eloquente, e si seggono per terra. Come a dire, chiediamo scusa se non altro per la maleducazione e ci auto puniamo affinché sia di monito a chi guarda. A chi guarda e di solito giustamente si indigna. A chi guarda e spesso ne soffre. A chi guarda e talvolta disgraziatamente impara le cattive lezioni.

In un altro ancora i due uomini, dopo aver gettato le sedie, mettono a frutto i muscoli indebitamente sottratti alla proverbiale agricoltura e dopo aver sollevato insieme il divano con la donna accomodata su di esso conducono entrambi al centro della scena. Quindi si sistemano alle spalle e via agli scatti dei fotografi. Immortalate pure la vita allorché ci si metta di impegno nel cercar di rimediare agli obbrobri di cui si è macchiata.

In un altro addirittura la donna, dopo aver assistito al comportamento cafone di entrambi, volta loro le spalle ed esce dalla stanza. Ma è ciò che accade subito dopo la vera rivoluzione che conta. Perché le telecamere e i flash dei fotografi la seguono all’esterno, lasciando i due soli, giustamente esclusi dall’inquadratura a cui tanto tengono.

In un altro ancora invece, di fronte a una scena oramai vecchia come il mondo stesso, la donna non si perde d’animo e come fa da tempo immemore provvede da sola riguardo a ciò che le manca di diritto. Indi per cui, apre una borsa che ha portato con sé con saggia previdenza e – tra una miriade di oggetti che le servono quotidianamente per compensare le imbecillità degli uomini – tira fuori proprio una seggiola di quelle componibili. Poi, sotto gli sguardi esterrefatti dei presenti, facendo tutto il fracasso possibile, con chiodi e martello si costruisce la sua sedia. Quindi la sistema proprio in mezzo ai due screanzati e ci si siede con tutto l’orgoglio e la dignità di cui è capace.

Ciò malgrado, devo confidarvi che la trama che amo di più è quella più semplice. Quella in cui nella stanza ci sono tre stramaledette sedie, punto. E in quel caso non ci sarebbe alcun bisogno di altre fiabe e finali alternativi con cambiamenti di sorta.

Coraggio, amiche, sorelle, madri, donne, perché arriverà il giorno in cui vi vedremo occupare una volta per tutte quella sedia mancante.

QUI IL VIDEO: https://youtu.be/AaA0IE-x8EM

(**) ripreso da «Storie e Notizie» che Alessandro Ghebreigziabiher così presenta: «Il blog Storie e Notizie ha iniziato a muovere i suoi primi passi verso la fine del 2008 e contiene racconti e video basati su reali news prelevate dai maggiori quotidiani e agenzie di stampa on line, al seguente motto: “Se le notizie sono spesso false, non ci restano che le storie”. L’obiettivo è riuscire a narrare le news ufficiali in maniera a volte fantasiosa, con l’auspicio di avvicinare la realtà dei fatti più delle cosiddette autorevoli fonti di informazione. La finzione che superi la verità acclarata nella corsa verso la comprensione delle cose è sempre stata una mia ossessione. “Storie e Notizie” ha un canale Youtube, una sua pagina Facebook e anche la versione in lingua inglese, Stories and News. A novembre 2009 ha debuttato l’omonimo spettacolo di teatro narrazione». Qui in bottega «Storie e notizie» è ospitato – scorrete il colonnino di sinistra in “home” e lo troverete – a ogni uscita. 

CONSIGLIO DI LETTURA

Becco Giallo editore ha pubblicato «Prigione N° 5» di Zehra Dogan, prefazione di Elettra Stamboulis (sono 130 pagine con splendide illustrazioni, 20 euri): https://www.beccogiallo.it/prodotto/prigione-numero-5/ . Ne riparleremo ma intanto mooooolto ve lo consigliamo. In “bottega” cfr Zehra Doğan: «La mia guerra a colori…, Zehra Dogan: «Avremo anche giorni migliori», Free Zehra Dogan, Appello alla Commissione Europea per Zehra Doğan, e non solo ma anche Zehra Doğan in galera e un quadro che vale 2 anni più 9 mesi e 22 giorni…

VISIONI

L’immagine di apertura gira (senza firma) in rete: la facciamo tristemente nostra. Le vignette sono di Benigno Moi. L’ultima foto rimanda a «Le sedie» un’opera teatrale di Eugène Ionesco definita dall’autore una «farsa tragica» proprio come quella avvenuta fra Ue e Turchia.

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

2 commenti

  • Brevemente a soggetto della damina lasciata in piedi ad Ankara.

    Primo: se una Capo di Governo (si chiami pure Unione Europea) permette che la si offenda come è stata offesa senza interrompere la visita, tornare a Bruxelles, convocare l’ambasciatore turco e richiamare il proprio….. beh allora è solo e null’altro che una damina o una bambolina di panno lenci.

    Secondo:Draghi non ha definito Erdogan “dittatore”, ma un “dittatore di cui abbiamo bisogno”. E siccome ora è Capo del Governo Italiano dovrebbe spiegare perchè sente “il bisogno di dittatori”. E come concilia questo suo “bisogno” con la Costituzione Italiana.

    Giorgio Stern / Trieste

  • COMUNICATO di UIKI (Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia)
    La comunità’ curda in Italia esprime la propria solidarietà’ con il Sindaco di Rende Marcello Manna, con la Giunta Comunale e con il Consiglio tutto. Le rimostranze dell’Ambasciata turca per la cittadinanza onoraria accordata al nostro Presidente in carcere da 22 anni Abdullah Ocalan, dimostrano ancora una volta l’autoritarismo e l’arroganza del regime di Erdogan, che non solo cerca di sterminare il popolo curdo, non solo opprime economicamente e priva della democrazia il popolo turco, ma pretende di controllare anche gli stati limitrofi nel suo neo-ottomanismo militare, e le nazioni europe attraverso una diplomazia aggressiva – intervenendo persino contro le decisioni di un libero consiglio comunale italiano.
    Siamo fieri/e del riconoscimento del Comune di Rende e speriamo di poter festeggiare al più’ presto in presenza il cittadino onorario Ocalan.
    Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia (20 aprile 2021)

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