Brasile: l’«uomo nero» si insedia al Planalto

di David Lifodi con un intervento di Alessandro Ghebreigziabiher

Bolsonaro promette un deciso cambio di rotta. A rischio le politiche ambientali, cancellato l’integrazionismo latinoamericano, criminalizzazione dei movimenti sociali e vicinanza con i Paesi di destra del continente. Questo è il nuovo ordine brasiliano.

Dal 1 gennaio Jair Bolsonaro si è insediato ufficialmente al Planalto. Il Messia nero, già subito dopo la vittoria elettorale che lo ha consacrato, il 28 ottobre scorso, presidente del più grande paese del continente latinoamericano, aveva giurato che la sua direzione politica sarebbe stata diametralmente opposta a quella dei suoi predecessori petisti. Ovviamente non lo ha detto in questi termini, ma ha preferito metterlo in chiaro con il solito linguaggio provocatorio, violento e aggressivo.

Proviamo comunque ad esaminare quali saranno i principali strappi dell’”uomo nero” rispetto a Lula e a Dilma Rousseff., a partire dalla questione ambientale e agraria. Già la nomina della nuova ministra, Teresa Cristina da Costa, mette i brividi. Proveniente dallo stato del Mato Grosso do Sul, esponente di primo piano della bancada ruralista al Congresso e fiera sostenitrice dell’agrobusiness, intende permettere alle multinazionali di ottenere più facilmente le licenze ambientali utili a costruire nuove centrali idroelettriche. Inoltre, la nuova ministra dell’Agricoltura è definita Musa del Veneno, poiché il suo sostegno all’agronegozio pare scontato, al pari dei suoi proclami sullo sfruttamento indiscriminato dell’Amazzonia. Bontà sua, Teresa Cristina da Costa per il momento rappresenta un argine “moderato”, per quanto possa sembrare paradossale, rispetto a Bolsonaro. Ha espresso dubbi sulle bellicose dichiarazioni del presidente, determinato ad inserire movimenti sociali come Sem terra e Sem teto nelle lista delle organizzazioni terroristiche e si è fatta portavoce dei timori dei signori dell’agrobusiness, preoccupati che divenga realtà lo spostamento dell’ambasciata brasiliana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, come minaccia Bolsonaro. I mercati del Medio Oriente potrebbero chiudere i rapporti con il Brasile, sostengono gli agroesportatori. Tuttavia, già quando era al Congresso, Teresa Cristina da Costa si era messa in evidenza per il suo lavoro volto a legalizzare l’invasione delle aree pubbliche da parte dei latifondisti.

Anche a livello ambientale le premesse non solo delle più rosee. In occasione della conferenza Onu sul clima di Katowice, che si è tenuta ai primi di dicembre, Bolsonaro ha fatto sapere che il Brasile non ospiterà la Cop 25, programmata nel suo paese alla metà di novembre 2019. La scusa ufficiale è quella dei tagli al bilancio, ma in realtà l’ordine di scuderia è impedire che lo sviluppo del Brasile sia messo in discussione dalla politica ambientale. Per formalizzare questo gran rifiuto Bolsonaro ha scelto il ministro degli Esteri Ernesto Araújo, sicuro che il riscaldamento globale sia una balla “utile a giustificare il potere delle istituzioni internazionali sugli stati”.

Gran parte del nuovo ordine politico brasiliano passerà proprio da Araújo, un fanatico ammiratore di Trump convinto che il Brasile debba necessariamente far parte dell’Alleanza del Pacifico, il blocco di economie regionali i cui paesi sono tutti di orientamento conservatore e filostatunitense volto a contrastare l’integrazionismo latinoamericano. Cuba, Venezuela, Bolivia e istituzioni come Celac, Unasur e Mercosur “non aggiungono alcun valore economico e tecnologico al Brasile”. Non a caso, tra i primi viaggi di Bolsonaro in America latina, sono già in programma il Cile di Piñera e l’Argentina di Macri. Ovviamente, non mancherà nemmeno una visita di cortesia a Trump: il motto America First, che ha permesso al presidente Usa di conquistare la Casa bianca, assomiglia molto a quello di Bolsonaro, che mette il Brasile e i brasiliani al primo posto.

Tra i progetti maggiormente apprezzati delle presidenze petiste c’era anche quello dei medici cubani, contro i quali già in passato si era schierata l’estrema destra brasiliana, giocando sul fatto che avrebbero tolto lavoro ai colleghi brasiliani. “Sono falsi medici”, ha ribadito Bolsonaro, costringendo di fatto i medici cubani ad abbandonare il paese. Sulla rottura della cooperazione tra la sanità brasiliana e quella cubana ha già messo in guardia il Frente Nacional de Alcaldes do Brasil, sottolineando il grande lavoro dei medici cubani, soprattutto nelle aree più povere del paese e nelle comunità indigene. La stessa Dilma Rousseff, a proposito della decisione di Bolsonaro di allontanarli, con la scusa che avrebbero dovuto sottoporsi ad un esame obbligatorio in Brasile, ha parlato di un atto xenofobo, sprezzante e arrogante.

Anche il ministero dell’Istruzione sarà affidato ad un personaggio poco raccomandabile, il colombiano Ricardo Vélez Rodríguez, ex docente universitario, ben visto dai militari e autore di libri e articoli dedicati ad illustrare le modalità per combattere il lulo-petismo, la sinistra e il “marxismo culturale gramsciano”. Tra i fondatori del movimento Escuela sin partido, la cui funzione principale è quella di invitare alla delazione gli studenti contro gli insegnanti ritenuti di sinistra, Ricardo Vélez Rodríguez è membro dell’Istituto brasiliano di filosofia, organismo creato nel 1949 da Miguel Reale, ex appartenente all’organizzazione parafascista Azione integralista brasiliana.

