Un bel mucchio di libri

Lunga miscellanea di libri: alternativi al «noir» estivo più che di moda comandato (dalla grande editoria). Il castoro cerca di evitare – per le ragioni più volte esposte – i grandi editori.

Il primo sentiero ci porta nella storia con un sestetto di libri tanto ben scritti quanto importanti.

Angelo Del Boca è noto a tutti come storico (tanto preciso quanto coraggiosamente controcorrente) del colonialismo italiano in Africa. Qui invece dona un lungo racconto autobiografico – nei giorni della seconda guerra mondiale – a Editrice La Mandragora: «Viaggio nella luna» (80 pagine e un dvd per 16 euri). «Se partigiani lo si è per scelta, partigiani lo si è per sempre» spiega Del Boca. L’elemento biografico è soprattutto nell’incontro con quell’Emilio Canzi «anarchico, antifascista, combattente in Spagna (…) che fra il ’43 e il ’45 comandò le forze partigiane in tutto il piacentino» e morto, pochi giorni dopo la Liberazione, in circostanze misteriose. «L’hanno ucciso» sostiene Del Boca. Nel dvd un incontro sul libro e l’intervista di Carlo Lucarelli. Se non trovate il libro su www.editricelamandragora.it lo si può richiedere.

Nel periodo della seconda guerra mondiale (e negli anni subito successivi) si muove anche «Kos 1943-1948», con il sottotitolo «La strage, la storia» di Isabella Insolvibile, pubblicato da Edizioni Scientifiche Italiane (300 pagine, 27 euri), con la prefazione di Paolo De Marco. A neanche un mese dall’8 settembre, che rompe l’alleanza fra Italia e Germania, le truppe tedesche sbarcano a Kos, isoletta della Grecia, occupata da 4mila soldati italiani. Poche ore di battaglia, Poi i vincitori si vendicano della resistenza italiana uccidendo a freddo 96 ufficiali. Nell’isola iniziano due anni di terrore per i soldati sopravvissuti come per gli abitanti (greci, turchi, ebrei) dell’isola. Di tutto ciò si saprà qualcosa solo a guerra finita ma subito le stragi di Kos verranno sepolte, insieme a tante altre, nell’armadio della vergogna. Il merito dell’autrice è avere ricostruito – su foto e documenti di parte italiana, tedesca e inglese – tutta la vicenda e di avanzare una convincente proposta interpretativa al successivo insabbiamento voluto dal governo italiano.

A proposito se nulla sapete dell’«armadio della vergogna» è d’ obbligo recuperare i libri di Mimmo Franzinelli (ora anche in economica) e di Franco Giustolisi.

Anche il terzo libro ha il suo centro nel fascismo ma si impegna a dare un senso al passato in un oggi che a molte persone appare lontanissimo. «Parole chiare» (160 pagine, 16 euri) ovvero «Luoghi della memoria in Italia, 1938-2010» è uscito da Giuntina l’anno scorso con gli scritti di Gianfranco Goretti, Emanuele Trevi, Fulvio Abbate, Eraldo Affinati, Ettore Mo, Elena Stancanelli, Marco Rossi Doria e le splendide fotografie di Luigi Baldelli. Il libro è stato curato da Lia Tagliacozzo e Sira Fatucci con l’intento di rivisitare i luoghi italiani della persecuzione e dello sterminio sotto il fascismo e poi l’alleanza nazi-fascista. Pensiamo che le vittime siano note: gli ebrei e un po’ di antifascisti, dimenticando che anche zingari, omosessuali e gente qualsiasi finirono in luoghi non per caso dimenticati (Ferramonti, le isole Tremiti, Agnone, Meina, la Risiera San Sabba a Trieste) dai più oppure citati fra omissioni e ambiguità (Fossoli, via Tasso e le Fosse Ardeatine) in una Italia che preferisce rimuovere i “suoi” delitti al punto che certi processi arrivano 20 o 30 anni dopo. «La memoria, lo sappiamo, molto spesso non è ritenuta un bene necessario al mondo, alle idee» scrive Abbate. Ma è un errore. «La memoria (…) si espande, si dilata o si restringe sul presente: fa cesure, seleziona e dimentica» spiega Goretti. «La memoria non è un prodotto ma un processo costante» suggerisce Trevi. E «il rito del ricordo ha bisogno di luoghi e occasioni pubblici. Deve farsi rito civile. Non basta la dimensione privata» è il suggerimento che arriva da Rossi-Doria nel collegare questa necessità ad altri contesti come l’incontro (in Inghilterra) fra «genitori e nonni indiani e pakistani» decisi a raccontare a figli e nipoti «la sanguinosa spartizione». Ma sono storie diverse. Certo, risponde Rossi-Doria: «c’è da distinguere. Distinguere significa ragionare. Insieme a chi è venuto al mondo dopo (…) Nominare le cose accadute e distinguerle per le loro differenze».

