Jack (Vance) e l’eternità

di Fabrizio Melodia

Immortalità e altre quisquilie con un caffè macchiato freddo: leggendo il romanzo «Gli amaranto» e divagando sulla vita “eterna”.

Passeggiare aiuta molto, soprattutto il buonumore, e alimenta quel senso di apparente libertà in un mondo dove lo “star bene” pare ormai essere appannaggio solo di privilegiati.

La libertà è uno stato sociale, prima di tutto di fare questo o quello. Spesso “loro” ti considerano talmente poco intelligente da sentirsi in dovere di dirti cosa è meglio o meno per te. Si chiama pubblicità e tu, inconsapevole, sei la carne da cannone del marketing. La libertà consiste nello scegliere cosa comprerai oggi, come spenderai il denaro guadagnato con molta fatica, anche se tu magari hai voglia di risparmiare. 

Non si fa, altrimenti come gira l’economia? C’è la palestra per avere sempre un corpo perfetto. C’è la farmacia: se non ti curi come mandiamo avanti la baracca? C’è anche il chirurgo estetico: se non hai un corpo di plastica all’ultimo grido non esisti. Ah sì, dimenticavo: ordina su Glovo, poco importa se i lavoratori sono pagati quasi zero, non sei tu a pedalare sotto la pioggia. Poi ci sono le vacanze, programma ogni cosa altrimenti lo faranno Loro per te. Loro sanno sempre tutto, qualcuno vocifera che siamo spiati dai satelliti e dai social, ma … tanto non sai più distinguere una fake new dal verosimile o da una notizia basata su dati certi.

Se passeggiando senza una meta precisa, arrivi in qualche bella edicola sopravvissuta potrebbe apparirti – ancora per qualche giorno – la riedizione di un vecchio romanzo di “fantascienza” con la copertina molto rossa, il numero 264 di Urania Collezione. Il titolo trasmette sangue e passione, «Gli amaranto».

Io l’ho visto e preso. L’ autore già lo conosco, il buon Jack Vance, celebre per la sua capacità di creare mondi futuri: come il Ciclo della Terra Morente e il Ciclo degli Tschai o la Trilogia di Durdane. Anche il prezzo è interessante, 7 euri e 90 centesimi. Lo prendo e mi metto a leggerlo per strada, sulla via del ritorno, scansando auto ferme sui marciapiedi e biciclette sportive. Lo finisco in pochi giorni. Ne rimango talmente sconvolto che vorrei condividere alcune scottanti considerazioni con voi e sapere cosa ne pensate. 

L’immortalità dell’anima nella fantascienza: un viaggio con Jack Vance e «Gli amaranto».

La fantascienza da sempre esplora grandi domande esistenziali. Fra queste, l’immortalità (dell’anima o di una “scintilla”) è uno dei temi più affascinanti: scienza e spiritualità si incontrano per scrutare i limiti del vivere e perire. «Gli amaranto» (To Live Forever, 1956) di Vance è una pietra miliare.

L’immortalità come privilegio sociale

Nel romanzo, Vance ci trasporta in un futuro in cui l’immortalità è stata raggiunta, ma non è “un bene comune”. È conquista esclusiva per pochi eletti, regolata da un rigido sistema meritocratico e classista. Solo chi dimostra un eccezionale contributo a un presunto “bene collettivo” può aspirare alla “rinascita” eterna.

Attraverso questa premessa, il romanzo esplora l’etica della selezione, il valore intrinseco della vita umana e il costo psicologico di un’esistenza perpetua.

L’anima fra scienza e spiritualità

Mentre in molte opere di fantascienza l’immortalità è legata alla tecnologia – pensiamo al trasferimento della mente in corpi artificiali o a reti digitali in «Altered Carbon» di Richard K. Morgan – Vance propone una rinascita che non è solo un processo fisico, ma richiede anche una profonda revisione dell’individuo, quasi un percorso spirituale.

L’immortalità del corpo implica quella dell’anima? «Gli amaranto» sembra suggerire che l’animuccia – o meglio l’identità personale – possa trasformarsi e adattarsi, pur non immune alle distorsioni dell’ eternità.

