Africa, i tempi stanno cambiando

di Francesco Masala, con video, articoli, link e musica di Farida Bemba Nabourema, Davide Malacaria, Luciano Vasapollo, Giacomo Gabellini, Stefano Orsi, Natale Salvo, Patrizia Sterpetti, Bob Dylan, Raoul Peck, Remocontro, Piero Orteca

Africa, i tempi stanno cambiando – Francesco Masala

L’Unione europea non riconosce gli illegittimi e criminali bombardamenti in Libia da parte dei paesi paria del diritto internazionale, ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell.

In una nota, Borrell ribadisce che il presidente libico, Muʿammar  Gheddafi, “è stato democraticamente eletto e quindi è e resta l’unico legittimo presidente” del Paese.

“L’Ue – prosegue Borrell – chiede la sua liberazione immediata e senza condizioni e ritiene i golpisti responsabili della sua sicurezza e di quella della sua famiglia”. (da qui)

come avrete capito Borrell non ha mai detto quelle parole, se non lo conoscete leggete questo quadretto di Josep Borrell

 

intanto eccolo qui, in una recente foto oscena:

non è il principe De Curtis, è proprio Josep, volato nell’Africa Nera per sostenere e rappresentare i valori comuni dell’Europa: imperialismo, colonialismo, sfruttamento economico, terrorismo, neo colonialismo, (neo)nazismo, sterminio, suprematismo bianco, genocidio, razzismo, omicidi, minacce, servilismo, bugie, tra gli altri.

intanto il mondo cambia a velocità supersonica e Borrell crede di vivere nel secolo di Cuore di Tenebra, quando regnava quell’assassino seriale, non inferiore a Hitler, che era il genocida Leopoldo II del Belgio.

intervenire in qualche Paese rosso creerebbe qualche resistenza e molti problemi.

(In rosso appaiono i Paesi africani che hanno accordi militari con la Russia)

in altri (recenti) tempi quei ribelli al mortifero ordine dei colonialisti avrebbero fatto la fine di Patrice Lumumba, ma i tempi stanno cambiando, la musica e le parole immortali di Bob Dylan lo dicono*

 

se si vuole vedere il film del grande regista Raoul Peck su Patrice Lumumba, eccolo qui (con sottotitoli in francese):

 

https://markx7.blogspot.com/2018/06/lumumba-raoul-peck.html

sempre di Raoul Peck

se ancora esistono i film politici Peck è nell’Olimpo del cinema politico: cercate Exterminate all the brutes

https://www.labottegadelbarbieri.org/exterminate-all-the-brutes-raoul-peck/

 

 

Golpe in Niger, l’Unione Africana rifiuta l’intervento armato. È scontro con l’Ecowas

Durante una lunga e tesa riunione del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana (UA), è stato deciso di respingere l’opzione dell’uso della forza contro la giunta militare che ha preso il potere in Niger.

La scelta è stata riportata da diverse fonti diplomatiche che hanno partecipato al vertice tenutosi lunedì scorso durante il quale è stata anche adottata la sospensione temporanea del Niger da tutte le attività dell’UA. A breve la posizione verrà ufficializzata tramite un comunicato stampa. Tale decisione si pone in contrasto con quella assunta dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) la settimana precedente. Nonostante l’ECOWAS favorisca il dialogo infatti, ha ordinato l’attivazione immediata della sua forza di riserva, con l’intenzione di dispiegare una “stand-by force” per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger, pur enfatizzando la priorità di una soluzione pacifica alla crisi innescata dal colpo di Stato avvenuto il 26 luglio.

Secondo quanto riportato da fonti di Le Monde, un diplomatico dell’Unione Africana ha dichiarato che “Pur rimarcando l’impegno per la tolleranza zero nei confronti dei cambiamenti di governo incostituzionali, è stato scelto di non sostenere un’azione militare, perché questa potrebbe portare a un’escalation di violenza e causare ulteriori danni rispetto a quelli già presenti.”

da qui

 

 

 

Il coraggio di essere liberi – Farida Bemba Nabourema

La marcia verso la liberazione è una marcia collettiva del colonizzato e del colonizzatore, dell’oppresso e dell’oppressore. E chi si rifiuta di andare avanti nella direzione della liberazione la subirà comunque, ma in modo molto doloroso e molto crudele.

L’élite politica francese è molto scioccata dall’ingratitudine di “questi popoli” che siamo “dopo tutti i buoni gesti, tutta la generosità intellettuale, economica e militare che la Francia ci avrebbe donato”, da selvaggi inferiori e ingrati che siamo, arriviamo al punto di osare preferire i nemici della Francia.

L’élite francese è estremamente adirata e non riesce a capire come un popolo che esiste solo per servire e subire sia diventato improvvisamente così ambizioso e audace da volersi sedere anch’esso al tavolo dei grandi.

L’élite politica francese pensa che non avrebbero dovuto darci nemmeno quel po’ della libertà di cui godiamo perché provarla alla fine ci ha portato a desiderarla. Desideriamo di più, ambiziosi, audaci ed eternamente insoddisfatti che siamo; è stata troppo generosa, non ce lo meritavamo.

L’élite politica francese è ancora più stupita che i custodi degli interessi francesi che ha elevato come intellettuali nelle nostre comunità non siano più ascoltati; peggio sono ancora più disprezzati, e più cercano di esaltare i benefici del paternalismo francese, più vengono emarginati come illegittimi dalla società.

Ma l’élite politica francese si pone le domande sbagliate. Non si rende conto che sia lei che noi siamo in un processo di liberazione e guarigione. La differenza è che noi abbiamo preso coscienza dei nostri mali, ma la Francia invece nega la sua patologia.

Abbiamo preso coscienza della nostra alienazione culturale e ingoiamo la pillola amara che porterà alla nostra disalienazione. I nostri giovani non abbracciano più nulla della cultura francese e non imitano più i francesi.

Abbiamo preso coscienza del nostro sfruttamento. Le nostre masse non vogliono più questo veleno tossico che viene loro presentato come “democrazia”, ​​ma che non ha alcuna somiglianza con quella applicata in Francia. I nostri popoli non accettano più che i loro governanti impongano loro la miseria collettiva quando possono evitarla andando in Francia per curarsi, formarsi e divertirsi. Abbiamo preso coscienza della nostra ignoranza non associando più l’intelletto all’accento francese e la virtù agli abiti francesi.

La marcia verso la liberazione è una marcia collettiva del colonizzato e del colonizzatore, dell’oppresso e dell’oppressore. E chi si rifiuta di andare avanti nella direzione della liberazione la subirà comunque, ma in modo molto doloroso e molto crudele.

Invito quindi l’élite intellettuale francese a prendere coscienza anch’essa dei suoi privilegi, del suo feudalesimo e della sua condiscendenza. La invito a prendere coscienza della sua arroganza, della sua volgarità ma soprattutto della sua disumanità perché per molto tempo si è posta al di sopra di noi subordinandoci.

Noi usciamo dalla nostra disumanizzazione, sta a lei di uscire dalla sua “superumanizzazione”. Siamo tutti esseri umani e questo ci dà il pieno diritto di piacere o non piacere. Il nostro amore per la Francia, la nostra fedeltà alla Francia e la nostra lealtà alla Francia non sono tanto i suoi diritti quanto i nostri doveri. Queste sono scelte e noi abbiamo scelto!

 

Traduzione di Beniamino Rocchetto  – Invictapalestina.org

da qui

 

Africa post coloniale: il tramonto della Francia e dell’Europa – Remocontro

La presenza della Francia in Africa, in quei Paesi che erano stati un tempo sue colonie e con cui comunque Parigi era riuscita a mantenere un legame. Stati ‘francofoni’ che si impegnavano a rimanere nella zona di influenza della Francia, accettando limitazioni non soltanto nella politica estera ma anche in quello più delicato della politica interna ed economica. La Francia ‘Paese guida’, con il sistema del ‘Franco d’Africa’, moneta teoricamente locale ma garantita, e quindi controllata, da Parigi. La sicurezza dei vari Paesi era inoltre garantita dalla presenza sul territorio di reparti dell’Armée. Tutto finito.

 

Il quasi impero africano di Francia svanito

Controllo economico e quindi politico attraverso il ‘Franco d’Africa’, e una spesso ingombrante presenza militare di qualità, segnala Giuseppe Cucchi su “Analisi Difesa”. Che racconta di come gli ordini per quei reparti militari in caserme molto prossime alla Presidenza del paese africano e all’Ambasciata francese, erano di una chiarissima semplicità: «In caso di torbidi impadronirsi immediatamente del Presidente in carica e della sua famiglia, trattandoli con estrema gentilezza ed offrendo loro totale protezione. Nel contempo contattare tramite l’Ambasciata il Quay d’Orsay per sapere se la Francia appoggia il Presidente o i rivoltosi e ricevere adeguate istruzioni».

La Francia arbitro sui potenti locali

Di fatto, la Francia come arbitro della possibilità dei politici locali di accedere al potere e di rimanervi a lungo, in quei Paesi che Parigi considerava fondamentali come il Senegal, il Camerun, la Costa d’Avorio ed il Niger, per stare alla stretta attualità. Come compenso per tale ‘padrinato’ e alle restrizioni che esso imponeva, di fatto soltanto due speranze, denuncia Giuseppe Cucchi. Il legame del franco d’Africa con il franco francese prima, con l’euro con agevolazioni verso l’Unione Europea. Seconda giù citata, la presenza armata francese a garanzia dei potenti locali fedeli a Parigi, con le Forze Armate locali spesso prive di equipaggiamento militare adeguato.