Il quarto libro si intitola «Gaetano Bresci tessitore, anarchico e uccisore di re» (Nova Delphi: 240 pagine per 10 euri) di Massimo Ortalli, studioso dei movimenti libertari, con una bella prefazione di Ascanio Celestini. «Perchè parlare ancora del gesto di Bresci?» si chiede l’ultimo capitolo. Ma quasi tutte le risposte sono già state date nelle pagine precedenti raccontando cos’era l’Italia di allora e come i governi di Crispi, Di Rudinì, Pelloux trasformassero «i cittadini in sudditi», pronti per le cannonate di Bava Beccaris se osavano protestare. Nelle appendici spiccano un articolo di Errico Malatesta e la difesa (tutta politica) di Bresci, davanti alla corte d’assise, di Francesco Saverio Merlino.

Un salto avanti per arrivare al quinto libro, di Valerio Gentili: storie dimenticate di resistenza all’avanzare dei fascismi in francia, Italia e Germania. «Bastardi senza storia» (Castelvecchi: 184 pag per 16 euri) con un lungo sottotitolo: «dagli Arditi del popolo ai Combattenti rossi di prima linea: storia rimossa dell’antifascismo europeo».

L’ultimo libro di questo sentiero storico ha una guida d’eccezione, quel Sandro Portelli che non è solo storico e cultore di storia orale ma anche uno dei più profondi conoscitori degli stati Uniti. Il suo «America profonda» (540 pagine per 35 euri) esce da Donzelli con il sottotitolo «Due secoli raccontati da Harlan County, Kentucky»: siamo dalle parti dei monti Appalacchi ovvero nelle parti più povere del Paese. Lavoro e scioperi, tragedie e vittorie, canzoni e tumori ma soprattutto rivolte e repressioni così dure che sembrano gli episodi di una lunga guerra civile (ma più corretto sarebbe dire guerra sociale). Quasi nulla ne sappiamo in Italia perché ben poco conosciamo gli Usa al di là dell’agiografia. E infatti nessuno in Italia si accorse, alla fine degli anni ’70, di uno straordinario documentario (un successo clamoroso in mezzo mondo): era di Barbara Kopple, vinse un Oscar e si intitolava, guarda che combinazione, «Harlan County, Usa».

 

Il secondo sentiero è un mix di libri che si collocano in quel nodo storico dove si mescolano desideri, paure, opportunità e problemi legati a chi migra, ai mille volti del razzismo, al nuovo meticciato di popoli e culture, ai diritti di cittadinanza, alla definizione delle identità. A me piace definirlo mirmema, acrostico un po’ folle per indicare Migrazioni Interculture Razzismi Meticciato E Molto Altro. Ecco 7 titoli da aggiungere alla pila.