L’immortalità come distopia

Con il suo stile raffinato e ironico, Vance ci mostra il lato oscuro del vivere “per sempre”. La brama di eternità corrompe e aliena, trasformando l’umanità in un sistema gerarchico oppressivo. La vita “eterna” diventa una prigione più che una benedizione senza la morte come contrappunto “naturale”?

Da Asimov a Robinson

Il tema dell’immortalità attraversa l’intera storia della fantascienza, dai robot di Isaac Asimov alla fusione tra uomo e macchina di Philip K. Dick . E oltre. Tuttavia l’invito-quesito di Vance resta particolarmente “gustoso” anche letterariamente.  Qual è il vero prezzo dell’immortalità? Vale la pena pagarlo? 

«I figli di Matusalemme» e «Tempo abbastanza per amare»

Robert Heinlein affronta l’immortalità biologica attraverso la narrazione della “lunga Vita” dei membri della famiglia Howard, geneticamente predisposti a una vita straordinariamente lunga. In «I figli di Matusalemme» e «Tempo abbastanza per amare», l’immortalità diventa sia una benedizione che un peso: i protagonisti si trovano a fare i conti con l’invidia dei mortali, l’alienazione e il bisogno di trovare un senso in un’esistenza senza fine.

Peter F. Hamilton e «La trilogia del Commonwealth»

Il rinnovo biologico e il trasferimento della coscienza in altri corpi caratterizzano la «Trilogia del Commonwealth». Il potere si concentra nelle mani di una classe immortale, mentre il progresso culturale e individuale sembra stagnare. Hamilton mette in discussione l’idea che l’immortalità possa essere la soluzione definitiva alle paure umane, mostrando invece come possa amplificare disuguaglianze e conflitti.

La distopia di «Altered Carbon»

Richard K. Morgan con la saga di «Altered Carbon» propone la digitalizzazione della coscienza in “pile corticali”. Il corpo diventa un semplice contenitore intercambiabile, e l’anima – se così possiamo chiamarla – si riduce a un insieme di dati trasferibili. Morgan esplora le conseguenze di una tale tecnologia: l’umanità perde il suo senso di finitezza. Ovviamente i ricchi diventano praticamente dèi immortali, mentre i poveri restano intrappolati in cicli di sfruttamento.

«La casa dei soli»

Alastar Reynolds ci trasporta in un futuro remoto: l’immortalità è raggiunta attraverso il rallentamento del metabolismo e la manipolazione genetica. La narrazione si concentra sull’impatto psicologico e relazionale. Gli immortali, distanziati nel tempo e nello spazio, sperimentano un’esistenza caratterizzata da isolamento e incomprensione. Vivere “troppo” piuttosto che avvicinare gli individui, li allontana, trasformandoli in alienati.

«Scarti immortali»

Nel romanzo di Alessandro Montoro l’immortalità è stata raggiunta, ma a caro prezzo: i corpi sono “scarti” di un sistema disumano. Con uno stile crudo e realistico, Montoro mette in discussione la nozione stessa di anima, chiedendosi se una vita eterna possa ancora essere definita umana.

Robinson: non Crusoe ma KSM

La Trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson esplora la vita “senza limiti temporali” attraverso il prisma della terraformazione e del progresso scientifico. Gli abitanti di Marte, grazie a trattamenti genetici avanzati, possono vivere per secoli, Longevità non significa assenza di problemi. L’autore esamina le identità incerte, suggerendo che il significato della vita risieda nella capacità di cambiare e adattarsi, piuttosto che nell’estensione della propria esistenza.

«La caduta all’inferno»

Neal Stephenson affronta il concetto di immortalità digitale: le anime dei defunti vengono “caricate” in un mondo virtuale. Questo regno artificiale diventa una prigione dorata, una distorsione dell’aldilà tradizionale. Stephenson esplora il confine tra anima e dati, chiedendosi se la coscienza umana possa davvero sopravvivere al di là della carne.