Benessere e sicurezza alla francese

Garantire all’Africa francofona, l’accesso al benessere da un lato e ad una condizione di sicurezza dall’altro. «A ben guardare, le medesime promesse, implicite, che noi paesi della NATO e della Unione Europea abbiamo fatto, dopo il crollo del Muro di Berlino, agli altri Stati Europei del blocco comunista», l’acuta osservazione dell’ex generale e attuale docente universitario. Ma in Africa la Francia non ne è stata capace.  E le condizioni economiche dei paesi francofoni sono costantemente peggiorate nel corso dell’ultimo decennio. Paesi e popoli costretti a scegliere tra il morire, l’emigrare o ribellarsi.  Ed è ciò che sta accadendo attualmente, anche se attraverso golpe e altri pericolosi percorsi di aiuti e alleanze.

Francia, orgoglio e debolezza

«Ciò che Parigi non è riuscita a capire è stato come l’universalità del richiamo religioso estremista, innestato su una condizione di malcontento, conferiva ai movimenti di rivolta una ampiezza che la Francia da sola non sarebbe stata in condizione di fronteggiare». Sarebbe servita una maggiore presenza ed influenza di altri paesi europei nell’area, considerata da Parigi inaccettabile. «Persino noi italiani, dopo aver tentato invano di ottenere condizioni possibili per l’inserimento in Niger di un nostro contingente, siamo stati costretti a lasciar cadere l’idea di una cooperazione paritaria con la Francia ed abbiamo cercato accordi separati con altri Paesi presenti in area».

Tensioni oriente-occidente

Ad escludere quasi di fatto la Francia dal Sahel, la crescente tensione fra l’Occidente, la Russia e la Cina, che ha permesso a parecchi Stati locali di affidarsi alla formazione mercenaria della Wagner, strumento di punta della politica russa nella regione. Dall’Africa francofona se ne è andata per prima la Repubblica Centroafricana, seguita poi da Mali e Burkina Faso, «mentre il Niger dopo il recente colpo di stato rimane per il momento ancora nel limbo». Rischi dell’ancora incerto intervento armato dell’Ecowas, l’organizzazione regionale del Golfo di Guinea, guidata dalla Nigeria, il gigante dell’Africa Occidentale. Al Sperando che il rimedio non si riveli peggiore del male. Problema segnalato dal già esperto delle Nazioni Unite per l’area: «… le truppe nigeriane godono di una consolidata fama di gestire ogni loro intervento con particolare rudezza».

da qui

 

La minacciosa visita della Nuland in Niger – Davide Malacaria

Gli Stati Uniti “sostengono gli sforzi dell’ECOWAS per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger”. Così Antony Blinken in un’intervista rilasciata a Radio France international. Intervento non casuale, dal momento che la Francia è il Paese più infuriato per quanto sta avvenendo nella sua ex colonia.

La minacciosa visita della Nuland

La dichiarazione di Blinken va letta insieme alla minacciosa visita in Niger della sua bellicosa vice al Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, che a Niamey si è intrattenuta con il Capo di Stato Maggiore, generale Moussa Salaou Barmou, in un colloquio “franco” e “difficile” nel quale ha ribadito che l’eventuale presenza della Wagner nel Paese – contattata dal nuovo governo per far fronte a un eventuale attacco – avrebbe messo a repentaglio la “sovranità” nigerina.

Esplicitando, la Nuland ha ordinato di ripristinare l’ordine pregresso e di non toccare il contingente americano stanziato in Niger (tre basi, circa mille uomini) e ventilato, in caso di intervento della Wagner, un forte sostegno USA a un eventuale attacco a Niamey e magari un intervento diretto.

Ma l’aggettivo “difficile” sottende anche che non ha trovato politici proni ai suoi diktat (a differenza degli europei…). Lo denota anche il fatto che il leader della giunta militare, il generale Abdourahmane Tchiani, non l’ha voluta ricevere né gli è stato permesso di incontrare il presidente deposto Mohamed Bazoum.

D’altronde, avendo questi evocato un intervento armato contro il suo Paese sul Washington Post- questo il senso del titolo dell’articolo: “Il mio Paese è sotto attacco etc…” – la richiesta deve essere apparsa alquanto irritante agli occhi dei nuovi leader (né la richiesta di Bazoum può essere accolta con molta simpatia dal suo popolo, sulle cui teste cadrebbero le bombe straniere).

En passant si può notare che il niet alla Wagner della Nuland evidenzia che finora la compagnia di mercenari russa non ha avuto un ruolo nella rivolta nigerina, al contrario di quanto hanno sostenuto e sostengono tanti media d’Occidente…

La visita della Nuland rende l’idea dell’irritazione degli Stati Uniti per quanto avvenuto in Niger. E attirare le antipatie dei neocon porta sfortuna. Ad oggi la guerra per procura tramite le nazioni dell’Ecowas si è allontanata grazie al voto con cui il Senato della Nigeria ha rigettato la richiesta del presidente Bola Ahmed Tinubu di autorizzare un intervento armato.

Ma non per questo l’opzione è svaporata. Tinubu, che dall’8 luglio è anche presidente della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, ha indetto una nuova riunione dell’Ecowas per domani. Non si rassegna.

Una possibile opzione di riserva è un intervento minore, di uno o due stati dell’organismo in questione, che trascini poi in guerra l’intero Ecowas… Almeno questa è la paura del Niger, che sta concentrando l’esercito a difesa della capitale.

Tinubu e l’amico americano

Di grande interesse un articolo che Grayzone dedica al bellicoso presidente della Nigeria, che in gioventù, a Chicago, fu sfiorato da un’inchiesta su un traffico di eroina nel quale era coinvolto un cugino. Gli inquirenti avevano trovato quasi due milioni di dollari su conti correnti a lui riferibili in diverse banche, che secondo l’agente speciale dell’IRS Kevin Moss sarebbero stati frutto di riciclaggio.

Ma, mentre l’indagine prendeva corpo, rammenta Grayzone,  Tinubu tornava in Nigeria, avendo prima assicurato agli inquirenti la sua estraneità ai fatti. E qui inizia la sua carriera politica: nel 1992 è eletto al Senato e nel 1999 diventa Governatore dello Stato di Lagos, carica che mantiene fino al 2007.

In questo periodo avvia un rapporto molto intenso con l’ambasciata USA, che l’ha accompagnato per tutta la carriera politica. Uomo forte della Nigeria, Tinubu dal 2007 in poi “ha scelto tutti i candidati vincenti” alle presidenziali, secondo l’emittente tedesca DW, che all’inizio di quest’anno ha osservato che il magnate “è ritenuto uno dei politici più ricchi della Nigeria, ma la fonte della sua ricchezza resta ignota”.

Ancora Grayzone: “Nel 2009, Tinubu è stato indagato dalla polizia di Londra”. Secondo le accuse, insieme a due uomini politici del suo Paese, aveva creato una società di copertura l’African Development Fund Incorporation“, per comprare “illegalmente azioni di ECONET, una società di telecomunicazioni fondata dall’asset dell’intelligence statunitense e dal fiduciario della Fondazione Gates Strive Masiyiwa”.

Ma gli inquirenti non riuscirono a scoprire granché a causa dell’opposizione del governo nigeriano all’inchiesta. “Nel 2011,- continua Grayzone – Tinubu è stato processato davanti al Code of Conduct Tribunal in Nigeria per aver gestito illegalmente 16 conti bancari esteri”. Ma evita di presentarsi davanti ai giudici e tutto si risolve.

Tinubu ha davvero tanti soldi e l’acquisto a Londra, a prezzo di favore, di una sontuosa villa nel quartiere di Westminster non passa inosservata agli occhi dei tabloid britannici.

La sua ricchezza è al centro di un’altra controversia, continua Grayzone, che racconta quanto avvenuto in occasione delle elezioni politiche del 2019, durante le quali divennero virali le immagini di un convoglio di camion blindati carichi di soldi che entravano nella sua residenza.

Le opposizioni lo accusarono di compravendita di voti, ma ai giornalisti che l’interpellavano spiegò con eleganza: “Tengo i soldi dove voglio”, aggiungendo che “se ho i soldi, e se mi va, li do gratuitamente alla gente”.

Più tardi, per rimediare alla gaffe, il suo segretario ebbe dire che i camion avevano “sbagliato strada” e quindi erano entrati per errore in casa del futuro presidente della Nigeria (eletto a maggio del 2023) e dell’Ecowas.

Ma al di là delle beghe giudiziarie che l’hanno sfiorato e della posa da satrapo orientale che tanto contrasta con la povertà della sua gente, il particolare più rilevante della vita del presidente, attestato da tanti cablogrammi, è il rapporto  con l’ambasciata degli Stati Uniti, nella quale è di casa.

Tale legame aiuta forse a spiegare perché il “padrino di Lagos” – come scherzosamente è chiamato Tinubu dai suoi concittadini – si sia affrettato a chiedere un intervento armato contro il Niger.