Il poliedrico Fabio Giovannini con «Musi gialli» (Stampa alternativa: 320 pag per 14 euri) ci presenta: «cinesi, giapponesi, coreani, vietnamiti e cambogiani: i nuovi mostri del nostro immaginario» mette insieme una ricerca divertente ma anchge tragica, dotta ma leggera perché privilegia le sottoculture e i mass media alle accademie. Il libro si apre con una breve storia del razzismo e del pregiudizio anti-orientale, poi si entra nel dettaglio di alcune figure tipiche delle “ombre gialle” insomma del nostro (cioè occidentale) immaginario e più specificatamente nela cultura popolare. Le ultime 50 pagine sono dedicate a una sorta di piccolo dizionario degli stereotipi sull’Oriente: dal piacere per le torture e la morte lenta ai misteriosi maghi d’Oriente; una carrellata tra fumetti, film e cartoni; qualche accenno ai tipici… «giocattoli nocivi»; a un piccolo “stupidario” di articoli e libri recenti (non si salva neppure Roberto Saviano).

Un buon libro costruito su un impianto metodologico che potrebbe tornare valido per interpretare anche le altre facce (molte purtroppo) del razzismo.

Sono invece «materiali per l’analisi e la comprensione dei fenomeni migratori contemporanei» – questo è il sottotitolo – gli interventi raccolti in «Noi e l’altro?» (168 pagine, 14 euri) pubblicato da Discanti. In quarta di copertina un ulteriore chiarimento: «Riflettere sul tema immigrazione è un modo per pensare a noi stessi». Il libro è curato da Bianca Baggiani, Laura Longoni e Giacomo Solano con i contributi di Marco Aime («culture non pietre»), Paolo Arvati, Alessandra Ballerini, Giuliano Carlini, Salvatore Palidda, Agostino Petrillo e Luca Queirolo Palmas (centrato sulle cosiddette gang etniche).

Fra i reportage di grande respiro che diventano volumi ecco «A sud di Lampedusa» di Stefano Liberti per Minimum Fax.

Di respiro storico è invece «Le cacce all’uomo» (manifesto libri: 180 pagine per 22 euri) del filosofo francese Gregoire Chamayou: non solo di razzismo si ragiona ma anche di ogni capro espiatorio (sociale a esempio o sessuale) che gli Stati o certi poteri indicano come nemico assoluto.

Senza tanti giri di parole, è oggi la Lega il principale imprenditore politico del razzismo in Italia. Lo ricordano con durezza – ma con una documentazione inoppugnabile – le oltre 400 pagine di «Svastica verde» ovvero «Il lato oscuro del va’ pensiero leghista» che Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci hanno pubblicato da Editori Riuniti.

Altri due recenti libri affrontano invece il tema dell’incontro-scontro fra Lega e questione religiosa, con tutti i voltafaccia e le contraddizioni che ricorda chiunque abbia buona memoria. Il primo dei due libri è di una delle non molte persone che nell’Italia attuale sa affrontare i problemi più delicati senza demagogie o preconcetti ovvero Renzo Guolo: «Chi impugna la Croce: Lega e Chiesa» (176 pagine per 16 euri) esce da Laterza, cioè da un grande editore ma… faremo un’eccezione anche qui preferiamo i medio-piccoli. Ma il bel saggio di Guolo andrebbe letto di concerto con «Padroni a chiesa nostra» ovvero «Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord» che Renzo Bertezzolo racconta per la Emi (270 pagine, 13 euri) dunque una casa editrice missionaria. Forse il termine “strategia” non è il più adatto visto che l’autore distingue almeno 7 fasi nella identità dei leghisti rispetto al cristianesimo. Ma queste oscillazioni e confusioni hanno un senso: si rivolgono infatti a una certa parte del cattolicesimo italiano.

Il terzo sentiero è sulle Afriche, rigorosamente plurale. Siamo abituati a scrivere Europa singolare ma poi nessuno pensererebbe che, nonostante la recente Ue, fra Svezia e Francia ci siano grandi affinità. Invece il nostro immaginario è abituato a un’Africa sola e misteriosa, «hic sunt leones». Così io ho preso l’abitudine di scrivere Afriche.