«Eternità perduta»

Un passo indietro per tornare al “grande vecchio” Clifford Simak, più poeta che scienziato (rispetto al coetaneo simov). Anche in «Eternità perduta», Simak adotta un approccio più filosofico, concentrandosi sul desiderio umano di immortalità e sulle sue conseguenze spirituali. Davvero il ciclo di vita e morte non si può spezzare senza fare danni alla nostra essenza?

Isaac, Frederic e «Matrioska Brain»

Cosa significa e cosa implica il concetto di singolarità tecnologica? Un punto in cui l’intelligenza artificiale supera quella umana, portando a cambiamenti imprevedibili. 

Questo scenario è stato esplorato da Isaac Asimov nel racconto «L’ultima domanda» (e altrove) dove un supercomputer evolve fino a diventare un’entità onnipotente, immortale e con conoscenza infinita. Siamo dalle parti del “vecchio” dio.

Un “metafisico aggiornato” è Frederic Brown, in uno dei suoi racconti più brevi e fulminanti, «La risposta». La domanda delle domande per l’uomo è sempre stata: esiste Dio? La risposta di un super-calcolatore, creato dall’uomo stesso, è netta e precisa. Adesso sì…

Seguendo le tracce di Asimov e da Brown, ariva Matrioska Brain, una struttura ipotetica che circonda una stella per catturarne tutta l’energia, utilizzandola per alimentare una Super Intelligenza. Immortalità tecnologica, creando simulazioni di realtà dove le coscienze umane potrebbero essere “ricaricate”.

Tale ipotesi fu teorizzata anche da Freeman J. Dyson, noto astrofisico della Cambridge University, in un articolo del 1959 uscito sulla rivista «Science», teorizzando che società tecnologicamente avanzate potrebbero circondare completamente la propria stella per catturare l’energia emessa. In origine, l’idea non prevedeva la costruzione di una sfera rigida, ma «collettori posizionati intorno a tutta la stella, con strutture orbitanti indipendenti, oltre 10.000 oggetti distribuiti lungo uno spessore radiale di un milione di chilometri: una struttura rigida e spessa verrebbe immediatamente risucchiata dalla forza di gravità della stella. Questi “cervelli” dovrebbero avere una durata simile a quella delle stelle che li alimentano, quindi fino a 10 alla quattordicesima anni per le stelle più piccole» scrisse Dyson.

Astrofilosofie?

Dalla sfera di Dyson saltiamo a Platone, Kant e soci filosofi. Se nella fantascienza l’immortalità è legata a scenari tecnologici, nella filosofia rappresenta la dimensione metafisica e spirituale, che interroga la continuità dell’essere.

Platone, nei suoi dialoghi – come Fedone e La Repubblica – sostiene che l’anima è immortale perché appartiene al mondo delle idee, una realtà eterna e immutabile: l’anima pre-esiste al corpo e sopravvive alla sua morte, tornando al regno delle idee dopo un periodo di incarnazione. Questo concetto ha trovato un parallelo nella fantascienza come nel citato «Altered Carbon» di Richard Morgan: la platonica “matrice delle idee” diventa un server o una rete informatica globale.

Aristotele invece concepì l’anima come il principio vitale del corpo, intrinsecamente legata alla materia. Per lui, l’immortalità dell’anima non è universale: solo una parte di essa – l’intelletto (nous) – potrebbe essere eterna. Siamo dalle parti di KSM (il citato Kim Stanley Robinson) nella Trilogia marziana: il legame tra l’essere umano e la vita eterna è mediato da tecnobiologie, suggerendo che l’estensione della vita richiede un’interazione tra fisicità e intelligenza superiore.

Con Cartesio, il dualismo anima/corpo assume una forma più netta: l’anima è una sostanza pensante, distinta dalla materia. Questa visione torna nei racconti di Neal Stephenson («La caduta all’inferno»): la coscienza digitale continua a esistere indipendentemente dal corpo fisico. Ma cosa rimane del “sé”?