E ciò forse spiega anche perché, dopo che l’opzione è andata a vuoto, la Nuland si sia precipitata a Niamey. Essendo svaporata, almeno per ora, la guerra per procura, gli Stati Uniti sono dovuti intervenire direttamente. Per ora con le minacce.

da qui

 

La lontana guerra in Sudan e i demoni del Darfur sull’EuropaPiero Orteca

 

Khartoum, la Stalingrado africana: morti nelle strade e milioni di sudanesi in fuga.

Gli scontri tra le forze armate sudanesi, guidate dal generale Abdelrahman al Burhan, presidente del Consiglio di transizione del Sudan, e le forze paramilitari di supporto rapido (RSF), agli ordini del generale Hamdan Dagalo.
Il conflitto ha ridotto la capitale Khartoum a un campo di battaglia urbano. Ma lo scontro rischia di propagarsi in una regione attraversata da tensioni etniche e tribali per il controllo delle terre e delle sorgenti d’acqua.
Le Nazioni Unite hanno messo in guardia dal rischio di un disastro umanitario colossale, un genocidio, in un paese ‘cerniera’ tra l’Africa Subsahariana e il nord del continente.

Una bomba ad orologeria

La fascia del Sahel africano è una bomba a orologeria, capace di fare esplodere in maniera drammatica l’emergenza migratoria. Questa volta l’Onu ha puntato i suoi riflettori sul Sudan, terra devastata da mille guerre (tribali, culturali, etniche, economiche) e messa in ginocchio dall’indifferenza degli “altri”, soprattutto dei più ricchi.

Rapporto Onu, cifre da brivido

Dunque, il report delle Nazioni Unite sul martoriato paese africano snocciola cifre che fanno rabbrividire. Oltre 4 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case. Quasi 1 milione ha varcato il confine, cercando un precario rifugio negli Stati vicini, in particolare il Ciad e l’Egitto. Almeno 3 milioni e 200 mila, invece, sono classificate come ‘internally displaced’, cioè profughi senza fissa dimora, che vagano quotidianamente, alla costante ricerca di un tozzo di pane o di una tettoia sotto cui rifugiarsi. Secondo l’Onu, prima che la guerra civile s’intensificasse, la situazione era migliore, in quanto i cittadini stimati a rischio carestia erano ‘solo’ 6 milioni. Ma da maggio la situazione è andata progressivamente peggiorando.

20 milioni sull’orlo della fame

Ora, le autorità internazionali stimano che la popolazione sull’orlo della fame tocchi i 20 milioni di abitanti. Alla mancanza di derrate alimentari immediato consumo, si aggiunge poi l’assoluto deficit di servizi. Specie quelli sanitari, indispensabili per una popolazione così malnutrita e fragile. Sempre l’Onu, calcola che i bambini sudanesi, costretti a passare le loro giornate sotto la linea minima della curva di sopravvivenza, siano almeno 14 milioni. Molti di loro moriranno per assoluta mancanza di assistenza. Infatti, immane è il compito che aspetta le organizzazioni umanitarie operanti in tutta la regione, a cominciare dalle agenzie dell’Onu…

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Niger come nuovo Vietnam. Vasapollo: rischio di uno scontro per bloccare il pluripolarismo. In Africa forti segnali di un riscatto decolonizzatore

Aurelio Tarquini intervista Luciano Vasapollo

 

“Lo hanno chiamato colpo di stato ma io direi che si è trattato semplicemente di una riacquisizione della sovranità da parte del Popolo del Niger, che ha buttato giù un governo fantoccio voluto da Macron”. Commenta così il golpe in Niger, conversando con FarodiRoma, il professor Luciano Vasapollo, decano di economia all’Università La Sapienza, co-fondatore del capitolo italiano della Rete in difesa dell’umanità e storico consulente sui temi dello sviluppo dei governi di Cuba e Venezuela.

“I nigerini – sottolinea Vasapollo – si riappropriano della loro sovranità. E registro da parte del nuovo governo una presa di posizione di stampo fortemente anticolonialista, che evoca le parole delle grandi rivoluzioni dell’America Latina, discorsi con al primo posto il valore della patria e il principio dell’autodeterminazione”.

La grande manifestazione popolare a favore del nuovo governo del Niger
presieduto da Abdourahmane Tchiani, già capo della guardia presidenziale del Niger, nominato capo di un governo di transizione nello stato dell’Africa occidentale, due giorni dopo che la sua unità ha rovesciato il governo di Mohammed Bazoum, conferma, secondo l’economista, “l’avvio di un processo irreversibile” in atto nell’Africa sub sahariana, ovvero in quella fascia geografica che comprende: Sudan, Ciad, Niger, Burkina Faso, Mali e Mauritania.

Ne ha parlato, rileva Vasapollo, il presidente del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, nel recente Forum Russia-Africa di San Pietroburgo, quando ha evocato il “Risorgimento dell’Africa” in un discorso pronunciato davanti al presidente russo Vladímir Putin e agli altri leader del continente, nel quale ha assicurato che l’Africa necessita di leaders che “smettano di comportarsi come marionette che ballano ogni volta che gli imperialisti toccano uno strumento”.

Vasapollo condivide l’analisi di Traoré, e spiega che “uno dei problemi del continente africano è la posizione dei suoi dirigenti. Il problema è vedere i capi di Stato africani che non contribuiscono alla crescita dei loro popoli, leaders che cantano al suono dell’imperialismo, trattati come “dipendenti” dalle compagnie petrolifere, o comunque concessionarie di miniere, e dai governi dei paesi ex colonizzatori o meglio neocolonizzatori. Tutti responsabili, i leader locali, i dirigenti industriali e i ministri occidentali, come politici, come industriali e come uomini, di attuare politiche che non rispettano i diritti umani, ha osservato il docente ricordando il ruolo di gendarme per fermare i migranti nel Sahara affidato dall’Europa al Niger.

“Papa Francesco – ha rimarcato Vasapollo – lo ha proclamato con forza domenica nel volo da Lisbona: il più grande cimitero dei migranti non è il Mediterraneo, che ne ha inghiottiti decine di migliaia, ma il Nordafrica. E davanti a questo fatto risulta davvero imbarazzante il fatto che da parte dell’Europa si solleciti un ritorno alla legalità internazionale in Niger”.

Come ha affermato Traoré, ribadisce quindi Vasapollo, “oggi noi affrontiamo le forme più barbare e violente del neocolonialismo e dell’imperialismo. E in Africa come in Europa continua lo scontro tra mondo unipolare e mondo multipolare, che è all’origine della stessa guerra Ucraina – Russia”.

Di fatto, spiega il professor Vasapollo, “assistiamo alla decadenza del nord-centrismo e della guida anche monetaria del dollaro e dell’euro. Si ripete quanto accaduto in Asia con la decadenza dell’impero britannico e il crollo della sterlina. E si vorrebbe impedire questo crollo economico e monetario, come il tramonto dell’Unipolarismo, attraverso il ruolo della Nato, quindi attraverso la guerra e anche l’economia di guerra.

La guerra come rimedio alla crisi, cioè, seguendo le filosofie classiche precristiane: secondo Eraclito, è inevitabile il conflitto, la guerra, appunto, che scaturisce da un fuoco mobile, attivo perennemente, giacché la lotta esiste tra gli uomini e tra elementi, non soltanto lotta ma anche perpetuo movimento, in ogni istante noi e tutto ciò che esiste siamo e non siamo, in ogni istante diveniamo, e non c’è un presente”.

“La guerra militare – insiste Vasapollo – è l’espressione, diciamo così, tipica della fine degli imperi: quando sono in decadenza scatenano le mille forme del kenysismo militare per poter dare continuità a se stessi. E in Africa sta avvenendo la stessa cosa cioè cercano il loro riscatto i popoli che fanno riferimento al multicentrismo, dove il multicentrismo è una sorta di Sud globale cioè dove il Sud non è geografico ma una condizione di subalternità imposta e di cui ribellarsi”.

Si rischia ora “un conflitto militare a guida Francia per difendere suoi interessi economico – commerciali e di Occidente con ladrocinio di uranio, oro, petrolio e risorse minerarie, che alla fine porterebbe a indebolire ulteriormente l‘immagine della Francia nel mondo poiché apparirebbe ancora il suo volto sporco e genocida di potenza neocoloniale”.

Al contrario, per Vasapollo “il pluricentrismo può giocare centralmente le sue possibilità di affermazione ancor più in Africa per impostare una transizione de colonizzatrice nella determinazione di un nuovo ordine economico, commerciale e monetario mondiale”.

“In questo momento – ragiona il docente – l’attacco militare al Niger non c’è stato, perché secondo me ci sono delle contraddizioni forti all’interno della coalizione Occidentale, cioè sono convinto che gli Stati Uniti prima di buttarsi su un altro terreno diretto di guerra ci penseranno, perché ovviamente l’Ucraina sta assorbendo grossissime risorse in termini economici e militari, in termini anche di immagine a livello internazionale e quindi difficilmente si buttano in un fronte di guerra diretto e quindi cercherebbero, se proprio guerra ci debba essere, che sia a guida africana”.

Infatti “nel cortile di casa, che per la Francia in generale è l’Africa, i neocolonialisti si fanno promotori della guerra, dicono per la democrazia e per la difesa della democrazia ma puntano alla riconquista dei territori il cui sfruttamento rischia di sfuggire loro,
e ciò mi fa pensare che almeno per il momento il fronte direttamente militare non è imminente: gli occidentali non si sentono di tenerlo”.

