America Latina: il Plan Cóndor sotto processo

di David Lifodi  (*)

Un documento desecretato della Cia, datato 23 giugno 1976, rivela che nei primi mesi del 1974, agenti della sicurezza ed emissari delle dittature militari del Cono Sur (Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Bolivia), si riunirono a Buenos Aires per preparare azioni coordinate contro “obiettivi sovversivi”: era l’inizio del Plan Cóndor, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti, che approvavano la pulizia nel loro cortile di casa. Più tardi avrebbero partecipato al piano di sterminio anche Brasile, Ecuador e Perù. Il 5 marzo scorso, sempre a Buenos Aires (nel tribunale federale situato nel quartiere di Retiro), si è aperto il processo contro venticinque ex-militari che hanno dato impulso al Plan Cóndor in tutto il continente latinoamericano. Si tratta di un avvenimento di portata storica: finora, soprattutto in Argentina, erano stati processati alcuni responsabili per casi specifici, ma è la prima volta che gli ideatori del Plan Cóndor vengono sottoposti a giudizio.

“Tutti i paesi sono legati da trattati di carattere diplomatico”, spiegano Pablo Ouviña e Mercedes Moguilansky,  i giudici incaricati di rappresentare le ragioni dell’accusa in giudizio, “ma ciò che caratterizzò il Plan Condor fu approfittare delle relazioni tra gli stati per sequestrare le persone e chiedere informazioni utili a far sparire gli oppositori”: argentini, cileni e uruguayani torturarono insieme dei loro connazionali semplicemente perché si battevano per la giustizia sociale. Il Plan Cóndor fu ideato per sterminare gli oppositori, senza alcuna distinzione tra guerriglieri, sindacalisti, studenti, giornalisti, attivisti politici, religiosi e le loro famiglie, “responsabili” di esigere giustizia per i loro cari. Il processo, che potrebbe durare oltre due anni, indaga sulla privazione illegale della libertà di 106 persone sequestrate o desaparecidas. La maggioranza degli scomparsi è uruguayana, ma ci sono anche argentini, cileni, boliviani e paraguayani. Proprio un paraguayano, l’avvocato e attivista Martín Almada, incarcerato per tre anni, dal 1974 al 1977, sotto il regime stronista, denunciò la presenza di carte e informazioni scottanti nella caserma di Lambaré, città vicina alla capitale Asunción: da lì emersero gli Archivos del Terror, una mole di documenti redatti dalle polizie politiche dei paesi coinvolti nel Plan Cóndor che testimoniano, tra le altre cose,  la piena adesione della dittatura paraguayana al Plan Cóndor. Le leggi di punto final y obediencia debida, hanno bloccato i processi in Argentina per anni: lo stesso è accaduto in altri paesi. Il Plan Cóndor alla sbarra fa paura: la sede porteña della Secretaría de Derechos Humanos ha ricevuto minacce ad opera di un non meglio precisato Comando Patriótico, responsabile anche di aver procurato un allarme bomba.