Per avvicinarsi a questo continente torna utilissima «Punti fermi sull’Africa» (Emi: 15 euri per 270 pagine) una raccolta di scritti inediti del grande Joseph Ki-Zerbo. Morto 5 anni fa, che è stato il padre della storiografia africana e uno dei maggiori intellettuali del Novecento. I suoi libri sono considerati classici del pensiero in Francia come negli Usa, da noi purtroppo resta quasi uno sconosciuto. Gli scritti sono raccolti in varie sezioni africane (storicità; identità; sviluppo endogeno; unità) con il conclusivo «mondializzazione per chi?». Un libro per innamorarsi di un continente il cui passato fu cancellato con la forza e per questo vive un presente incerto.

Se poi vi vien voglia di approfondire i nodi africani rimando a due libri che «Come» ha già segnalato: «E se l’Africa scomparisse dal mappamondo?» (Armando editore, 2009) è «una riflessione filosofica» di Filomeno Lopes mentre «L’invenzione dell’Africa » (Meltemi 2007) del filosofo congolese Valentin Mudimbe scardina dalle fondamenta la nostra (occidentale) visione del continente.

Il Congo è «il cuore di tenebra» dell’Africa e molte volte ne abbiamo parlato su «Come» ricordando che molte guerre mondiali per le risorse (dal coltan all’uranio) si stanno combattendo lì. All’ origine dei disastri di oggi la dominazione coloniale belga contro la quale si mobilitarono anche Joseph Conrad (con «Cuore di tenebra» appunto) e Mark Twain con un capolavoro, arrivato in Italia con indegno ritardo, «Soliloquio di re Leopoldo». Ma con quei libri si intreccia il «Rapporto sul Congo» del 1903 che Roger Casement, diplomatico irlandese al servizio dell’Inghilterra, presenta al Parlamento britannico. Finalmente il testo è disponibile in italiano (188 pagine, 16 euri) grazie a Mario Scotognella che lo ha curato per la casa editrice Fuorilinea. Lo abbiamo già segnalato (sulla rivista) ma vogliamo ricordarlo anche qui.

Sempre nelle indicibili verità congolesi ci porta invece lo scrittore e antropologo spagnolo Albert Sanchez Pinol con il romanzo «Congo, inferno verde» (480 pagine per 19,50 euri) appena tradotto da Fazi sull’onda di un successo internazionale che dura da 5 anni.

«Mio marito è stato ucciso il 13 aprile, i miei figli torturati il 14 e uccisi il giorno seguente». Siamo nelle prime pagine di «Un giorno vivrò anch’io» (La meridiana: 96 pagine, 13 euri) ovvero «Il genocidio del Rwanda raccontato ai giovani» di Yolande Mukagasana. E’ il terzo libro di questa autrice che stavolta scava, ancora più a fondo, nei meccanismi dell’odio, cercando di capire perchè «i fratelli hanno massacrato i fratelli, le madri hanno ucciso i loro figli».

Il quarto sentiero di lettura ora è un viottolo e ora un’autostrada, attraversa lo strano Paese nel quale viviamo. Fra storia, attualità, reticenze, pericoli, potenzialità…

Il lavoro per esempio. Nessuno fra i Paesi simili all’Italia (dunque dominati tutti dal capitale e dal suo culto) disprezza il lavoro come accade da noi. Eppure se i cantori autorizzati tacciono, le persone qualsiasi approfittano di ogni occasione (il romanzo «Acciaio» di Silvia Avallone per dirne una, durissimo nello sguardo e nelle storie dei figli e soprattutto delle figlie) per scrivere o leggere che sono i lavoratori e le lavoratrici in carne e ossa a reggere l’economia e non gli esorcismi della Borsa.

A esempio il quinto romanzo del giovane Cristiano Cavina si apre sulle tute da lavoro e su quel che si sente nonostante i tappi nelle orecchie. Per tre volte nelle pagine di «Scavare una buca» (Marcos Y Marcos: 208 pagine per 14,50 euri) si legge che «a furia di scavare» si arriverà all’inferno.

