Miti e misfatti dell’attuale crisi energetica

di Giorgio Ferrari

Con la distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 (avvenuta lo scorso 26 settembre), L’Europa ha tagliato i ponti dietro se stessa. Quale nazione, tra quelle aderenti alla Nato, l’abbia materialmente portata a termine -giunti a questo punto del conflitto in corso – potrebbe risultare secondario, visto che nessun paese europeo se l’è sentita di smentire la versione mass-mediatica che ne è stata fornita: quella di un auto sabotaggio russo. Che sia stato impossibile per i russi sabotare i propri gasdotti (a parte l’evidente mancanza di tornaconto), lo dimostrano – oltre ogni ragionevole dubbio – le mappe numero 1 e 2 sopra riportate, facenti parte della valutazione di impatto ambientale sul gasdotto Nord Stream 2, commissionata nel 2018 dalla Agenzia Danese per l’energia.1 Nella Mappa n. 1 sono evidenziati i punti delle esplosioni che ricadono in un’area classificata dal Governo danese come “zona di tiro” per esercitazioni militari (tratteggiata in rosso nella Mappa n. 2), peraltro confinante con una vasta zona (tratteggiata in nero) riservata alle manovre dei sottomarini, zone in cui lo scorso luglio si svolse una esercitazione navale della Nato.2

Oskar La Fontaine, in una recente intervista, ha lasciato intendere chiaramente che l’attentato – di cui a Berlino si sa tutto – non può essere avvenuto senza il consenso di Washington e che si tratta di un atto di guerra contro la Germania. La Fontaine ha militato nella sinistra ma, da buon tedesco, mette al primo posto le sorti della Germania invece che quelle della popolazione civile europea che, come scrissi a suo tempo3, è la vittima reale di questi attentati i cui effetti si stanno delineando assai più gravi di quanto si lasci intendere all’opinione pubblica.

Propaganda vs termodinamica

La propaganda ha riguardato due aspetti principali: il primo relativo agli stoccaggi di gas che, è stato assicurato, hanno raggiunto in molti paesi europei il 90%. A parte il fatto che non tutti i paesi europei possiedono siti di stoccaggio, ma a quale volume è riferito questo 90%? Concretamente la capacità totale di stoccaggio europea si aggira sui 90-95 mld di metri cubi (limite dovuto a ragioni fisiche) a fronte di un consumo annuale di oltre 550 mld di metri cubi per cui, pur considerando gli apporti dei gasdotti “altri” (non russi), resta comunque un deficit strutturale che deve essere colmato in qualche modo. In pratica, esclusa la Norvegia -che esporta gas in Europa, ma non fa parte della Unione Europea (UE) – tutti i paesi sono a rischio.

L’altro aspetto è consistito nell’assicurare l’opinione pubblica che, attraverso la rete dei gasdotti “altri” e ricorrendo all’importazione di Gas Naturale Liquefatto (GNL), si era in grado di fare a meno del gas russo. I gasdotti altri sono quelli provenienti da Norvegia, Algeria, Libia e Azerbaigian (attraverso il TAP); cassata la Libia (per ovvi motivi di inaffidabilità) tutti gli altri gasdotti operano già al limite della capacità e gli accordi presi in sede UE o dall’ex Presidente del consiglio Draghi, rappresentano dei pannicelli caldi in quanto il limite nella fornitura di gas via gasdotto è rappresentato dal gasdotto stesso. Detto in parole semplici la quantità massima di gas che può passare attraverso un tubo è influenzata dalle caratteristiche del gas (temperatura e pressione) ma è decisamente ancorata alla sezione del tubo e alle caratteristiche della stazione di pompaggio: si può aumentare un poco la portata agendo sulla pressione, ma più di tanto non si può e, non a caso, gli accordi presi prevedono 10-15 miliardi in più dalla Norvegia (verso l’Europa, ma non per l’Italia); 5 miliardi di mc in più dall’Algeria verso l’Italia, ma non prima di due anni; 2 miliardi di mc in più dal TAP non prima del 2027, previo potenziamento del sistema di pompaggio.

Propaganda vs fattibilità

Resta la carta del GNL il cui limite operativo non dipende da fattori tecnologici, ma dalle infrastrutture che sono rappresentate dal numero di navi gasiere disponibili sul mercato e dai terminali di liquefazione (in partenza) e di rigassificazione (in arrivo). Negli Usa (principale esportatore di GNL in Europa) si stanno realizzando enormi investimenti per raddoppiare i “treni”4di produzione che già ora consentono di esportare 95 miliardi di mc di GNL in tutto il mondo, attraverso sette terminali di cui quattro situati nel Golfo del Messico, due sulla costa atlantica e uno in Alaska a cui però non fa riscontro un altrettanto sviluppo dei terminali di ricezione sulle coste europee.

Di qui la corsa frenetica ai rigassificatori galleggianti che vede in prima linea paesi come Germania (3-5 navi da collocare sulle coste del mare del Nord); Francia (2 navi da collocare sulla costa atlantica + un gasdotto sottomarino tra il terminale spagnolo di Barcellona e quello di Fos in Francia); Italia almeno tre nuovi terminali di cui uno già stabilito d’autorità dal governo Draghi nel porto di Piombino: una decisione scellerata e tecnicamente al limite di ogni criterio di sicurezza e funzionalità.