Le sparizioni forzate in Argentina e Uruguay

Tra gli accusati più celebri spiccano gli argentini Jorge Rafael Videla, Reynaldo Bignone e Luciano Menéndez. Insieme a loro il colonnello uruguayano in pensione Manuel Cordero, estradato dal Brasile su richiesta della giustizia argentina per aver agito in qualità di torturatore nel centro clandestino bonaerense di detenzione Automotores Orletti, dove si commettevano le peggiori atrocità ai danni dei prigionieri. Orletti fu una delle basi operative del Plan Cóndor. Ana Inés Quadros, uruguayana, sequestrata nel luglio 1976, fu condotta a Orletti: Cordero la torturò e la violentò, prima di inviarla in un centro di detenzione clandestino dove poi fu liberata. Il militare può essere giudicato solo per la privazione illegale della libertà, ma non per i delitti commessi in Argentina: la giustizia brasiliana, inspiegabilmente, non ha concesso l’estradizione per questa seconda causa. Le storie di detenuti politici spediti come pacchi postali dall’Argentina all’Uruguay sono molteplici. Marcelo Gelman, figlio del poeta Juan Gelman, fu sequestrato a Buenos Aires nel 1976 insieme alla moglie María Claudia García: avevano, rispettivamente, 20 e 19 anni. L’uomo fu assassinato, mentre María Claudia, incinta di sette mesi, fu trasferita da Orletti in Uruguay: la figlia, Macarena Gelman, ha scoperto la sua vera identità solo nel 2000, quando aveva 23 anni. La madre è desaparecida. E ancora, sempre in Argentina, furono uccisi i politici uruguayani di opposizione Zelmar Michelini e Héctor Gutiérrez Ruiz nel maggio 1976. Il 2 giugno dello stesso anno, sempre a Buenos Aires, le squadracce di Videla rapirono Juan José Torres, presidente boliviano per pochi mesi, dall’ottobre 1970 all’agosto 1971, prima dell’avvento nel paese di Hugo Banzer, in seguito al quale aveva deciso di rifugiarsi in Argentina. Le sue idee socialiste e la sua militanza sindacale nella Central Obrera Boliviana (Cob) ne segnarono la fine: in omaggio al dittatore boliviano, fu sequestrato e ucciso da una patota. L’Argentina rappresentò l’epicentro operativo del Plan Cóndor, ma è il paese dove la giustizia si è mossa maggiormente negli ultimi anni, mentre l’Uruguay sta vivendo tuttora una fase molto delicata. Se è vero che gli ex dittatori Juan María Bordaberry (1973-1976) e Gregorio Álvarez (1981-1985) sono stati processati, il primo nel 2006, per l’omicidio di due tupamaros esiliati in Argentina (William Whitelaw e Rosario Barredo), e il secondo per l’uccisione dei prigionieri politici trasferiti da Buenos Aires a Montevideo (per il quale è stato condannato a venticinque anni), lo scorso 22 febbraio la Corte Suprema de Justicia uruguayana ha dichiarato incostituzionale una norma che stabiliva il carattere dei crimini di lesa umanità. Inoltre, la stessa Corte Suprema, con la maggioranza schiacciante di quattro giudici su cinque, ha deciso di destinare al civile la giudice Mariana Mota, titolare di oltre cinquanta casi di omicidi e torture avvenuti durante la dittatura militare. È bastato che l’ex presidente della Repubblica Julio Maria Sanguinetti l’accusasse di essere troppo vicina alle famiglie dei desaparecidos, per convincere la Corte Suprema a rimuoverla dall’incarico. Del resto in Uruguay, da anni, si combatte una durissima battaglia sulla Ley de Caducidad, che concede l’amnistia ai militari colpevoli di omicidi politici tra il 1973 ed il 1985. Il 20 maggio 2011 sembrava che la Ley de Caducidad fosse davvero sulla via dell’abrogazione, ma l’incredibile astensione di un deputato frenteamplista e soprattutto ex-guerrigliero che sotto il regime militare era stato anche torturato, ha consentito il mantenimento in vigore della legge.

Il ruolo del Cile nel Plan Cóndor

La dittatura militare cilena si installò alla Moneda  l’11 settembre 1973: in quella circostanza si produsse il primo flusso consistente di esiliati, che si rifugiarono in Argentina e divennero presto desaparecidos non appena i generali si insediarono alla Casa Rosada, il 24 marzo 1976. Augusto Pinochet amava dire: “In Cile non si muove foglia senza che io non voglia”. Nonostante questo, il dittatore non ammise mai la sua presenza alle riunioni operative del Plan Cóndor, ma resta l’evidente responsabilità politica per aver trasformato il suo paese in un enorme campo di concentramento, esemplificato dalle detenzioni di massa nello stadio di Santiago. Tra i casi più scottanti, quello del cileno Edgardo Spinosa, arrestato in Argentina e consegnato alla Dina  (Dirección de Inteligencia Nacional de Chile), la polizia politica pinochettista. Carolina Varsky, integrante del Centro de Estudios Legales y Sociales, da tempo lamenta l’impossibilità di processare i responsabili del Plan Cóndor, a causa delle leggi di amnistia e obbedienza dovuta che puntualmente li difendono. Qui sta l’astuzia dei pubblici ministeri, che quando hanno capito che era vietato indagare sugli omicidi commessi dai militari, hanno deciso di giudicare questi casi come rapimenti ancora in corso, non a caso le 106 persone sequestrate sono tuttora desaparecidas. Nel 2002 Pinochet fu processato sia per il suo ruolo svolto nell’ambito del Plan Cóndor sia per aver ideato la Caravana de la Muerte, che in seguito al golpe percorse tutto il paese e si rese responsabile di almeno 75 esecuzioni sommarie: purtroppo, per la Caravana, non è mai stato condannato. E ancora, Buenos Aires fu teatro dell’assassinio dell’ex comandante dell’esercito cileno al tempo di Salvador Allende, Carlos Prats, mentre nel 1976 la polizia politica cilena si recò in trasferta anche a Washington, dove una carica di esplosivo eliminò l’ex cancelliere Orlando Letelier e la sua segretaria Ronnie Moffitt.

