
Non c’è precettazione, ma il garante obietta ed i sindacati impugnano: in sintesi la sollevazione è confermata dai sindacati che la hanno convocata e non potranno esserci sanzioni o multe per i lavoratori che hanno aderito alla protesta. Questa la sintesi delle diverse notizie anti-sciopero che si succedono dalla giornata di ieri.
Tra l’altro la lesione di diritti costituzionali non prevede preavviso.
Deve essere chiaro a tuttu che il nome completo originario del Garante di cui parlano i mass-media è “Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali”: dunque quando parlano di legittimità dello sciopero sarebbe un tema che riguarderebbe solamente una platea estremamente ristretta di persone.
Per la precettazione avrebbero dovuto precisare a chi ci si rivolge, mentre così la presentano come se riguardasse tutte le persone che lavorano in qualunque luogo. NON è COSI’: i giornalisti lo sanno ma qualcuno di loro ha VOLUTAMENTE nascosto questa verità.
Tuttavia la questione centrale è che la comunicazione di sciopero generale convocato dal SICobas, presentata da tempo e nei tempi richiesti, non è stata contestata, ma accompagnata da indicazioni piuttosto consuete in questi casi.
Anche volendo la precettazione era impossibile e, dunque, lo sciopero incontestabile.
Citiamo dunque un piccolo pro-memoria in 10 punti messo a disposizione da Sinistra Italiana:
1. Diritto costituzionale
Lo sciopero è garantito dall’art. 40 della Costituzione ed è un diritto di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori.
2. Chi può scioperare
– Lavoratori e lavoratrici dipendenti, pubblici e privati. Inclusi quelli della cura e dei servizi.
– Anche i lavoratori non iscritti a un sindacato.
3. Motivazione dello sciopero
Lo sciopero del 3 ottobre è indetto come protesta contro il genocidio, l’attacco illegale alla Flottilla e in solidarietà con Gaza e con il popolo palestinese. È un’azione collettiva a difesa della pace, dei diritti umani e della sicurezza delle popolazioni civili.
4. Come si partecipa
È sufficiente astenersi dal lavoro per l’intera giornata. Non è obbligatorio avvisare individualmente il datore di lavoro.
5. Servizi essenziali (sanità, trasporti, scuola, ecc.)
Devono garantire le prestazioni indispensabili: urgenze ospedaliere, assistenza minima, servizi di sicurezza. Il diritto di sciopero resta valido ma bilanciato con la tutela della collettività.
6. Lavori di cura
Infermieri, psicologi e altri operatori possono aderire, rispettando i servizi minimi. Lo sciopero non annulla la responsabilità verso pazienti e persone fragili, ma rivendica condizioni di giustizia che tutelano la dignità di chi cura e di chi è curato.
7. Liberi professionisti
Essendo lavoratori autonomi, i liberi professioni possono:
– Aderire ad astensioni collettive proclamate da ordini/associazioni professionali.
– Sospendere la propria attività per protesta, garantendo però urgenze e continuità minima.
– In caso di impossibilità di sospensione di un servizio dedicare gli introiti giornalieri o parte di essi alle associazioni umanitarie che operano a Gaza o in Cisgiordania
8. Pensionati
Chi è in pensione può sostenere uno sciopero partecipando a manifestazioni e altre forme di protesta organizzate per sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione sui destinatari delle rivendicazioni
9. Tutela dei lavoratori
Nessun datore di lavoro può sanzionare o discriminare chi partecipa allo sciopero.
10. Finalità sociale e politica
Questo sciopero non riguarda solo il lavoro: è un atto di solidarietà e di coscienza civile, per affermare che la pace e la difesa dei diritti umani sono parte integrante della dignità del lavoro e della Costituzione.
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Diamo notizia della presa di posizione di ASGI, Giuristi Democratici, Comma2 e Legal Team Italia:
L’ASSALTO ALLA FLOTILLA È UN ATTO DI PIRATERIA
“Esigiamo l’incolumità degli attivisti bloccati. Aderiamo allo sciopero generale del 3 ottobre e alle manifestazioni in tutta Italia”.
Nella serata e nella notte del 1 ottobre la Marina Militare Israeliana ha attaccato, in
acque internazionali, una ventina delle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla. Lo
ha fatto, oltre tutto, preannunciandolo e con il sostegno di fatto, tra gli altri, del
governo italiano, la cui premier si è esibita in questi giorni in dichiarazioni
aggressive nei confronti degli attivisti imbarcati, anziché delle politiche criminali in
atto (o progettate) per la popolazione palestinese e a Gaza.