Chi lavora in cava ha l’elmetto giallo, gli altri (i dirigenti o gli ingegneri) se ne mettono, per finta, uno blu. Il protagonista scava, perfora, disgaggia, frantuma; dunque ha la testa in giallo. E quando vede uno di loro, giovane e imbarazzato, con l’elmetto in blu prova a spiegargli qualcosa: «Se fa un bel giro e presta attenzione, vedrà che io sono l’unico qui dentro che ha ancora tutte le dita attaccate alle mani». Un gran libro con piccoli segreti e verità che di solito si tacciono: gli uni e le altre si trovano nelle pagine con semplicità, senza enfasi. Verso la fine del libro ci si imbatte quasi per caso in «Fare un mestiere non c’entra un accidente con il guadagnare dei soldi» e subito dopo «Nessun lavoro ammazza la gente. Ci pensano le persone a farlo».

Ci sono ovviamente i testi – riflessioni, ricerche o magari instant book – che invece raccontano il lavoro organizzato, il sindacato e il conflitto con un’organizzazione economico-politica che disprezza il lavoro, specie quello manuale, al punto da considerare normale che si muoia per lavorare. Fra gli ultimi libri di questo genere ne segnalo due: «Ritorno di Fiom» di Gabriele Polo (manifesto libri: 128 pagine, 14 euri) fra l’altro con interviste a Maurizio Landini, Claudio Sabattini e Gianni Rinaldini; «Sempre più blu: operai nell’Italia della grande crisi» (ancora Laterza: 12 euri per 160 pagine) è invece stato scritto da Antonio Sciotto.

Quel lavoro mortale, del quale prima si diceva, è a volte invisibile e inodore oppure di un bel colore bianco come l’asbesto. Vi segnalo un libro corale e un romanzo. Il primo è «Io sono il cantiere: amianto mai più», curato da Corinna Michelin e Tiziano Pizzamiglio per tre associazioni(Spyraglio, Lega italiana per la lotta contro i tumori e Associazione esposti amianto)con un racconto inedito di Loriano Macchiavelli. Lo edita la giovane e coraggiosa casa editrice Fuorilinea (citata anche sopra): 18 euri per 200 pagine con bellissime foto in bianco-nero (di Isabella Balena) e le testimonianze-racconti di 15 lavoratori che, con l’aiuto di una psicologa, hanno ricostruito il loro rapporto con il nemico invisibile.

E’ invece un romanzo-verità, ambientato fra i migranti, soprattutto pugliesi, in Svizzera, «Termitti» (così molti pronunciavano la difficile parola Eternit) di Mario Desiati edito da Mondadori (un editore che più grande non si può e con un padrone-manovratore che forse sapete chi è: dunque leggetelo in biblioteca e non compratelo): in ogni caso 250 pagine per 18 euri.

Moltissime le canzoni di lavoro – ma già viriamo verso una storia più ampia – in «Pane rose e libertà» di Cesare Bermani che Bur Rizzoli, un grande editore (faremo un’altra, l’ultima eccezione) edita in cofanetto: un libro di 200 pagine con tre cd (editi anche a parte da Ala Bianca) per 24,90 euri.

Storia recente e dolorosa, dentro una sorta di “piccola” guerra civile non dichiarata è «Valerio Verbano: ucciso da chi, come, perchè» (Odradek: 460 pag, 25 euri) di Valerio Lazzaretti. Chi è giovane non ricorderà la vicenda di un ragazzo, Valerio Verbano appunto, ucciso a Roma – davanti ai suoi genitori, legati e imbavagliati – da un gruppo fascista nel 1980. Per ora non esistono colpevoli certi (cioè riconosciuti da un tribunale) e dunque il delitto Verbano finisce nel lunghissimo e inquietante elenco dei “misteri d’Italia”. Qualcuno avrà notato mesi fa che l’inchiesta è stata riaperta e dunque forse si arriverà a una verità giudiziaria; il forse è d’obbligo. Se certezze processuali non ci sono esistono però verità politiche, evidenze e anche concretissimi indizi su esecutori, mandanti, complici e… su chi, più in alto, li ha voluti coprire. Il libro di Lazzaretti non è un giallo ma una indagine minuziosa anche sulla destra eversiva fra i decenni ’70 e ’80. Chi è appassionato di storia e/ o di scavo nei documenti si farà risucchiare fra i molti materiali e testimonianze che l’autore (non per caso un archivista) ha rintracciato.