Le difficoltà del Brasile nel fare i conti con il passato

La dittatura militare brasiliana, che pure aveva raggiunto il potere nel 1964 (per rimanerci fino al 1985), agì con la massima intransigenza soprattutto durante gli anni ’70, nonostante il ruolo del paese nell’ambito del Plan Cóndor non sia così noto rispetto ai casi di Argentina, Cile e Uruguay. Lo stato riconosce circa quattrocento morti e sparizioni forzate durante gli anni del regime, ma tuttora non è semplice individuare i casi di sequestro, desapariciones e tortura, ben documentati da Frei Betto nel suo libro Battesimo di Sangue, in cui racconta la sua detenzione e la coraggiosa resistenza dei frati domenicani alla dittatura. Dal 2012 si è finalmente insediata in Brasile una Commissione Nazionale di Verità, ma potrà investigare solo sui casi di tortura senza però giudicare i repressori, questo grazie ad una legge di amnistia varata su misura nel 1974, che impedisce ai responsabili del periodo de plomo di essere sottoposti a processo. È comunque certo che cittadini brasiliani sono stati sequestrati e uccisi in Argentina, Cile e Uruguay, così come argentini e uruguayani sono stati giustiziati in Brasile.

Perù, Bolivia ed Ecuador: la ferocia dei regimi militari

Come il suo collega Pinochet, il dittatore Francisco Morales Bermúdez, al potere dal 1975 al 1980, ha sempre negato la partecipazione del Perù al Plan Cóndor. In realtà, a febbraio 2012, un giudice argentino ne ordinò la cattura per le sue implicazioni nel piano, relative soprattutto alla privazione illegale della libertà personale e alle torture inflitte a tredici peruviani, trasferiti in Argentina nel 1978. Nel 2007 anche la giustizia italiana ha chiesto l’estradizione di Bermúdez per la sparizione di venticinque cittadini italiani in Perù nel segno del Plan Cóndor. Sempre al 1978 risale l’adesione dell’Ecuador al piano, secondo quanto dimostrato da documenti declassificati della Cia: l’esercito svolse un ruolo di intelligence e offrì la sua disponibilità a scambiare informazioni sugli oppositori politici con le altre polizie politiche del continente. Infine, a livello di ferocia, la dittatura del boliviano Hugo Banzer ha avuto pochi simili. Al potere dal 1971 al 1978 represse con il pugno di ferro qualsiasi forma di opposizione sociale, soprattutto quella proveniente dagli operai del settore minerario, come ha raccontato Domitila Barrios de Chungara nel suo libro Chiedo la parola, dove testimonia la repressione spietata di Banzer, il cui orientamento era apertamente filofascista. Nell’Agosto 1976, Banzer consegnò la militante argentina Graciela Rutilo e la sua piccola figlia al regime di Videla: la madre sparì nel centro di detenzione clandestino Automores Orletti.

Conclusioni

Le cronache delle prime udienze raccontano di ultrasettantenni alla sbarra un po’ svaniti, alcuni (è il caso di Videla) ancora convinti di aver agito per il bene dell’America Latina e di averla salvata dal comunismo, altri spaesati di fronte ad un tribunale quando ormai pensavano di averla fatta franca e di cavarsela, al massimo, con gli arresti domiciliari. Dagli Stati Uniti, che hanno sostenuto i colpi di stato in Honduras e Paraguay, hanno cercato di destabilizzare Cuba e il Venezuela (anche durante la lunga malattia di Hugo Chávez) e dicono di essere preoccupati per la situazione dei diritti umani in alcuni paesi dell’America Latina, nemmeno una parola, tantomeno un accenno di scuse: eppure la Casa Bianca in quegli anni, e in maniera un po’ più discreta anche adesso, ha sempre tramato dietro le quinte per imporre il suo assetto geostrategico. Da Washington ancora non è arrivata alcuna ammissione di colpa.

(*) tratto da www.peacelink del 9 marzo 2013

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