Osservo invece, aggiunge Vasapollo, che all’opposto “le forze interne al Niger e le forze popolari ci sono: c’è per esempio il movimento M62, un forte movimento di massa e di solidarietà internazionale, analogamente a quanto fa sul piano principalmente politico M23 in RDC”.

Con FarodiRoma Vasapollo tiene a precisare che “M23 non è un movimento filo ruandese ma un movimento popolare di liberazione congolese, antimperialista, per l’autodeterminazione e La sovranità de colonizzatrice” E che grazie a tali presenze alternative “sembra crescere in Africa una coscienza della propria dignità”.

“In Niger – osserva l’economista – dicono ‘via i francesi, viva la Russia’ e questo avviene perché la Russia ha una politica differente in Africa rispetto a quella francese, non è un caso che al vertice di San Pietroburgo, che c’è stato qualche giorno fa, abbiamo visto la Russia annullare la stragrande maggioranza delle rate del debito estero dei paesi africani e promettere di dare e un aiuto anche in termini materiali con il grano verso l’Africa”.

Insomma, per Vasapollo emerge che “c’è una politica internazionale da parte della Russia più basata sulla solidarietà, sull’aiuto e non sui processi colonizzatori”. Dunque, “con il nuovo governo del Niger è necessario cercare appunto un dialogo e non la criminalizzazione del colpo di mano: intervenire a livello militare infiammerebbe tutta la zona dell’Africa occidentale cioè si trasformerebbe l’Africa occidentale in un Vietnam. Sarebbe una vietnamizzazione nel senso che tutta l’area dei paesi appunto che erano ex colonie francesi o comunque tutti i Paesi dell’Africa occidentale si opporrebbero in forme anche di guerra diretta su un terreno di guerriglie e di difesa della sovranità e dell’autodeterminazione”.

Come scrive Contropiano, “la presenza di circa 200 mila profughi nigeriani fuggiti dalla violenza jihadista verso il Niger danno la cifra dell’azzardo dell’eventuale forzatura militare da che farebbe quindi precipitare in un senso o nell’altro la situazione in Sahel, e si tratterebbe di una sorta di ‘seconda guerra mondiale africana’, dopo quella di fatto combattuta in Congo”.

L’Occidente ed i propri ascari – conclude Vasapollo “stanno nuovamente giocando con il fuoco, ma non è affatto detto che, se passassero alle vie di fatto, il proprio avventurismo non potrebbe risolversi in un gigantesco boomerang per le aspirazioni neo-coloniali e per la rendita politica delle vacillanti pedine in loco”.

da qui

 

 

Niger: pronta la “pistola fumante” per attacco – Natale Salvo

E’ per ora stabile la situazione in Niger, ad ormai venti giorni dal colpo di stato militare dello scorso 27 luglio e delle successive minacce di intervento militare da parte dell’organizzazione degli stati dell’Africa occidentale ( ECOWAS – CEDEAO ).

Sembra tuttavia profilarsi la strategia dell’impero occidentale – ricordo che la Francia ha 1.500 soldati in Niger, mentre gli Stati Uniti circa 1.000 -, per giustificare un proprio intervento militare: salvare la vita dell’ormai ex presidente del Niger Mohamed Bazoum [nella foto].

Non si hanno notizie dei circa 200 soldati italiani in Niger, dopo un primo parziale ritiro degli scorsi giorni.

Niger, la strategia dell’impero: salvare Mohamed Bazoum

Carine Kaneza Nantulya, responsabile di Human Rights Watch (HRW) per l’Africa ma residente a Washington D.C. negli Stati Uniti, infatti, con un post su twitter dell’11 agosto ha contraddittoriamente assicurato che il 9 e il 10 agosto rappesentanti di HRW hanno avuto modo di « parlare col presidente destituito » ma anche che « i capi della giunta hanno impedito a lui e alla sua famiglia di avere qualsiasi contatto umano esterno » sin dall’8 agosto [1].

L’esponente umanitaria statunitense ha pure aggiunto una forte denuncia: il mancato « accesso ai servizi di base » ( elettricità, cibo adeguato, trattamenti medici ) a favore di Mohamed Bazoum.

Il tweet è stato un assist alla (concordata?) dichiarazione di Josep Borrell, vice presidente dell’Unione Europea, e non solo. Anche Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana, lo riporta lo stesso giorno il giornale “Vision Guinea”, ha esortato « la Comunità Internazionale a riunire concretamente i propri sforzi per salvare la vita e l’integrità morale e fisica del presidente Mohamed Bazoum » [2].

Insomma, come già scritto, la motivazione morale, la famosa “pistola fumante”, per l’intervento armato è stata costruita...

continua qui

 

 

L’impegno per l’AFRICA delle “Donne Globali per la Pace Unite contro la NATO” Bruxelles ( 6- 9 luglio 2023)

 di Patrizia Sterpetti (WILPF Italia) con la collaborazione di Patricia Uche Leonard (WILPF Italia) per le traduzioni

Da anni avvengono dei controvertici organizzati dalla società civile durante i summit della NATO. Quest’anno l’urgenza è stata sentita in modo più forte, dopo che a Madrid l’anno scorso è stato concordato il nuovo Concetto Strategico, che ha confermato i timori delle osservatrici donne. Le Donne Globali per la Pace Unite contro la NATO quest’anno si sono mosse da sole, scegliendo la postazione di Bruxelles (sede del Parlamento europeo e della NATO), per iniziativa della finlandese Ulla Kötzer (Women for Peace) e della statunitense Nancy Price (WILPF US).

Oltre ad un incontro collettivo con le europarlamentari Clare Daly e Ozlëm Demirel il 6 luglio e ad un confronto ristretto con il rappresentante NATO Nicola De Santis il giorno successivo, le giornate del 7 e dell’8 luglio sono state dedicate a cinque seminari sull’impatto della NATO in Europa, Africa, Asia Pacifico, America Latina e Nord America. Ecco perché complessivamente hanno partecipato in presenza donne di quindici Paesi (Finlandia, U.S.A., Cipro, Grecia, Australia, U.K., Belgio, Italia, Germania, Francia, Ungheria, Ucraina, Marocco, Turchia, Afghanistan) e da remoto donne di nove Paesi (Norvegia, Sudafrica, Filippine, Giappone, Corea del Sud, Colombia, Venezuela, Messico, Canada), comprese alcune minoranze (per gli Stati Uniti le Hawai’i o il popolo Chamorro di Guåhan/ Guam; per l’Australia il popolo aborigeno Darumbal; per il Giappone le Isole Ryūkyū; per la Corea del Sud l’isola di Jeju). Hanno sostenuto l’iniziativa anche alcuni uomini da Germania, Belgio, Norvegia, Italia, Ghana, Costa d’Avorio, Iran. Importante il sostegno dell’associazione Vrede uzw Belgium che si è occupata di tutti gli aspetti logistici e dell’International Peace Bureau che ospita da giugno sul suo sito il testo della Dichiarazione delle donne Globali Unite contro La NATO, aperta a firme “globali”. La sede dei seminari è stata una vecchia fabbrica di pianoforti (Pianofabrik in Fortstrasse 35) nel quartiere di Saint Gil, da decenni abitato da migranti, prima lavoratori italiani e spagnoli, minatori, che prendevano alloggio vicino la Gare de Midi. Lo dice un pensionato spagnolo incontrato per caso e aggiunge che quando arrivò a Bruxelles nel 1986 – a luglio – la temperatura era di 12 gradi, adesso il caldo è asfissiante.

Il seminario sulla NATO in Africa, avvenuto il 7 luglio nel primo pomeriggio, ha voluto rinforzare l’appello per il “Riconoscimento, lo Sviluppo e la Giustizia” del Decennio ONU (1° gennaio 2015-31 dicembre 2024) dedicato alle persone di Discendenza africana e chiedere la fine delle operazioni militari della NATO e dell’AFRICOM.

La sessione è stata moderata da George Friday (Organizzatrice di campo Nazionale per il Bill of rights Defense Committee/Defending Dissent Foundation, WILPF US) e da Ernest Gibson Kpordetsi (co-fondatore e Direttore di Progetti dell’African Peace in Ghana, membro dell’International Peace Bureau), da Theresa El Amin (WILPF US). Ė intervenuta Khadijia Ryadi (Difensora dei diritti umani, vincitrice del premio UN per la causa dei diritti umani 2013, Coordinatrice del CMODH);  Gnaka Lagoke Gervais (Assistente Professore di Storia e Studi Panafricani alla Lincoln University (PA), fondatore della Convention for PanAfricanism and Progress (CPP) www.cpp-ubuntu.org); Nomozotsho Memani (ex membro della Legislatura Provinciale in Sudafrica 1994-1999, Attivista avvocata, Avvocata dell’Alta Corte in Sudafrica, membro ANC ANCWL).