Oltre a questo collo di bottiglia c’è da mettere in conto la questione del trasporto del GNL che richiede uno specifico tipo di navi (gasiere o LNG carriers) in numero decisamente crescente: per rifornire l’Europa della stessa quantità di gas erogato attraverso il Nord Stream 1 (55 mld di mcubi/anno) occorrerebbero tra le 600-650 carriers su una flotta mondiale di poco superiore alle 900 unità.

La lotteria del buio (per non parlare del freddo)

L’esportazione di GNL negli ultimi dieci anni è più che raddoppiata specie nei confronti dei paesi asiatici (Cina, Giappone e Corea del sud da sole assommano al 54% di tutte le importazioni) facendo registrare un corrispondente aumento nel prezzo del GNL. Con l’aumento delle importazioni verso l’Europa però, il prezzo è ulteriormente salito mettendo a rischio l’economia di paesi meno sviluppati che sono stati costretti a ridurre i consumi di gas fino a stabilire dei black-out programmati come è successo per il Bangladesh (130 milioni di abitanti) che non è collegato a gasdotti.5 Ma una sorte analoga si prospetta anche per molti paesi della ricca e sviluppata Europa che hanno riposto la loro fiducia ne nucleare, ritenendo con ciò di essersi messi al riparo da eventuali black out legati alla “crisi” del gas.

E’ di questi giorni l’annuncio del primo ministro francese6 di possibili interruzioni programmate del servizio elettrico a partire dal gennaio 2023, causa l’indisponibilità delle centrali nucleari (22 centrali su 56) dovuta principalmente a difetti di corrosione riscontrati nelle tubazioni degli scambiatori di calore. La Francia, da paese esportatore di energia, è diventato importatore: da circa sei mesi infatti importa sistematicamente tra i 12.000 e 14.000 Mw di potenza elettrica al giorno di cui 1200 circa dall’Italia, sfatando così l’altro falso mito (che ho sempre denunciato come tale) che l’importazione di energia dalla Francia all’Italia fosse dovuto a insufficiente capacità di generazione del nostro sistema elettrico.

Stessa situazione in Finlandia7 che, a causa della messa fuori servizio della centrale nucleare di Olkiluoto 3 per seri problemi alle pompe di circolazione (era entrata in funzione pochi mesi fa, dopo un’attesa di 10 anni), si prepara a razionare l’energia elettrica.

Anche il primo ministro svedese ha annunciato provvedimenti analoghi a causa della indisponibilità di tre delle sei centrali nucleari oggi in funzione, suscitando lo sconcerto dei suoi concittadini abituati a standard di consumo elettrico pro capite fra i più alti al mondo.8

Crolla così il mito dell’indipendenza e dell’affidabilità del nucleare, ma non per questo paesi come la Germania e l’Italia (che di nucleare ne hanno poco o niente) possono ritenersi fuori dal rischio black out, a meno di ricorrere a carbone e lignite come del resto già fanno Germania, Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania.

L’etica del gas e quella dei cannoni

Quando si pose, all’indomani dell’invasione russa dell’Ukraina, l’interrogativo etico di quale atteggiamento assumere di fronte a questa guerra, i governanti europei non ebbero dubbi e così, attraverso la Commissione europea, vararono un elenco di divieti import/export, da e per la Russia, pressoché illimitato (dalle lozioni per capelli, alle apparecchiature elettroniche). Ma nel redigere quelle sanzioni, la loro coscienza non si è ispirata – a differenza di quella di Kant – ne al cielo stellato, né alla legge morale che sarebbe dovuta albergare in loro, tant’è vero che lasciarono fuori dall’elenco materie prime energetiche come l’uranio, il petrolio e il gas che seguitarono ad essere importati dalla Russia.

Accortisi di questa falla, i leader europei hanno tentato di porvi riparo stabilendo un tetto alle importazioni di gas e petrolio dalla Russia, ma dato che la “mano invisibile del mercato” è più potente di qualsiasi motivazione etica, non ci sono riusciti e quindi, pur di salvarsi la faccia hanno promosso una campagna in favore delle importazioni di GNL perché, dissero, non sarebbe stato etico seguitare a comprare il gas russo fornendo a Putin i soldi per alimentare la sua guerra.

A parte il fatto che, tutt’ora, 42 milioni di mc al giorno di gas transitano dalla Russia all’Europa, via Ukraina, bisogna mettere in conto che questa decisione ha fatto triplicare le importazioni di gas dagli Stati Uniti con un forte aggravio economico per i cittadini europei a cui è corrisposto un enorme profitto per le multinazionali statunitensi che ci vendono il “gas della libertà”9 ad un prezzo 4-5 volte superiore a quello russo.