Non possiamo accettare lo scempio del diritto internazionale umanitario a cui
assistiamo. Il blocco israeliano e l’occupazione di Gaza, l’assalto alla Flotilla (oltre
tutto, ancora in acque internazionali), l’uso di idranti e di granate stordenti contro gli
attivisti imbarcati, ma soprattutto il genocidio in corso, l’impedimento all’ingresso di
aiuti umanitari, l’invasione militare e coloniale non possono che essere chiamati con
il loro nome, definiti illegali, criminali e avversati in ogni sede.
Il governo italiano doveva impedire (e non l’ha fatto) l’aggressione alla Flotilla,
quanto meno ai nostri connazionali. Il minimo che possa fare ora è esigere
l’assoluta incolumità degli attivisti arrestati e di quelli che verranno arrestati nelle
prossime ore, assisterli nel rimpatrio e sostenerli nell’impugnazione delle espulsioni
che verranno disposte nei loro confronti, e mettere in atto poi tutte le forme di
protesta istituzionale e diplomatica, richiamando l’ambasciatore italiano e
soprattutto bloccando definitivamente ed in maniera assoluta l’invio di armamenti a
Israele, interrompendo i rapporti commerciali.
Lasciano infine basiti le dichiarazioni del vicepresidente del consiglio dei ministri
Tajani sull’operato dell’IDF (“Comunque quello che dice il diritto è importante, ma
fino a un certo punto”), dichiarazioni che non necessitano di alcun tipo di commento
da parte nostra, ma che rivelano assoluta mancanza di postura istituzionale e
incapacità di svolgere in maniera dignitosa un importante ruolo costituzionale.
Confermiamo il nostro impegno e supporto, anche tecnico, all’equipaggio di mare e
di terra della Global Sumud Flotilla. Le manifestazioni in corso in tutta Italia hanno il
nostro pieno sostegno e adesione, cosi come lo sciopero generale indetto per la
giornata del 3 ottobre 2025. Invitiamo tutti i giuristi e le giuriste ed i lavoratori del
settore giustizia alla mobilitazione in tutte le piazze e le sedi giudiziarie.
Giuristi Democratici, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, Comma
2 – Lavoro è dignità, Legal Team Italia
2 ottobre 2025
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ALCUNE PRESE DI POSIZIONE GOVERNATIVE NEL MONDO
Al di là dei tentativi governativi contro il diritto di sciopero, prendiamo in considerazione la posizione di altri governi in relazione a quanto sta accadendo.
Cominciamo citando Cristina Siqueira che sull’Espresso riporta:
<<La prima reazione di uno Stato contro l’operazione israeliana ai danni della Flotilla arriva dalla Colombia. Per decisione del suo presidente, Gustavo Petro, il Paese ha avviato l’iter di espulsione di tutta la delegazione diplomatica di Tel Aviv. È la diretta conseguenza dell’arresto di due cittadine colombiane che partecipavano alla missione umanitaria della Global Sumud Flotilla. Il presidente colombiano ha parlato di “un nuovo crimine internazionale di Netanyahu” e ha sottolineato che l’arresto delle sue connazionali è avvenuto in acque internazionali. Petro, inoltre, ha dato mandato per revocare il trattato di libero scambio con Israele.>>
Sanchez, primo ministro spagnolo:
“Come ho detto in molte occasioni, la Flotilla non rappresenta alcun pericolo per il governo israeliano, che speriamo che non costituisca alcuna minaccia per la Flotilla stessa” ha ribadito Sanchez. “Quello che sta facendola Flotilla è sostituirsi a Israele, che sta impedendo il rifornimento di aiuti umanitari a Gaza, affinché l’agenzia delle Nazioni Unite Unrwa possa operare nella distribuzione degli aiuti. Rimaniamo in allerta…
Sanchez ha anche sostenuto le manifestazioni di solidarietà dei cittadini spagnoli per gli attivisti della missione umanitaria: “Credo che si debba riconoscere e applaudire quella solidarietà che esprime la società spagnola e molte altre, perché stiamo parlando di una flottiglia che rappresenta più di 40 nazionalità, più di mille partecipanti. La riconosciamo, l’applaudiamo …”
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Facciamo parlare i portavoce della Flottilla:
2 ottobre 2025 – 14:45 (ora di Haifa)
Aggiornamento di Adalah – Flottiglia Sumud, avvocati esclusi dall’accesso ai partecipanti
A seguito dell’intercettazione illegale di decine di navi della Flottiglia Globale Sumud, avvenuta la scorsa notte e nella giornata odierna, Adalah ha ricevuto telefonate da alcuni partecipanti che hanno riferito come le autorità per l’immigrazione abbiano già avviato le udienze relative agli ordini di detenzione ed espulsione, presso il porto di Ashdod. Questi procedimenti sono stati avviati senza alcun preavviso ai loro avvocati e negando ai partecipanti l’accesso all’assistenza legale.