Khadijia Ryadi

Sono Khadijia Ryadi, coordinatrice della rete di diverse ONG che operano nel Maghreb, dalla Mauritania fino Libia, con ONG di magrebini che vivono in Francia. Parlo della NATO nel Maghreb, la mia regione. Per parlare della presenza della NATO nella mia regione bisogna prima ricordare che al momento della creazione di questa alleanza militare, nel 1949, i Paesi del Maghreb erano già da decenni sotto il giogo del colonialismo, imposto da alcune potenze occidentali, queste stesse potenze che hanno costituito la NATO, come la Francia, l’Italia, il Portogallo. Le lotte dei popoli magrebini contro le forze della NATO non sono di oggi, queste potenze militari sono state dietro molti colpi di Stato in Africa e hanno commesso degli assassini contro i leader politici che si opponevano alla loro egemonia. Uno di questi leaders è magrebino, Mehdi Ben Barka, una delle figure storiche simboliche della liberazione dei popoli africani, sequestrato e assassinato in Francia dal regime marocchino, con l’aiuto dei servizi USA e dei sionisti. Come diceva un leader della liberazione africana, questi crimini contro i leaders avrebbero consentito di istallare dei governi pro-occidentali e di istallare basi militari occidentali, per dare alle imprese occidentali la libertà di sfruttare le risorse naturali del continente. Secondo la rete panafricana Black Agenda Report, in una notizia riportata dal Journal d’Afrique, la NATO continua ad operare nel continente sotto la copertura dell’assistenza umanitaria o della formazione militare ma la violenza sul continente non è mai tanto aumentata dall’utilizzazione delle lotte antiterroriste dei Paesi della NATO attraverso, in particolare, AFRICOM. Secondo questa stessa organizzazione in tredici anni d’esistenza AFRICOM è stata dietro a nove colpi di Stato in Africa. Il direttore dell’Institut for Political Studies Netfa Freeman sostiene che l’AFRICOM fungeva da incubatore di colpi di Stato. L’AFRICOM gioca un ruolo chiave nel reclutamento della operazione militare annuale, chiamata “Leone l’Africano”, organizzata dagli USA insieme all’esercito marocchino e alla partecipazione di molti altri Paesi sul territorio marocchino. Né il governo marocchino, né tantomeno il suo parlamento, ci hanno coinvolto in decisioni su queste questioni che sono di grande rilievo e importanza. Questo è uno dei diritti fondamentali più bistrattato, quello del popolo marocchino di disporre di sé stesso. AFRICOM ha anche collaborato alla preparazione del più grande intervento in Africa della NATO: l’intervento militare in Libia, che si è svolto nel 2011 al momento della rivoluzione detta “Primavera araba”. Questo è il mio secondo punto in questo intervento. Dunque nel 2011 la NATO intraprende la sua operazione militare maggiore sul continente, denominata “Operazione di protezione unificata in Libia”. Secondo lo storico Vijay Prashad, direttore di Tricontinental questa operazione si inseriva nella strategia di consolidamento ed espansione dell’Occidente in Africa. Le potenze occidentali, in particolare la Francia, avida di questa invasione della Libia, hanno potuto arraffare il voto dell’ONU della Risoluzione 1973 che ha dato copertura a questo attacco basato su principio della responsabilità. L’ONU è responsabile di fronte alle popolazioni che hanno bisogno di protezione quando i loro governi non possono o non vogliono assumerla.  Gli osservatori indipendenti, compresi i meno critici della NATO, hanno criticato l’usurpazione del Consiglio di sicurezza da parte della NATO e hanno rilevato che gli attacchi aerei hanno colpito dei civili e l’operazione ha completamente fallito l’obiettivo di stabilizzare il Paese, al contrario dell’obiettivo annunciato. Al contrario, il caos e la guerra così sono la conseguenza visibile e drammatica di questo intervento e questa situazione catastrofica dura fino ad ora. L’obiettivo della NATO era di mettere fine al regime di Gheddafi e ci è riuscita. Il caos in Libia scatena una serie di conflitti orribili in Mali, Algeria del Sud e in certe regioni del Niger. Tutti gli interventi precedenti hanno scatenato delle situazioni drammatiche simili: in Afghanistan, in Somalia. È tutto il contrario di quello che pretende il discorso della NATO e delle potenze imperialiste che la costituiscono: il discorso della protezione dei civili, della restaurazione della pace e la democratizzazione degli Stati del Sud. L’intervento in Libia e le sue ripercussioni hanno dimostrato che erano in realtà motivate dagli interessi strategici dei membri NATO: l’appropriazione delle risorse naturali della Libia e del petrolio. La diplomazia russa ha considerato che la trasformazione in modo cinico di idee nobili come la democrazia e la responsabilità di proteggere, ha discreditato questi concetti. Anche la deputata militante per i diritti civili Cynthia McKinney ha affermato nel suo libro The illegal war on Libia che la guerra condotta dalla NATO in Libia da USA e UE resterà uno dei crimini più gravi della Storia, a livello del Processo di Norimberga. Secondo la stessa fonte il Sudafrica, pur avendo votato la Risoluzione 1973, ha sollevato delle critiche dichiarando che la responsabilità di difendere i civili sottintendeva il desiderio di creare un nuovo regime in Libia, come il pretesto delle armi di distruzione di massa anni prima in Iraq. Attualmente i popoli magrebini subiscono ancora queste ingerenze dalle forze imperialiste attraverso gli strumenti militari perché AFRICOM è ancora là, le ultime manovre militari ancora continuano fino a pochi giorni fa. Alcuni Paesi mantengono la loro presenza militare in Libia. La stabilità di tutta la regione è minacciata dalla proliferazione di reti di trafficanti di esseri umani di cui i migranti sono vittime, e il traffico di armi si espande. La NATO ha anche una politica di divisore nelle sue relazioni e negoziazioni con i Paesi magrebini nel quadro del dialogo mediterraneo. Certo, l’integrazione magrebina è una faccenda magrebina, come sostiene Brahim Saidi nel suo libro L’OTAN e t le Maghreb, un libro che non critica la NATO ma il suo ruolo di divisore dei Paesi Magrebini attraverso la sua politica NATO per delle relazioni bilaterali, per approfittare delle divergenze che lacerano la Regione. È evidente che le potenze imperialiste e il loro strumento militare che è la NATO, preferiscono come sempre degli Stati indeboliti dalle loro divergenze e ostacolano un Maghreb forte per la sua integrazione e la sua unità, che passa innanzitutto dalla democrazia di ogni Paese e dall’accesso dei popoli al diritto di disporre di sé stessi per decidere del loro avvenire, che non può avverarsi senza la fine della dipendenza dalle potenze imperialiste e la costruzione di poteri politici ed economici al servizio dei popoli, che non potranno ritardare la costruzione di un Maghreb senza frontiere, di diritti, di libertà. Nella nostra rete siamo convinti che la lotta contro la NATO è legata alla lotta quotidiana nei nostri Paesi contro la dittatura e la lotta condotta dai nostri popoli per la democrazia e la libertà.

Gnaka Lagoke Gervais

Il mio nome è Gnaka Lagoke, sono in Accra, parlo di come la NATO è rappresentata nei documenti militari USA e di come sta contribuendo alla ricolonizzazione dell’Africa. Cito velocemente due momenti molto importanti nella Storia del mondo e dell’Africa: il primo la battaglia di Ceuta nel 1415 guidata dai Portoghesi, che volevano guidare gli Europei sotto la leadership dei Portoghesi ad intraprendere l’azione di esplorare eventualmente la responsabilità del commercio degli schiavi. Papa Alessandro VI divise il mondo. Cosa è successo nei secoli seguenti: dopo, durante il risorgimento europeo, quattordici Nazioni si riunirono nel 1884/1885 ritrovandosi a Berlino durante la cosiddetta “Kongo Konferenz per la scoperta dell’Africa”, si divisero l’Africa per poi proseguire la ripartizione del continente africano. E adesso proseguiamo per parlare del colonialismo, di alcune caratteristiche del colonialismo. La prima è lo Stato coloniale: Germania, Belgio, Francia, Inghilterra; dopo abbiamo le imprese transnazionali e un altro aspetto è la scolarizzazione limitata e molte altre cose. Ma voglio sottolineare quello che io chiamo l’”esercito afro-europeo” creato dalla pressione del colonialismo e dopo l’indipendenza africana rivediamo, nel contesto della struttura globale, che gli Europei istaurano alcune istituzioni con lo stesso modello e caratteristiche. Kwame Nkrumah, il primo leader del Ghana, ha scritto un libro nel 1965 “Neo-colonialismo ultima stazione dell’imperialismo” parlando del fatto che i Paesi africani stanno affrontando il cosiddetto “colonialismo collettivo” e in accordo con questo vediamo i Paesi europei mettersi insieme per continuare la dominazione comune dell’Africa. In questo contesto bisogna tenere a mente che l’esercito afro-europeo, istituito al tempo coloniale del commercio degli schiavi, è lo stesso che abbiamo oggi nel XXI secolo e come in una visione comune, AFRICOM sotto il comando militare USA, contribuisce ad esacerbare la colonizzazione dell’Africa, su questo voglio mettere l’accento.  All’inizio è stata la Germania, poi molti Paesi africani si sono opposti a vedere AFRICOM nel continente dell’Africa. E uno dei leader, per anni, nigeriano si è opposto all’idea di vedere AFRICOM in Africa. Perciò la Francia, che era stata molto impegnata nella colonizzazione dell’Africa, ha molte basi militari nel continente, specialmente nell’Africa occidentale, la Costa d’Avorio, mio Paese di origine, ospita molte basi militari francesi; in differenti parti dell’Africa si può vedere questo. Quando vedete questa emergenza della Cina e il ritorno della Federazione Russa, voi vedete l’Europa temere di perdere forza nel mondo e che non è possibile imporre il loro governo e in questo contesto si notano molte operazioni da parte di AFRICOM e l’America forza la sua posizione in Africa, nonostante l’emersione della Cina, questa è la prima cosa. La Nigeria vuole vedere sparire i comandi USA in Africa sotto la leadership di Muhamed Buhari, la gente era sorpresa e molte critiche si sono levate. Abbiamo visto che la gente ha denunciato la scelta della Nigeria ritenendo che se AFRICOM andasse via dal continente africano si aprirebbero due possibilità: primo si può vedere un altro Paese, forse come la Russia, giungere. Sappiamo che i Cinesi hanno molte basi a Gibuti questo solleva delle critiche. Così quando hanno visitato la Nigeria, hanno chiesto agli Stati Uniti di non collocare il quartier generale in Africa, nel continente africano. Nel 2020-’21 ci sono stati dei movimenti di potere popolari che hanno voluto vedere emergere in Africa il potere di leader militari: il primo in Mali sotto la leadership di Assimi Goita e un altro in Burkina Faso sotto la leadership di Ibrahim Traoré, due ufficiali militari e perciò abbiamo visto cosa sta accadendo, come gli Africani stanno organizzando la creazione di movimenti popolari che portano a dare potere ai militari.