Qualcosa di simile, il lavoro di una talpa dentro atti processuali e nelle storie dei protagonisti, è alla base di «L’eclisse della democrazia» (Feltrinelli: 280 pagine, 15 euri) che Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci hanno scritto per raccontare «le verità nascoste sul G8 2001 a Genova». Ne riparleremo. Sono molti i libri che escono a 10 anni fa quel tragico G8 e alcuni sono più che validi. Ma questo «L’eclisse della democrazia» è il più importante, inquietante, documentato e non per caso i grandi media ne tacciono: se si arriva “troppo” in alto a cercare le responsabilità, se la verità non tiene conto delle etichette politiche, allora si scontenta tutti e scattano le censure. Nonostante esca da un grande editore, se fosse per le recensioni questo libro sarebbe invisibile. Ma il passa-parola lo sta facendo diventare un piccolo best-seller; ed è giusto che sia così.

Per chiudere su Genova 2001 – e per ora sull’Italia – vale anche ricordare un volume di 600 pagine che è ora scaricabile su Internet. «Genova, nome per nome» ovvero «Le violenze, i responsabili, le ragioni: inchiesta sui giorni e i fatti del G8» di Carlo Gubitosa si può recuperare da http://url.gubi.it/genova2001 ; in questo modo l’autore e l’editore (Altreconomia) vogliono contribuire alla memoria storica. Un grazie di cuore anche a loro come ai coraggiosi Agnoletto e Guadagnucci.

Il quinto sentiero si snoda fra 8 libri importanti che andrebbero studiati e appuntati che ma… niente paura: sono tutti di piacevolissima lettura.

I primi due scavano, in maniera diversa, dentro la crisi energetica-ambientale. Escono da piccoli editori, faticherete a trovarli ma ne vale la pena.

Abbiamo su «Come» già accennato a «Manuale di sopravvivenza energetica» (Scienza Express: 14 euri per 148 pagine) ovvero «Come consumare meglio ed essere felici» di Andrea Mameli. La faccetta in copertina annuncia: «con questo libro risparmi 1000 euro l’anno» e non mente. Ideologia zero e molta concretezza. C’è davvero di tutto: i consigli della nonna e le novità tecnologiche in rete, Einstein e De Andrè, il baratto e il pianeta in rosso, Steven Chu (Nobel e ministro) e le cucine solari in Kenia. Fondamentale per chi vuole, un passetto alla volta, modificare anche la propria impronta ecologica.

Più narrativo ma per nulla astratto «Game over. Play Again», con il sotto-titolo «Dalla crisi finanziaria alla crisi energetica ed ambientale. Guardando oltre» (Ecra: 130 pagine per 13,50 euri) di Marco Reggio con la prefazione di Vinicio Albanesi. Ecra sta per Edizioni del credito cooperativo e anche questo mi pare un tassello importante. L’autore si muove tra fiducia come collante sociale e ricerca della felicità, fra Internet e la bellezza: guardando se la finanza islamica o la Grameen Bank del poverissimo Bangladesh ci possono aiutare, se «las finanzas populares» dell’Ecuador e le quattro alternative energetiche al duopolio petrolio-nucleare siano praticabili. Un libretto veramente ben fatto.

Ogni anno «Come» ripete le sue lodi sperticate al «Rapporto sui diritti globali» pubblicato da Ediesse. Quello del 2011 è di 1290 pagine e costa 30 euri. Ne riparleremo presto in dettaglio, voi intanto sfogliatelo in libreria così vi fate l’idea di cosa vuol dire davvero «educazione» (o aggiornamento) permanente.