Immanuel Kant inserisce l’immortalità dell’anima nel contesto della morale. Una necessità postulata dalla ragione pratica: solo in un’esistenza eterna l’anima può perseguire la perfezione morale. Questo concetto trova una risonanza nella fantascienza come nel citato «Scarti immortali» di Montoro, con il mescolarsi di vita eterna tecnologica, distorsione morale in nome di efficienza e profitto, senza morale.

Astro-religioni?

L’immortalità dell’anima è parte del disegno divino. Le religioni organizzate ne fanno un dogna, la fantascienza prova a suggerire una trascendenza tecnologica in chiave secolare o simbolica, Il concetto di “Matrioska Brain” riflette appunto quell’approccio: un’aldilà eterno ma senza un Dio/dio, sostituito dall’intelligenza artificiale. L’immortalità non è un fine ultimo ma un esperimento, con esiti incerti o addirittura distopici. 

Le domande restano aperte: cosa definisce l’identità personale? Qual è il valore di una vita finita? Che accade quando la morte non è più una certezza? Dove situiamo il limite per esplorare ciò che significa umanità?

Il vecchio Vance ci ha fatto fare un bel “giro”. E voi cosa ne pensate? Fatemelo sapere, magari nei commenti.

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

3 commenti

  • Caro Fabrizio, o Caro dr. Melodia (a scelta),

    un articolo ricco di spunti di riflessione, di piacevole lettura e intelligente.
    Più che un commento vero e proprio suggerirei di integrarlo con i meravigliosi:

    – “Tutti gli uomini sono mortali”, di Simone de Beauvoir (1946)
    – in “L’Aleph” “L’Immortale”, di Jorge Luis Borges ((1949)

    Un caro saluto
    aldo

    • Fabrizio Melodia

      Ehm grazie per il “dottore”, Fabry è perfetto. E ti ringrazio, entrambi sono assai amati dal sottoscritto, sia Simone che il venerabile Jorge.
      Direi che un accenno d’ integrazione come tu suggerisci potrebbe essere messo nel modo seguente, anche se magari potrebbe essere lo spunto per una trattazione più allargata dell’ immortalità. Ecco qui:

      “Tutti gli uomini sono mortali” – Simone de Beauvoir (1946)

      Il romanzo racconta la storia di Raimondo Fosca, un uomo che, nel Trecento, ha ottenuto l’immortalità bevendo un elisir. Nel presente, egli incontra Régine, un’attrice ambiziosa che sogna la gloria e spera di trovare in Fosca un amore eterno. Tuttavia, attraverso il racconto della sua lunghissima esistenza, Fosca dimostra come l’immortalità sia una condanna: ha vissuto secoli di guerre, rivoluzioni e progressi senza trovare un senso alla vita. La noia e l’incapacità di cambiare realmente il mondo lo hanno reso apatico. Alla fine, Régine comprende che l’immortalità non è un dono, ma una condanna all’apatia e alla perdita di significato.

      “L’Immortale” – Jorge Luis Borges (1949, in “L’Aleph”)

      Il racconto è scritto come un manoscritto scoperto nel 1929, che narra l’avventura di un soldato romano, Marco Flaminio Rufo. Dopo aver sentito parlare di un fiume che dona l’immortalità, egli lo trova e lo attraversa, scoprendo un mondo in cui gli esseri immortali (i Trogloditi) hanno perso ogni interesse per la vita, ridotti a un’esistenza monotona e priva di scopo. Rufo si rende conto che l’immortalità porta alla perdita dell’identità e del desiderio. Anni dopo, scopre un altro fiume che gli restituisce la mortalità, permettendogli di tornare a vivere davvero. Borges riflette così sull’assurdità dell’eternità e sull’importanza della finitezza per dare senso alla vita.

      Non essendo strettamente “fantascienza”, ammetto di aver rispettato i paletti più che la piacevole divagazione. Il tuo spunto merita un approfondimento divagante e vagante come piace a un filosofo che passeggia

  • Pierluigi Pedretti

    Mamma mia! Jack Vance un grande. Avevo perso un vecchio Gli amaranto. Me lo sono ritrovato nella mia edicola e l’ho divorato. Grazie a te, Melodia (nomen omen), per il bellissimo articolo/recensione/saggio.

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