Nomozotsho Memani

BRICS è un’importante piattaforma per immaginare mercati e Paesi in Via di Sviluppo. Il gruppo è impegnato a consentire il materialismo e la riforma del sistema di mercato globale. È una positiva, stabile, forza contraente negli affari internazionali. BRICS è favorevole ad aprire la possibilità di un più equo, giusto, ordine economico mondiale agli ultimi, in particolare immaginiamo i PVS. BRICS è la voce potente dei senza voce, sfruttati da accordi multilaterali di commercio negoziati, come quelli dei PVS. È stato annunciato di recente che si considera l’accoglimento di nuovi membri e almeno 40 Paesi hanno espresso il loro interesse da differenti continenti, in Africa, EAU e altri. Anche il Presidente della Francia, Macron (ride) vuole essere invitato nei BRICS, potentemente vuole aggiungersi. BRICS rappresenta il 3% della popolazione mondiale e il 16% del commercio mondiale ed è il più grande condivisore dei GDNP (Good Natured Products), più del G7. La questione è per quanto tempo immaginare che mercati e Paesi in Via di Sviluppo debbano soffrire sotto il controllo di pochi. Ora una nuova banca per lo sviluppo stabilita dai BRICS drena 50 billioni di dollari USA dai propri membri ed anche da altri Paesi come Egitto, EAU, Uruguay, Bangladesh, che vi hanno messo un contributo. E molti PVS sono stanchi dei Paesi Sviluppati e delle loro istituzioni e hanno mostrato interesse all’utilizzo di banche per lo sviluppo. Si parla di giustizia: non c’è giustizia in questo mondo fin dal commercio degli schiavi nel XVI secolo, non viene detto niente su questo. C’è stato un appello per la riparazione e i governi che hanno sostenuto il commercio degli schiavi non sono nell’appello. Adesso diventa serio il fatto di non discuterne e deve essere risolto con gli USA e con i Paesi europei. Il traffico di esseri umani: è un crimine contro l’umanità e il più intenso l’impegno tra Paesi, è una minaccia per il futuro. Almeno il 30% di queste popolazioni ha una discendenza da queste vittime. Il 30% dei Neri Americani sono discendenti delle vittime del commercio degli schiavi nel mondo. I perpetratori di questo commercio ancora controllano questo mondo. Una piattaforma d’azione: nel movimento è ora BRICS, che supporta l’appello per la creazione di una valuta di scambio comune internazionale, urgentemente.  Non vogliamo aspettare, non è il tempo di aspettare, i Paesi costituiti – immaginate -, i PVS, sono stanchi di utilizzare il dollaro. Noi chiediamo ai BRICS in arrivo di affrontare il tema e prendere decisioni. Le regole commerciali BRICS devono essere progressive e adatte ai PVS. Noi chiediamo ai BRICS un impegno a riformare le istituzioni finanziarie internazionali e invitiamo tutti i Paesi del mondo ad unirsi e ad utilizzare la nuova banca per lo sviluppo.

Il mio messaggio alla NATO: noi chiediamo di impegnarsi a risolvere la riparazione della discendenza di lunga durata delle vittime del traffico degli schiavi, prima dell’inizio del summit della settimana prossima. Questa è una questione seria che può provocare una guerra mondiale. Presidente Biden, faccia attenzione a questo incontro prima che avvenga una rivoluzione. I Neri Americani sono arrabbiati di questo silenzio nell’incontro, ed anche ci rivolgiamo non solo al Presidente Biden ma ai presidenti dei Paesi che controllano i PVS che partecipano all’incontro. Anche le ex colonie chiedono risarcimenti e noi ci appelliamo anche ai Paesi colonizzati ad impegnare i Paesi colonizzatori a pagare il risarcimento. I risarcimenti devono coprire le infrastrutture distrutte da aziende internazionali. Oggi in Sudafrica abbiamo miniere illegali rimaste irrisolte dopo l’esaurimento dei filoni e adesso abbiamo la crisi dei minatori illegali che chiamiamo “zamazamas” che operano in queste miniere[1]: ogni giorno questi minatori muoiono. Ieri ci hanno detto che 90 persone sono morte in Boksburg[2] impegnate in questo. Così stiamo dicendo al nostro Presidente, per favore, coinvolga altri presidenti delle ex colonie per risolvere la questione dei risarcimenti. Ciò risolve il problema dei suoi cittadini, perché gli ex colonizzati sono dappertutto nel mondo e sono usati per lavori sottopagati e sono un fardello per gli altri Paesi a causa della povertà. Il messaggio al comitato internazionale del traffico di esseri umani: tutte le Nazioni devono legiferare e implementare delle leggi rigide che supportino la riduzione del traffico di esseri umani. Come donne: noi donne non facciamo bambini per farli essere schiavi del traffico umano, facciamo i nostri figli – in accordo con i leaders – per farli contribuire in modo significativo allo sviluppo del mondo. Ai trafficanti di esseri umani: Stop a queste pratiche diaboliche, non sono benefiche, siamo esseri umani, trattiamoci reciprocamente con rispetto!

George Friday

Questa è la risoluzione del congresso triennale di WILPF International che si è tenuto l’anno scorso nel luglio 2022 e questa è la risoluzione discussa. La risoluzione chiede a WILPF a livello internazionale di promuovere la Dichiarazione Universale dei diritti umani come parte dell’adempimento dei diritti delle libertà fondamentali per le persone discendenti dall’Africa e anche di promuovere una grande conoscenza di questa risoluzione e anche di adattare e rafforzare il quadro giuridico a livello nazionale, regionale e internazionale in accordo con la Dichiarazione di Durban e il programma d’azione. Sono documenti e informazioni comuni che si possono trovare sul sito delle Nazioni Unite e nella Convenzione internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, che ugualmente si possono trovare sul sito delle Nazioni Unite. E l’impegno che il Congresso WILPF ha preso, questo è di disseminare programmi d’azione oltre ad un gruppo di lavoro di esperti di persone di discendenza africana, gruppo di lavoro convocato dalle Nazioni Unite conversando su questo impegno del decennio internazionale, che è iniziato nel 2013 e termina nel dicembre 2024. Le altre richieste di azione sono l’impegno a lavorare per l’antirazzismo nell’ambito di questo programma di azione del gruppo delle persone, dopo l’inserimento del piano. Questa risoluzione è passata l’anno scorso.

DISCUSSIONE: DOMANDE E RISPOSTE

Claudine Colet

Vorrei sapere – perché avete citato due, tre Paesi, quali altri Paesi africani si integrano. I BRICS sono stati presentati come un’alternativa, vorrei sapere se i Paesi della vecchia Africa centrale francese si integrano ugualmente nella stessa visione di quelli che avete citato, per esempio il Mali, il Burkina Faso, il Senegal, il Costa d’Avorio, eccetera.

Nomozotsho Memani

Ho indicato la possibilità che circa 40 Paesi vorrebbero unirsi ai BRICS e ho detto che il continente africano, i Paesi africani, sono molto interessati ad unirsi ai BRICS e recentemente molti di questi, molti se non tutti, sono PVS, non hanno ricevuto nessun sostegno dal WTO e quindi ugualmente da istituzioni ONU.

Theresa El-Amin

Voglio semplicemente menzionare la risoluzione passata nel 33° Congresso di WILPF International nel luglio 2022, perché molte persone non hanno realizzato che siamo attualmente negli ultimi 18 mesi del decennio internazionale ONU per le persone di discendenza africana, che è iniziato il 1° gennaio 2013 e terminerà il 31 dicembre 2024 ed essere consapevoli che gli Africani chiedono la riparazione, compreso negli Stati Uniti, dove molte risoluzioni sono passate, città dopo città, per delle riparazioni. Molto c’è da fare per l’abitare, i prezzi per avere le case sono alti negli Stati Uniti ed è vero anche in altri Paesi. Così noi chiediamo risarcimenti da Paesi come la Francia e riparazioni estrattive per anni di produzione, avendo capacità e potere di rompere le catene della schiavitù con la Francia. E così stiamo arrivando, Donne per la Pace, ad essere consapevoli in Europa di sostenere questo periodo di lotta per il riconoscimento della giustizia e dello sviluppo in questo decennio per le persone di origine africana.