Ciò costituisce una grave violazione del giusto processo e una negazione dei diritti fondamentali dei partecipanti. Adalah continuerà a richiedere l’accesso e intraprenderà le azioni legali necessarie.
Secondo comunicato arrivato da agenzie di stampa turche:
Con grande dolore e tristezza annunciamo che la nave “Mikeno” della Global Sumud Flotilla è stata sequestrata dalla Marina israeliana. Il capitano, un vero eroe, ha sfidato gli ordini diretti di Israele di spegnere i motori e fermare l’avanzata. Ha poi reso la nave completamente invisibile, spegnendo tutte le apparecchiature elettroniche e manovrando oltre il blocco navale. La “Mikeno” è riuscita ad arrivare entro 7 miglia nautiche dalla costa di Gaza, prima di essere intercettata, sequestrata e abbordata da commandos navali israeliani dispiegati da multiple navi da guerra, con droni che sorvolavano la zona.
Sembra che la determinazione del capitano non sia stata sufficiente a evitare l’abbordaggio, nonostante il tentativo coraggioso di eludere il blocco. Secondo le informazioni disponibili, la Marina israeliana ha abbordato circa 40 delle 47 imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, mentre solo due navi, la Fair Lady e la Marinette, risultano ancora in navigazione verso Gaza.
La situazione è molto tesa e ha scatenato reazioni internazionali, con diversi paesi che esprimono preoccupazione e solidarietà verso gli attivisti della Flotilla, tra cui almeno 22 cittadini italiani arrestati.
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E mentre si discute del piano per la “pace eterna” …
Katz emette l’ultimo ultimatum per gli abitanti di Gaza City, un altro giornalista palestinese viene ucciso, una scuola adibita al rifugio di profughi bombardata…
Leonardo ammette l’export di armi in Israele e fa cadere la maschera del governo
di Duccio Facchini — 1 Ottobre 2025
L’intervista rilasciata il 30 settembre 2025 dall’amministratore delegato di Leonardo Spa, Roberto Cingolani, al Corriere della Sera al dichiarato scopo di “rispondere alle accuse di ‘complicità nel genocidio’” segna una tappa cruciale nella vicenda delle armi italiane a Israele.
La principale azienda bellica del nostro Paese ammette anche sulla stampa più vicina quanto già evidenziato dalle inchieste di Altreconomia: e cioè che l’Italia ha continuato a esportare materiale d’armamento verso Tel Aviv dopo il 7 ottobre 2023, nella complice inerzia del Governo Meloni.
Leonardo, il cui azionista di maggioranza è quello stesso governo che per mesi ha negato l’innegabile, lo ha fatto in forza di autorizzazioni rilasciate dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (Uama), in seno alla Farnesina, prima del 7 ottobre 2023 che non sono mai state sospese o revocate dall’esecutivo, che pure avrebbe potuto e dovuto farlo in forza della legge 185/1990, che già prevede esplicitamente la circostanza della sospensione o revoca (all’articolo 15) di licenze già rilasciate financo per armi sportive, da caccia, gli “artifizi luminosi e fumogeni”, le “armi e munizioni comuni da sparo”. Figurarsi per i materiali e i ricambi che Leonardo ha esportato a beneficio dei velivoli M-346 prodotti dalla Alenia Aermacchi di Varese e che i piloti dell’aeronautica israeliana utilizzano per formarsi e poi, perché è quello che fanno, bombardare, con altri caccia, la Striscia di Gaza. …
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PADOVA: 20 PERSONE TRATTENUTE IN QUESTURA DOPO IL BLOCCO DELL’INTERPORTO
Padova, 2 ottobre 2025 – Dopo oltre due ore di blocco all’Interporto di Padova da parte di Extinction Rebellion, le forze dell’ordine sono intervenute per sgomberare il presidio. Nonostante l’avvenuta identificazione sul posto, tutte le persone presenti sono state portate in Questura, incluse quelle che stavano documentando l’azione con foto e video.
Durante le operazioni di sgombero nessun manifestante ha opposto resistenza attiva: i partecipanti, incatenati ai cancelli, sono stati sollevati di peso e caricati sulle volanti, per poi essere trasferiti negli uffici della polizia. Attualmente venti persone si trovano ancora trattenute in Questura, da oltre cinque ore.
