Plan Cóndor: 30 ergastoli per i torturatori

Li ha richiesti la procura di Roma per la morte di 23 cittadini di origine italiana

di David Lifodi

“Dopo 40 anni questo processo ha un valore morale altissimo poiché si tratta di cercare la verità a proposito di ciò che è accaduto in America Latina”: si espresso con queste parole, poco prima della requisitoria, il pm Giancarlo Capaldo che, lo scorso 14 ottobre, ha avanzato la richiesta di 30 condanne all’ergastolo per ex alti militari, ex ministri ed ex capi di stato coinvolti nella scomparsa e nell’uccisione di 6 italo argentini, 4 italo-cileni e 13 italo-uruguayani avvenuta nell’ambito nel Plan Cóndor (1973-1978), il piano di cooperazione tra le dittature latinoamericane per eliminare militanti di sinistra, sindacalisti e tutti gli oppositori ai regimi fascisti che allora operavano nel continente.

“Quello sguardo rimase impresso nella mia memoria e per questo vengo a testimoniare”, disse l’uruguayana Beatriz Cristina Fynn Fernandez al quotidiano il manifesto il 20 ottobre 2015, quando già erano in corso le udienze a Rebibbia per il processo Condor. Lo sguardo a cui si riferisce la donna è quello di Jorge Néstor Troccoli, l’unico imputato detenuto in Italia. Fu Geraldina Colotti che, per il manifesto, raccolse la testimonianza da incubo di Beatriz Cristina Fynn Fernandez , la quale, nonostante le atroci torture, riuscì a intravedere quell’uomo a capo del Fusna, l’unità dei Fucilieri navali. Troccoli pensava che per farla franca sarebbe bastato fuggire dall’Uruguay, dove era stato riconosciuto, per recarsi in Italia. L’iscrizione alla facoltà di Scienze sociali di Montevideo non l’aveva messo al riparo: furono gli studenti a denunciare la presenza del macellaio tra i banchi universitari. In Italia si rifugiò a Marina di Camerota, cittadina della provincia di Salerno di cui era originario il suo bisnonno, fin quando non è stato raggiunto dalla giustizia italiana. Tuttavia, Troccoli non ha perso l’arroganza di allora e più volte ha ribadito il suo pensiero: nessun sequestro, ci mancherebbe, nemmeno torture di alcun tipo, certo, non era a conoscenza nemmeno dei desaparecidos e comunque ha adempito solo al suo dovere. L’obediencia debida, ancora una volta, è il triste rituale che utilizzano i torturatori per farla franca. E allora, come mai è scappato in fretta e furia anche dal pacifico Uruguay, dove, a seguito del ritorno alla democrazia, aveva capito che per lui si metteva male? Troccoli scambiava informazioni sugli oppositori politici con l’Argentina e, in questo contesto, sparirono Bernardo Arnone, rapito a Buenos Aires nel 1976, e Daniel Banfi, arrestato sempre nella capitale argentina, nel 1974, grazie ad un’operazione congiunta tra la polizia politica di Jorge Maria Bordaberry e quella di Videla. Le vedove dei due desaparecidos, Cristina Mihura e Aurora Meloni, entrambe residenti in Italia, hanno ringraziato il pm Capaldo per il suo lavoro ed hanno dichiarato la volontà nel continuare a battersi per la giustizia. Eppure Troccoli e i suoi compari continuano ad essere convinti di poter eludere la legge. Nel 1998 il libro del comandante del Fusna, L’ira del Leviatano, fece scalpore perché negava qualsiasi accusa, anzi, giustificava la repressione come mezzo necessario per fermare il pericolo rosso. Anche la testimonianza di Carlos Alberto Dosil De Caro, tra gli uomini torturati da Troccoli, mette i brividi. Più volte il torturatore gli puntò il mitra alla gola, e poi bastonate, scariche elettriche e la roulette russa con il grilletto a vuoto.

Per i 31 militari e civili di Uruguay, Cile, Perù e Bolivia difficilmente si verificheranno le condizioni per l’ergastolo, ma già sono stati ripudiati dai propri Stati. La presenza di esponenti delle ambasciate di questi paesi a Rebibbia è significativa  e l’ambasciatore boliviano Antolín Gómez ha dichiarato: “È importante essere qui soprattutto per le famiglie delle vittime”. Oltre a Troccoli, sul banco degli imputati, benché assenti, figurano Juan Carlos Blanco (ex ministro degli Esteri dell’Uruguay tra il 1973 e il 1976), Iván Paulós, dell’intelligence uruguayana, Pedro Antonio Mato Narbondo, torturatore nel centro di detenzione clandestina di Buenos Aires Automotores Orletti, i cileni Sergio Arellano Stark (l’ideatore della Caravana de la Muerte), Manuel Contreras (direttore della Dina, i servizi segreti pinochettisti) e Daniel Aguirre (a capo dell’intelligence cilena). E ancora, spiccano i peruviani Francisco Morales Bermúdez, presidente del paese tra il 1975 e il 1980, l’ex primo ministro Pedro Richter Prada e Martín Martínez Garay, alla guida dell’intelligence. Per fortuna, di fronte a dichiarazioni provocatorie e offensive nei confronti delle vittime, come quella dell’avvocato di Troccoli, secondo il quale il suo assistito non ha rivestito un ruolo determinante nei fatti accaduti, ci sono le parole rassicuranti dell’avvocato Giancarlo Maniga: “Questo processo ha tre punti fondamentali: fare giustizia: mantenere viva la memoria e contribuire affinché nei paesi dove si è sviluppato il Plan Cóndor si rafforzi la democrazia”.

La sentenza è attesa per la metà di gennaio 2017.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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