Patrizia Sterpetti

Ho una domanda per Khadijia Ryadi perché sono italiana e quindi legata al problema dell’immigrazione. La guerra NATO contro la Libia ha causato molti problemi ai rifugiati che attraversano questo Paese e sono veramente distrutti, arrivano in Italia in condizioni molto difficili ed è molto importante – a proposito dell’unità del Maghreb – unire i difensori dei diritti umani di questi uomini, donne e bambini e chiedo se sia possibile una grande organizzazione per difendere questi rifugiati.

Gnaka Lagoke Gervais

Sui BRICS in Africa: come sappiamo uno dei fattori più importanti è che i BRICS danno all’Africa quello che chiamo “il potere di scelta” e quindi noi sappiamo che le nuove colonie della Francia sono le ex colonie, è difficile per molti di questi Paesi esprimere apertamente il desiderio di raggiungere i BRICS ma Paesi come l’Algeria, l’Egitto, la Nigeria, lo Zimbabwe hanno già espresso il desiderio di unirsi ai BRICS. Nell’Africa francofona le cose si stanno un po’ muovendo: il Senegal è uno dei Paesi che ha dimostrato interesse ad unirsi ai BRICS e dopo si sono visti degli incontri tra i leaders alleati ai BRICS e alcuni Paesi francofoni come Senegal e Repubblica Centrafricana. Questa è l’informazione che posso condividere. Non è facile per i Paesi francofoni ma alcuni si stanno muovendo, il Senegal è uno di questi e la Repubblica Centrafricana è un altro. Hanno anche incontrato il presidente attuale del Burkina Faso, Ibrahim Traoré. Questo è quello che posso dirvi.

Khadija Ryadi

Effettivamente la guerra in Libia ha causato molte migrazioni sia dall’Africa subsahariana che dallo stesso Maghreb e i migranti vivono in campi, vi è traffico di esseri umani e noi abbiamo delle famiglie marocchine che hanno i loro parenti sequestrati in Libia e sono nate delle organizzazioni per farli tornare. Noi lavoriamo per il Marocco ma ovviamente c’è bisogno che tutta la Regione lavori su questo, perché riguarda tutti. Ci sono già delle reti, come quella euromediterranea per i diritti umani, sia si possono rendere più efficaci e cercare nuove iniziative con questa visione.

Pilar Quarzell

Sono di NO War Roma. In Italia abbiamo promosso un referendum, la gente chiede di votare contro il coinvolgimento del Governo italiano nella guerra in Ucraina e sta diventando praticamente un voto contro le armi nucleari. È possibile in Africa promuovere referendum nei quali la gente possa esprimere la propria opinione, non solo rispetto alla guerra in generale ma sulla minaccia nucleare?

Gnaka Lagoke Gervais

Quello che posso dire è che accolgo l’idea, è bella, ci deve essere una campagna, non si può fare da un momento all’altro, ma bisogna condividere l’idea con le persone che si oppongono alla presenza di AFRICOM o alla presenza militare europea in Africa e sottoporre l’idea a loro. Questo è il ruolo che posso svolgere, ci vuole più di una persona per fare questo.

Ernest Gibson Kpordotsi

Anch’io sono collegato a molti gruppi e organizzazioni, questo è possibile, bisogna solo fare delle deliberazioni per connettere più organizzazioni per rendere ciò possibile.

Theresa El-Amin

Molti Paesi in Europa permettono agli USA di mettere armi nucleari nei loro Paesi, nessun Paese in Africa permette armi nucleari, non ci sono potenze nucleari in Africa, solo il Sudafrica ha armi nucleari. La mia domanda è se ci siano armi nucleari in Africa e in quali Paesi.

Nomozotsho Memani

Primo: sulla questione se la gente può firmare un referendum e poi per quanto riguarda il metodo per raggiungere l’unità africana. Gli Africani possono parlare con le loro ONG e quindi assumere il metodo dell’unità africana e incontrarsi per informare i nostri governi, perché i nostri governi ci hanno promesso libertà, liberazione e rispetto per la dignità del popolo. E poi, sulla questione delle armi nucleari, quello che posso dire è che il Sudafrica non produce o dispensa armi nucleari, è lontano da ciò, ma posso cercare.

Gnaka Lagoke Gervais

Nessun Paese africano ospita armi nucleari per conto degli Europei; punto due: il Sudafrica non produce armi nucleari; tre: quando gli Afrikaans erano al potere in Sudafrica durante il tempo dell’apartheid, il Sudafrica era considerato produttore di armi nucleari, con l’aiuto di alcuni Paesi. Dopo la transizione, quando hanno saputo che i Neri si sarebbero impossessati del Sudafrica, vi fu la pressione da parte degli USA, con il crollo del regime dell’apartheid, a smantellare le bombe nucleari in Sudafrica e se volete vedere l’evidenza di quanto sto dicendo potete vedere il documentario chiamato “South Africa miracle raising” di un’ora e trentadue minuti su You tube. In questo video Hillary Clinton, ex Segretaria di Stato degli USA, ex First lady degli USA, ha detto che loro hanno premuto sul regime dell’apartheid per smantellare le armi nucleari in Sudafrica.

Ahmed Frassini, “Amir”

C’è il Trattato su African Free Zone del 2009[3] che bandisce la ricerca, lo sviluppo, la produzione, l’acquisizione, i test, lo stazionamento, il controllo di armi nucleari. L’Africa ne ha uno, il Sudamerica uno, il Kazakistan e il Caucaso centrale, eccetera, hanno firmato questi trattati, eliminando ogni possibilità di avere armi nucleari e armi di distruzione di massa. Questa è una cosa buona che si può pensare anche in Europa e renderla libera da armi nucleari. Si può esercitare pressione sui vostri Paesi, solo cinque Paesi ospitano armi nucleari in Europa.

Khadijia Ryadi

Mi scuso di riprendere la parola, è per rispondere alla domanda su cosa possiamo fare nei nostri Paesi sulla questione del referendum e sulle armi. In Marocco sia i partiti politici, sia il Parlamento, sia i giornalisti non osano criticare la politica sugli armamenti dello Stato. Il budget sugli armamenti è votato senza discussione e all’unanimità, tutti gli anni. Siamo solo noi, i difensori dei diritti umani, che critichiamo la concorrenza tra Marocco e Algeria per gli armamenti, come se fossimo in guerra. Il conflitto sul Sahara Occidentale è utilizzato per far tacere tutti su questa questione ma pensiamo che nella nostra rete magrebina sulla questione della NATO discuteremo prossimamente su come lavorare contro la NATO.

Nancy Price

Riguardo alla discussione sui BRICS, mi meraviglio se alcuni dei relatori hanno commentato il ruolo dei Cinesi sulla iniziativa come una risorsa per l’assistenza finanziaria e altri strumenti per lo sviluppo economico nei Paesi africani. E tuttavia io penso che in alcune situazioni la presenza dei Cinesi, l’iniziativa di entrare nel ruolo in Africa, è controversa. Vorrei sentire qualcosa in proposito.

Gnaka Lagoke Gervais

Ho sentito alcune critiche politiche cominciare sul fatto che l’impegno della Cina in Africa è un nuovo colonialismo ma la realtà è che anche se rispetto alle offerte commerciali o ai trattati offerti dalla Cina ad alcuni Paesi africani, sono controversi, dobbiamo riconoscere che la Cina ha costruito strade, ha realizzato in loco, ha degli aspetti positivi nello sviluppo delle infrastrutture in Africa. Per darvi un esempio, tra Gibuti ed Etiopia c’è una ferrovia veloce costruita dai Cinesi: billioni di dollari, hanno provveduto ai fondi. Chi voleva raggiungere in treno Gibuti dall’Etiopia impiegava sette giorni per raggiungere un punto dall’altro, in breve: con la strada costruita dai Cinesi la gente può andare da un punto all’altro in sole dieci ore. Questo è un esempio, potete andare online e fare una ricerca, queste sono cose concrete che impauriscono gli USA e l’Europa, invece di venire per progetti simili. La gente usa il tempo per dire che la Cina vuole colonizzare l’Africa, oggi la realtà è che gli Africani accolgono i BRICS perché hanno il potere di scelta. Dalla creazione dei BRICS molti Paesi africani o la maggior parte dei Paesi africani non avevano altra alternativa se non unirsi all’istituzione di Bretton Woods. Con l’emersione dei BRICS c’è ora un dibattito se gli Europei commercino presso gli Europei. Ho letto dei documenti di recente, prodotti dagli Affari Esteri, dove ho visto che alcuni Americani hanno suggerito agli Stati Uniti di venire con un’alternativa alla Bretton Woods cinese come iniziativa. Anche in Kenya hanno costruito una ferrovia veloce e la gente ha accolto questi progetti. Anche, come ho detto, se c’è un po’ di oscurità sulla trattativa commerciale, tuttavia le infrastrutture sembrano risollevare la vita degli Africani a Gibuti, Kenya ed Etiopia.