L’azione, condotta in maniera pacifica e nonviolenta, aveva lo slogan “Per la Palestina, blocchiamo tutto” ed era stata organizzata poche ore dopo l’arresto della Sumud Flotilla da parte di Israele.
Nel frattempo, un corteo spontaneo di circa un centinaio di persone è partito dall’Università di Padova e ha raggiunto la Questura, chiedendo il rilascio immediato dei fermati e denunciando la repressione del diritto di protesta pacifica.
«Quello a cui stiamo assistendo non è un fermo identificativo, ma un vero e proprio sequestro di persona – riporta Extinction Rebellion – visto che tutte le persone fermate avevano già fornito i documenti. È evidente il tentativo di soffocare la risposta popolare contro l’attacco illegittimo di Israele alla Flottiglia e la complicità del governo italiano. “Blocchiamo tutto” non era solo uno slogan: è l’inizio di una mobilitazione diffusa in tutta Italia. E non saranno denunce e fogli di via a fermarla».
Extinction Rebellion sottolinea che la sproporzione della risposta repressiva delle istituzioni dimostra la difficoltà, in Italia, di esercitare anche forme di protesta nonviolente di fronte alla complicità con crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale.
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COOMENTO AL PIANO
Il piano Trump per Gaza: genocidio travestito da pace
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Di Mario Sommella il ottobre 1, 2025
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Il cosiddetto “piano di pace” per Gaza, annunciato da Donald Trump al fianco di Benjamin Netanyahu, non è un negoziato ma un diktat. Presentato come un’occasione storica per stabilizzare la regione, nei fatti si configura come un documento costruito ad uso e consumo di Israele e delle grandi lobby occidentali, con la Palestina ridotta a protettorato sotto tutela coloniale.
Hamas: “Serve Israele, non il popolo palestinese”
Un alto dirigente di Hamas ha dichiarato alla BBC che il movimento difficilmente accetterà la proposta. Le condizioni poste da Trump – disarmo totale, consegna delle armi e accettazione di una Forza internazionale di stabilizzazione – sono viste come nuove forme di occupazione. Secondo Hamas, il piano non tiene conto delle sofferenze e delle aspirazioni del popolo palestinese e “serve esclusivamente gli interessi di Israele”.
Il gergo dell’orrore: “finire il lavoro”
La frase pronunciata da Netanyahu – “se Hamas rifiuta l’offerta, finiremo il lavoro a Gaza” – e ripresa da Trump con un inquietante “Israele avrà il mio pieno sostegno per finire il lavoro” è già entrata nella storia del linguaggio politico come una delle più oscene. Lavoro come sinonimo di sterminio: un lessico che cancella l’orrore, normalizzandolo. In quelle tre parole si condensano i massacri di civili, i bambini uccisi a centinaia, la devastazione sistematica di Gaza. Un linguaggio che disumanizza e legittima, e che molti media occidentali ripetono senza scandalo, quasi fosse naturale parlare di genocidio come fosse un mestiere.
L’Italia allineata e l’ambizione coloniale
La presidente del Consiglio italiana si è schierata apertamente a sostegno dell’iniziativa americana, arrivando ad accusare la Flotilla della possibile destabilizzazione del fragile equilibrio evocato dal piano. Un rovesciamento paradossale: chi cerca di rompere l’assedio per portare viveri e medicinali viene additato come pericolo per la pace, mentre i responsabili del blocco e dei bombardamenti sono considerati partner indispensabili.
Ma dietro c’è altro: la premier ha fatto trasparire la volontà di sedere al tavolo del “Board of Peace” presieduto da Trump e Blair, offrendo l’invio dei Carabinieri come forza di polizia nel futuro protettorato di Gaza. Una proposta che sa di pedaggio coloniale più che di contributo alla pace.
Tony Blair, il regista dell’affare
Che Blair sia stato scelto come supervisore non sorprende. L’ex premier britannico, ricordato per le menzogne sulle armi di distruzione di massa in Iraq, non ha mai pagato un prezzo politico o giudiziario. Da allora ha costruito un impero di lobbying e consulenze a favore di regimi autoritari, da Nazarbayev a Gheddafi, passando per i monarchi del Golfo.
Come inviato del Quartetto, sfruttò la sua posizione per favorire progetti economici in Cisgiordania, tra cui un contratto con Wataniya Telecom legato a JP Morgan, che lo pagava due milioni di sterline l’anno. Spinse per il gasdotto Gaza Marine di British Gas, in un intreccio di conflitti di interesse così eclatanti da costargli l’incarico.