Altri due volumi fanno i conti con la spinosissima questione della libertà di essere informati che annaspa in molti Paesi ma in Italia quasi sta rantolando.

Il primo arriva da Stampa Alternativa, ne è autore Carlo Gubitosa che potremmo definire uno dei pochi vulcani attivi (a fin di bene) in Italia. «Propaganda d’autore» (168 pagine, 12 euri) con una bella introduzione di Riccardo Orioles ha un sottotitolo assai chiaro, «Guerra, razzismo, P2 e marchette: un atto d’accusa ai giornalisti Vip». Tanto per non far nomi nel mirino ci sono Ernesto Galli della Loggia, Maurizio Ferrara, Gad Lerner, Adriano Sofri, Lamberto Sposini, Maria Concetta Mattei, Maurizio Costanzo, Giovanni Minoli, Beppe Severgnini, Filippo Facci, Mario Calabresi e inevitabilmente anche Feltri, Farina e simili orrori. Tragicomico in ogni riga. Chiude il libro un «Piccolo dizionario della propaganda», utile bignamino per chi negli ultimi tempi si fosse distratto.

Sempre negli orrori italiani indaga «I mercanti della notizia» (290 pagine per 14 euri, edito da Emi) ovvero «Guida al controllo dell’ informazione in Italia» del Cnms, il Centro nuovo modello di sviluppo. Qualcuno si sorprenderà che il gruppo nato intorno a Gesualdi e alle ricerche su consumo critico, boicottaggi, alternative alle banche si avventuri su questo terreno ma il metodo è lo stesso. Stavolta invece di fare i conti con profitti, etica, crimini, bugie e (poche) verità delle aziende, si esaminano come alcuni «casati» – 19 famiglie per l’esattezza – controllano i media in Italia. Dalla A di Agnelli e Angelucci alla T di Toti (una famiglia romana di costruttori) e del lombardo Tronchetti Provera con l’aggiunta di 5 gruppi finanziari. E’ complementare al precedente; puntigliosissimo anzi inattaccabile, come tutti i libri del Cnms.

Dentro questioni così delicate come quelle viste finora cosa c’entra un libro di cucina? In realtà «Avanzi popolo» (Stampa alternativa: 330 pag, 20 euri) di Letizia Nucciotti è molto più che «L’arte di riciclare tutto quello che avanza in cucina: storie, ricette e consigli». Il piacere di raccontare dell’autrice si mescola alla saggezza, la semplicità dei piatti e il risparmio si intrecciano con l’invito a tempi diversi per vivere, consumare e imparare. Tutto il contrario del manicomio consumistico e rischioso che è diventato oggi il cibo per troppe/i. Un gran libro da regalarsi o regalare anche per motivi non culinari.

Il titolo molto serio, «La società dei beni comuni: una rassegna», potrebbe far pensare che il libro curato da Paolo Cacciari per Ediesse (192 pagine, 10 euri) sia noioso. Tutt’altro. Per un buon approccio consiglierei persino una strategia da gambero: partire dalle ultime pagine e tornare indietro. Nelle brevi schede biografiche dei 19 autori-autrici (noti quasi solo a chi frequenta i movimenti sociali e rifugge l’informazione ufficiale) si intravede un mondo ogni giorno più complesso in faccia alle semplificazioni e ignoranze di un ceto politico che al contrario si gloria di essere ignorante e auto-legittimato oggi più di ieri. Per fare un solo esempio è significativo leggere a esempio che Luigi Lombardi Vallauri abbia insegnato all’Università cattolica di Milano e ne sia stato «espulso per eterodossia». Se preferite invece iniziare in modo più tradizionale, a pagina 9 è emblematica la dedica a «unmilione-quattrocentocinquemila-trentasette persone che hanno firmato la richiesta di referendum per la ripubblicazione dell’acqua». Sono brevi saggi chiari ed efficaci per approcciare «le buone teorie» nella prima parte e riflettere sulle «buone pratiche» nella seconda parte.