Margharete Mueller

La mia domanda è sulla guerra in Africa. Sono stata molti anni in Africa, per decenni, sono stata in Nigeria, Libia, Kenya, in Rwanda cinque anni fa e c’era un buon clima tra la gente. Attualmente in Africa ci sono molte guerre: la gente combatte contro i governi, i governi contro le popolazioni, o ci sono altre lotte contro la NATO o qualcosa di simile. Qualcuno può spiegarmi?

Gnaka Lagoke Gervais

La gente deve sapere, come detto dal principio, che c’è uno sforzo deliberato da parte dell’Occidente, da parte della leadership degli USA, a mantenere l’Africa sotto un nuovo giogo coloniale. C’è un libro scritto nel 2021 da una fantastica scrittrice, la dottoressa Susan Williams, intitolato: “White Malice” e il sottotitolo è: come la CIA ha cercato di ricolonizzare l’Africa. Se vi leggerete questo libro – ve ne sono molti altri ma questo è il principale, pubblicato due anni fa – vedrete come, quando i Paesi africani vogliono essere indipendenti, l’America, gli USA usano le loro alleanze, fanno di tutto con il pretesto della guerra fredda per andare contro Kwame Nkrumah, andare contro Patrice Lumumba, per infiltrare differenti aspetti in Africa per minare lo spirito dell’autodeterminazione in Africa. Certo, noi abbiamo dei nostri insuccessi in Africa: il tribalismo, molte popolazioni lottano per il potere, questo è vero, e sono parte e causa di conflitto in Africa, ma la gente non deve dimenticare che l’eredità europea ha reso impossibile lo spirito dell’autodeterminazione. La guerra in Ucraina: nessuno ha parlato di questo, abbiamo visto come Antony Blinken è andato in molti luoghi in Africa, specialmente in Sudafrica, a chiedere di denunciare la Russia, la leader degli Affari Esteri signora Grace Naledi Mandisa Pandor ha detto ad Antony Blinken: «La lotta per la giustizia non può essere discriminata, volete parlare di Ucraina, parliamo di Palestina!». Allora la gente deve sapere qual è la pressione dei leaders. Cosa viene fatto da questi a volte e qual è il trattamento verso i popoli africani.

Ernest Gibson Kpordotsi

La Cina è un Paese che commercia internazionalmente, che cerca di coinvolgere tutti i Paesi interessati nel business. Uso il Ghana come esempio, dove abbiamo ricevuto molti benefici dai Cinesi, dove hanno costruito strade, qualunque cosa, e fornito conoscenza per fare determinate cose nel Paese. Invece gli USA cercano di aiutarti ma cercano di usare un’altra via per portarti via qualcosa. Per esempio, pochi mesi fa gli Americani erano in Ghana per cercare di insediare una base militare, non solo per avere una base militare, fanno questo per portare i loro soldati in Ghana e avere mano libera per godere dei diritti più dei cittadini.    Fortunatamente c’è stata un’opposizione nel Parlamento in Ghana e anche poche settimane fa il vice-Presidente USA è stato in Ghana e in altre Nazioni africane per cercare di imporre che accettino questi LGBT+ e questa e altre questioni vanno avanti. Io sono contento del fatto che tante Nazioni africane adesso stanno prendendo la buona strada, a cominciare da Uganda, Kenya, altri che stanno cercando di rispettare le loro convinzioni. Vorrei solo suggerire alle Nazioni africane che stanno alzandosi per stare in piedi, di essere salde malgrado la situazione, che ci sono persone che vengono ad aiutarci e quelli che vengono ad aiutare sulla carta e a prendere, tuttavia – nonostante tutto – non dobbiamo perdere la nostra rotta.

Elsa Rassbach (German Drone Campain)

Voglio dare informazione proprio su questo, su qualcosa di cui non si è parlato: la situazione del Mali e la missione delle Nazioni Unite che includono droni, droni di sorvolo anche dai militari tedeschi e droni israeliani Air 1, non armabili. Il Mali ha smesso di permettere ai tedeschi di far sorvolare questi droni e la Germania stava pianificando di usare il Mali come il primo Paese a fare questo uso armato di droni israeliani NTP, con non si sa quali Paesi delle Nazioni Unite, ma avrebbe dovuto essere l’unica nazione dove avrebbe dovuto usarle. Il Mali è andato alle Nazioni Unite e ha detto che era una violazione dell’accordo sulla condivisione dell’informazione da parte di queste Nazioni ONU con il Governo del Mali che, certo, è accusato di collaborare con le brigate Wagner e altre forze controllate dalla Russia, ma in ogni caso hanno detto che questa è una violazione della sovranità del Mali e io sono d’accordo personalmente essendo un’americana che vive in Germania. Ma hanno anche detto alle Nazioni Unite: «Abbiamo accettato l’offerta della Cina per provvedere a tutti i droni da sorvolo in Mali, abbiamo più fiducia nella Cina piuttosto che delle Nazioni Unite e delle forze NATO che ora collaborano con le Nazioni Unite». Quindi questo è un esempio interessante di come vi sia competizione in Africa e quello che la Cina offre appare più affidabile di quello che dall’Occidente è stato offerto all’Africa.

Nomazotsho Memani

Sono d’accordo con quello che Gnaka ed Ernest hanno detto e poi penso: si lasci agli Africani risolvere i loro propri problemi, sappiamo che le divisioni sono anche quello che il colonialismo bianco ha fatto agli Africani e gli Africani adesso sono stanchi, vogliono risolvere i loro problemi. Non sta agli Americani di parlarci della Cina, noi abbiamo un’esperienza: la Cina commercia con l’America e la Cina commercia in Africa, e noi non interferiamo, vogliamo avere la nostra liberazione per decidere noi stessi. Noi siamo le vittime del colonialismo e i nostri Paesi, le nostre infrastrutture, sono state dilapidate perché le società angloamericane sono venute e hanno preso i nostri minerali e questi minerali li hanno messi da qualche parte e questi minerali sono africani. Quando una persona viene e pone la domanda se la Cina sia sicura, rende gli Africani molto arrabbiati perché siamo stati abusati da questi Paesi sviluppati o oppressi da questi Paesi sviluppati e il Sudafrica è stato fra questi, perché noi siamo entrati nell’apartheid a causa del colonialismo, quindi sono d’accordo con quello che hanno detto.

Theresa El- Amin

George (Friday) ed io siamo d’accordo ad incontrarci il 14 luglio come gruppo di lavoro africano, come prossimo passo, per parlare di cosa possiamo fare insieme in questi ultimi diciotto mesi del decennio delle Nazioni Unite dedicato alle persone di discendenza africana e inoltre lavorare su quello che possiamo fare nella lotta panafricana per il progresso e lo sviluppo, supportate dalle Donne Globali per la Pace Unite contro la NATO, per organizzare questo gruppo di lavoro sull’Africa.

La registrazione del Seminario è stata messa liberamente a disposizione dall’Associazione Vrede Belgium per la diffusione. Le riprese sono di Jean Pierre Goossens.

[1] Una miniera viene dismessa nel momento in cui le riserve auree si trovano ormai in posizioni che ne rendono l’estrazione scomoda, pericolosa e costosa, ma chi ha perso il proprio lavoro è disposto a proseguire in autonomia la ricerca, rischiando la propria vita come minatore illegale

[2] Si riferisce alla fuoriuscita di gas nella baraccopoli chiamata “Angelo informal settlement Boksburg”.

[3] Il trattato di zona franca delle armi nucleari africane, noto come il Trattato di Pelindaba, istituisce una zona libera da armi nucleari in Africa. Il trattato è stato firmato nel 1996 ed è entrato in vigore con la 28° ratifica il 15 luglio 2009.

 

* traduzione di Riccardo Venturi

I TEMPI STANNO CAMBIANDO

Venite intorno gente
dovunque voi vagate
ed ammettete che le acque
attorno a voi stanno crescendo
ed accettate che presto
sarete inzuppati fino all’osso.
E se il tempo per voi
rappresenta qualcosa
fareste meglio ad incominciare a nuotare
o affonderete come pietre
perché i tempi stanno cambiando.

Venite scrittori e critici
che profetizzate con le vostre penne
e tenete gli occhi ben aperti
l’occasione non tornerà
e non parlate troppo presto
perché la ruota sta ancora girando
e non c’è nessuno che può dire
chi sarà scelto.
Perché il perdente adesso
sarà il vincente di domani
perché i tempi stanno cambiando.

Venite senatori, membri del congresso
per favore date importanza alla chiamata
e non rimanete sulla porta
non bloccate l’atrio
perché quello che si ferirà
sarà colui che ha cercato di impedire l’entrata
c’è una battaglia fuori
e sta infuriando.
Presto scuoterà le vostre finestre
e farà tremare i vostri muri
perché i tempi stanno cambiando.

Venite madri e padri
da ogni parte del Paese
e non criticate
quello che non potete capire
i vostri figli e le vostre figlie
sono al dì la dei vostri comandi
la vostra vecchia strada
sta rapidamente invecchiando.
Per favore andate via dalla nuova
se non potete dare una mano
perché i tempi stanno cambiando.

La linea è tracciata
La maledizione è lanciata
Il più lento adesso
Sarà il più veloce poi
Ed il presente adesso
Sarà il passato poi
L’ordine sta rapidamente
scomparendo.
Ed il primo ora
Sarà l’ultimo poi
Perché i tempi stanno cambiando.

da qui

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