Le chiamano “dolorose” sanzioni (dolorose per noi cittadini europei) questi leader, aggiungendo però che questo è il prezzo da pagare per impedire a Putin di seguitare la guerra, ma si tratta di un inganno perchè se si considera che sui profitti generati dalle esportazioni di gas USA verso l’Europa, gravano 80-90 milioni di dollari al giorno di tasse federali con cui il governo USA ripaga, in larga misura, il costo delle armi che invia all’Ukraina, vuol dire che noi europei continuiamo a finanziare la guerra, e più gas compriamo dagli USA, più la prolunghiamo.

Ponete fine a questa guerra e ridateci il gas russo

Ogni giorno che passa lo scontro in corso tra Est e Ovest, di cui la guerra in Ukraina è parte integrante, si palesa sempre di più come guerra per l’accaparramento di materie prime strategiche che servono all’occidente per realizzare la transizione energetica e la IV rivoluzione industriale. Nelle more di questa transizione, la funzione del gas – comunque la si pensi in proposito – è divenuta esiziale per l’Europa, in quanto ritenuta la fonte più versatile, economicamente più conveniente e ambientalmente meno impattante (rispetto a carbone e petrolio) per accompagnare nel breve periodo, l’avvento delle energie rinnovabili da qui al 2050. Questo scenario è stato sconvolto dagli interessi di paesi come Australia, Qatar e Stati Uniti che negli ultimi anni sono diventati i maggiori esportatori di GNL al mondo, con l’obiettivo comune di ridisegnare la mappa del mercato mondiale del gas a cominciare da quella europea. Prova ne sia che l’aumento più consistente del prezzo del gas naturale a livello internazionale si è verificato nel 2021 con punte del 600% (vale a dire prima dell’inizio della guerra), proprio a causa dell’aumento della domanda (e del prezzo) del GNL.

Nel nuovo scenario che si va delineando, gli Usa – che fino al 2016 importavano gas – hanno ipotecato il futuro economico e politico dell’Europa esportandovi gas, con due scopi principali: colpire gli interessi economici della Russia (nel 2015 iniziano le sanzioni contro la Russia per ostacolare il progetto Nord Stream 2); condizionare la politica europea, anche attraverso l’operato della Nato.

E’ uno scenario di pura follia per l’Europa che, da qualunque punto di vista lo si esamini, porta a conseguenze disastrose anche e soprattutto per chi ha a cuore le sorti della pace e dell’ambiente. Le prime essendo sotto ricatto della “falsa libertà” (come la chiamava Lu Hsün) rappresentata dalla Nato, le altre perché la “guerra del gas” è comunque un ostacolo alla transizione, dato che i costi complessivi del GNL (basti pensare agli investimenti necessari per la rigassificazione) sono talmente più alti di quelli del gas trasportato via tubo, da mettere in discussione gli investimenti nelle rinnovabili (già di per sè insufficienti) o comunque di ritardarli, senza contare poi che il GNL è significativamente più inquinante del gas trasportato via tubo e ancora di più se il gasdotto è sottomarino -come il Nord Stream – che non ha stazioni di pompaggio intermedie.

Quanto ai costi economici di questo passaggio epocale da “tubo a nave”, tutte le previsioni indicano che l’aumento del prezzo del gas è irreversibile,10 con ricadute sul costo della vita di milioni e milioni di cittadini europei decisamente insostenibili, cosa che non tocca minimamente l’atteggiamento dei leader europei, prima fra tutti la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, che nel discorso tenuto il 14 dicembre scorso al Parlamento europeo ha tenuto a precisare che: “ L’economicità della fornitura di energia da parte della Russia faceva parte del modello di business di molte industrie europee. Quel modello è stato infranto dall’attacco della Russia all’Ucraina. E la scomoda verità è che quel modello non tornerà.” E’ la versione paneuropea di ciò che Draghi, con tutta la tracotanza di cui è capace un banchiere, disse agli italiani “Volete la pace o i condizionatori accesi”, come non si sapesse che il condizionatore, ammesso che ce l’abbiano tutti, resterebbe comunque acceso per chi si può permettere di pagare il prezzo di una scelta -quella del GNL – che, come s’è visto, alimenta la guerra e ha dei costi insopportabili per quei mortali che non vivono di “business”, ma di salari, pensioni o di precarietà.

NOTE

4 Per treno di un impianto di produzione GNL si intendo tre operazioni sequenziali: trattamento del gas (purificazione); compressione; refrigerazione. Data la possibilità che durante queste operazioni possano divampare incendi o prodursi scoppi, si usa mettere in parallelo al primo un secondo treno di compressori.

9 Nel maggio del 2019 il presidente Trump autorizzò il Dipartimento dell’energia americano a lanciare una campagna di promozione internazionale dello shale gas (fracking) chiamandolo “freedom gas”. Nel luglio dello stesso anno, il segretario all’energia Rick Perry, durante una conferenza stampa tenuta a Bruxelles, disse: Gli Stati Uniti stanno nuovamente offrendo una forma di libertà al continente europeo, ma invece che sotto forma di giovani soldati americani, è sotto forma di gas naturale liquefatto” https://www.energy.gov/articles/department-energy-authorizes-additional-lng-exports-freeport-lng

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