Ossessionato dalla necessità di combattere il “marxismo culturale” nelle scuole e nelle università, Ricardo Vélez Rodríguez deve la nomina a ministro anche alla sua intenzione di limitare l’accesso dei neri alle università pubbliche e alla volontà di limitare quei docenti e intellettuali che hanno sostenuto Fernando Haddad durante la campagna elettorale per le presidenziali. Peraltro, la nomina di Ricardo Vélez Rodríguez ha lasciato alcuni strascichi a destra. Ad esempio, la bancada evangelica che ha sostenuto Bolsonaro avrebbe preferito come ministro dell’Istruzione Mozart Neves Ramos, ex rettore dell’Università federale del Pernambuco, ma hanno prevalso le ragioni della Escuela sin partido, che vuole condurre una vera e propria offensiva ideologica volta a criminalizzare e a distruggere il lavoro intellettuale.

Inoltre, l’autoritarismo del presidente brasiliano preoccupa sempre più la parte democratica del paese e ciò che resta del progressismo latinoamericano. Bolsonaro si è guadagnato il Planalto sfruttando quelle enormi disuguaglianze di cui è rimasto permeato l’intero continente, Brasile compreso, nonostante la dissoluzione dei regimi militari degli anni Settanta-Ottanta.  Come se non bastasse, la criminalizzazione dei movimenti sociali assumerà tratti sempre più odiosi, grazie anche al modello rappresentato dal macrismo in Argentina, dove le organizzazioni popolari sono definite “nemiche della democrazia”. In Brasile la nuova destra si è affermata sfruttando la delegittimazione del sistema sociale, economico e politico e, in un contesto di estrema violenza, l’urgenza della “mano dura” è divenuta ineluttabile. Per questo motivo ci sono delle preoccupanti similitudini anche tra il piccolo Guatemala del negazionista Jimmy Morales e il gigante latinoamericano guidato dal fascista Bolsonaro.

Il Brasile rischia di trasformarsi di nuovo in un laboratorio, ma la sua direzione non è più quella di Porto Alegre e dei movimenti sociali, bensì la nuova destra antisistema che prende sempre maggiormente campo in America latina.

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In cerca di pianeti e parole

di Alessandro Ghebreigziabiher (*)

Esco.
Evado da me, da qui, ogni giorno.
Devo, e son felice perché posso.
Nondimeno, solo non sono.
In cerca di pianeti e parole.
Di senso umanamente compiuto.
Ecco, sono già in volo e mi stupisco, perché guardo eleggo che esiste un mondo dove un paese enorme, dal cuore ricolmo di verde, natura e creature ancora pure, fondamentale per l’esistenza di tutto e tutti, è governato da un individuo che prima di salire al potere ha promesso di prendere ogni centimetro della terra ora occupata dagli indigeni.

Bolsonaro Jair

Nondimeno, il resto dei viventi, di ogni specie armoniosamente coerente con l’universo, si rende conto del pericolo e si erge compatto a fronteggiare il marrano, costringendolo ad abbandonare le sue folli intenzioni.
Mi rincuoro, ma non mi basta.
Perché è tutto troppo logico per esser vero.
Quindi prendo fiato e soffio aria nei polmoni che si fanno ali e come uno speranzoso dirigibile mi fido del vento che ancora viaggia libero.
Lo vedo, adesso, un mondo simile al precedente, dove alla guida di una terra straordinariamente rigogliosa e variopinta vi è un personaggio inquietante, il quale è uso chiamare terroristi coloro che rischiano la propria stessa vita per difendere i diritti umani.

Ciò malgrado, il bruto ha i minuti contati, poiché gli altri abitanti oltre confine sono consapevoli che il silenzio, il voltar pagina, serrando occhi e coscienza innanzi a siffatti atteggiamenti vuol dire esser complici.
E che nessuno si senta innocente, poi.
Quindi si parlano tra loro e, in breve, prendono pubblica e attiva posizione.
Sorrido, il cuore si scalda e l’angoscia diminuisce.
Ciò nonostante, mi pare ci sia qualcosa di eccessivamente sensato per esser reale.
Perciò carico i muscoli delle spalle e porto indietro le mani per darmi la solita spinta da solo verso le alternative mancanti all’orizzonte.
Coraggio, mi dico, e non vengo deluso.
Perché nella galassia subito accanto trovo un pianeta dove la nazione più generosa d’ossigeno e maggiormente creativa con colori e forme ha come leader un tizio che ha annunciato di voler spezzare in due la foresta più grande del mondo con un’autostrada, disboscando e spianando senza pietà.

 

Ebbene, sono proponimenti inaccettabili per gli esseri interessati, ovvero tutti.
Difatti, grazie a un laborioso ma efficace tam tam solidale, ovvero utilizzo intelligente dei social, sono tutti accorsi per fare scudo alle ricchezze comuni messe in pericolo.
Mi esalto di fronte a cotanta dimostrazione d’amore per l’oggi, quanto per il domani.
Per se stessi, quanto per i figli che verranno, oltre a quelli che già attendono un saggio cenno.
Tuttavia, ho la netta impressione che le luci siano troppo vivide e la condivisione del nobile intento sia stata troppo facile.
Quindi, scruto gli attori con occhio più attento, riascolto le battute, e dopo qualche istante riconosco il testo.
È il solito racconto.
Con cui esco.
Grazie al quale evado dal sottoscritto, da questo mondo, quotidianamente.
Non ne posso fare a meno, e son grato perché ne ho tempo e facoltà.
Ma sono certo di non essere il solo.
In cerca di parole e pianeti.
A cui far una volta per tutte assomigliare.
Questa assurdità che chiamiamo terra…

(*) tratto dal blog Storie e Notizie N. 1626

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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