Oggi guida il Tony Blair Institute for Global Change, che raccoglie 145 milioni di sterline l’anno e il cui principale finanziatore è Larry Ellison, fondatore di Oracle e principale donatore privato delle forze armate israeliane. Ellison ha versato oltre 200 milioni di sterline all’istituto di Blair, e attraverso Oracle sostiene centri di ricerca in Israele sull’intelligenza artificiale per la sicurezza militare. Amico personale di Netanyahu, Ellison è il perfetto anello di congiunzione tra potere finanziario, lobby pro-Israele e politica americana.
Gli interessi dietro il “Board of Peace”
Il Consiglio della Pace – presieduto da Trump e Blair – appare come il cavallo di Troia per spogliare i palestinesi del controllo sul proprio futuro. Gaza verrebbe amministrata da un “comitato tecnocratico”, con esclusione tanto di Hamas quanto dell’Autorità nazionale palestinese. Non una pace, ma una colonizzazione 2.0: governance occidentale, affari miliardari di ricostruzione, flussi di denaro dal Golfo all’economia americana. Come ha scritto Chiara Cruciati, si tratta di una “stabilità regionale camuffata da pace che non prevede liberazione”.
Riserve dal mondo arabo
La narrazione di un consenso internazionale è già incrinata. Paesi arabi inizialmente favorevoli – come Qatar, Egitto e Giordania – hanno espresso riserve dopo le modifiche al testo apportate da Washington su pressione israeliana: spariti i riferimenti al ritiro delle truppe, nessun calendario per il trasferimento di poteri all’ANP, nessun percorso chiaro verso la nascita di uno Stato palestinese. Una cancellazione che riporta alla mente le infinite “trappole negoziali” del passato.
Le ambiguità di Netanyahu
Secondo l’analista Meron Rapoport, Netanyahu ha raccontato in patria una versione distorta del piano, presentandolo come una vittoria israeliana. In realtà, la Casa Bianca parlava di un ritiro graduale e di un ruolo (pur marginale) per l’Autorità palestinese. Una differenza di prospettiva che rivela il cinismo di Netanyahu: usare il piano per blindare il consenso interno e prepararsi a elezioni anticipate, anche a costo di bruciare l’occasione di una tregua reale.
Ma se il piano fallisse, Israele perderebbe l’occasione storica di completare la pulizia etnica. Per questo l’ultradestra lo pressa e i coloni pretendono garanzie sull’annessione della Cisgiordania. Netanyahu è stretto tra le famiglie degli ostaggi, che chiedono accordi, e l’estrema destra che non vuole compromessi.
ONU e comunità internazionale
Il segretario generale Guterres ha invocato il cessate il fuoco e l’accesso umanitario, ma resta in un vicolo cieco. Netanyahu ha già escluso ogni ipotesi di due Stati, mentre il genocidio prosegue. Gli Stati Uniti, nel frattempo, hanno corretto il piano per renderlo più appetibile a Israele e più tossico per i palestinesi.
Conclusione
Il “piano di pace” di Trump e Netanyahu non è che l’ennesima messa in scena di una colonizzazione mascherata. Dietro le promesse di ricostruzione e stabilità si nasconde un progetto di controllo politico ed economico: Gaza come colonia israelo-americana, amministrata da Blair e benedetta dai miliardari che finanziano l’esercito israeliano.
“Finire il lavoro” non è solo un gergo orribile: è la formula con cui si vuole chiudere la questione palestinese cancellandone l’esistenza politica. Ma nessun piano, nessun board, nessun miliardo potrà occultare la verità: sette milioni di palestinesi vivono su quella terra, e non saranno spazzati via da un documento firmato a Washington.
Fonti principali:
BBC, Associated Press, ONU (dichiarazioni di António Guterres), +972 Magazine (analisi di Meron Rapoport), articoli di Chiara Cruciati (il manifesto), inchieste su Tony Blair Institute for Global Change e Larry Ellison (Guardian, Middle East Eye, Haaretz).
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APPELLO AGLI SPAZI LIBERI DALL’APARTHEID ISRAELIANA
CHIUDETE PER GENOCIDIO
In questi giorni di stato di agitazione permanente, invitiamo tutti gli spazi che si sono dichiarati SPLAI, liberi dall’Apartheid Israeliana, ad aderire agli scioperi e blocchi di queste ore esponendo sulle proprie vetrine e serrande il cartello: CHIUSO PER GENOCIDIO.
Grazie per la vostra concreta solidarietà e per il vostro attivismo contro l’apartheid!
Se volete prendere contatti con il gruppo locale BDS più vicino a voi per partecipare a iniziative, vi segnaliamo la pagina contatti aggiornata sul nostro sito:bdsitalia.org/contatti-bds-italia
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