Ultimo testo di questo carrellata. Il più serio e il più divertente come fa intuire la strana coppia di un titolo ammiccante e un sotto-titolo serissimo: «Qui casca l’asino» di Paola Cantù cioè «Errori di ragionamento nel dibattito pubblico» (Bollati Boringhieti: 180 pagine per 15 euri).

«Le regole dell’argomentazione, forse le regole in generale, sono come scale: servono per andare da qualche parte. Alcune sono fragili e poco stabili: provate a salirci e rischiate di trovarvi per terra. Altre sono ben fatte, solide e sicure però provate a collocarle su un terreno incerto e fangoso, di nuovo cercando di salire vi troverete per terra (…) La combinazione di buone scale su solide basi non sembra molto frequente»: così si apre il libro (la prefazione è di Franca D’Agostini). Poi l’autrice entra subito nel vivo rimandando quasi tutte le questioni tecniche al glossario finale e catturando chi legge con quell’insolita accoppiata di una scrittura piacevole e di estremo rigore nel (suo) ragionare. Va detto subito che Paola Cantù non fa sconti ad alcuno. Se qua e là lascia intravedere i suoi riferimenti etici e politici non per questo aspettatevi un trattamento di favore a chi rappresenta (o così sembra a chi legge?) la sua “parte”. Sono 16 i temi toccati e vale elencarli. Da un testo famoso come «La rabbia e l’orgoglio» di Oriana Fallaci al pensiero di Giovanni Sartori sulla bioetica; dal relativismo secondo Marcello Pera al post-modernismo di Alan Sokal; dalla genetica secondo Jurgen Habermas alla «vera storia italiana» incarnata da un celebre opuscolo pro Silvio Berlusconi (che su codesto blog viene nominato come P2-1816); dal «volemose bene» nel programma elettorale di Romano Prodi alla sentenza della Figc sul caso Juventus; dal «terrorismo» giornalistico a proposito degli incendi in Grecia alle invettive di Beppe Grillo; dalle battute di Maurizio Crozza ai rom visti da tre grandi quotidiani; da una stravagante questione concernente anarchici francesi al litigio in pubblico (Dacia Maraini, Michela Marzano e Marcello Veneziani) sui delitti passionali; per arrivare agli ultimi due capitoli dove Pierluigi Battista, Marco Travaglio, Roberto Saviano, Alessandro Sallusti e Giuseppe D’avanzo se la vedono con «contestatori» (veri e/o presunti) e con le «fabbriche del fango».

Classico libro di formazione… nel senso che chi lo medita dovrà in futuro – se vuol stare in pace con sé – quasi inevitabilmente essere più severo con il proprio argomentare. Infatti il bersaglio di Paola Cantù non è, per dire, Berlusconi e/o Prodi ma la nostra ostinata ingenuità o debolezza nel farci intrappolare da discorsi che ci vogliono persuadere (o intrappolare, se preferite) rifuggendo persino la logica più elementare o senza neppure la fatica di verificare se una tesi non è in contraddizione… con quanto detto un attimo prima. Dunque la frase che chiude la quarta di copertina non deve suonare retorica ma piuttosto un incoraggiamento verso lettori-lettrici: «L’antica consuetudine dei filosofi di chiedere ragioni – buone ragioni – nelle democrazie mature deve diventare prerogativa di ogni cittadino». E io polemicamente vado subito a cercare, pur se vivo in una democrazia non troppo matura, le «buone ragioni» per le quali in Italia tutto si continua a declinare al solo maschile anche nelle quarte di copertina di libri così importanti. Forse sono caduto in un eccesso polemico trovando il “pelo nell’uovo” in una frasetta della copertina che magari, come spesso accade, l’autrice non ha neppure approvato. Eppure questo del femminile che resta invisibile persino nel linguaggio è, come si dice, un altro discorso su cui – oh sì – studiare molto di sicuro evitando anche la valanga di «errori di ragionamento nel dibattito pubblico» e magari anche privato.

 

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